Musica

Juliette Gréco, il tempo di una canzone

24 Settembre 2020

Conosciuta e, a quanto pare, ricordata come “la musa dell’esistenzialismo”, è stata soprattutto un’interprete della propria esistenza. Chiunque abbia avuto a che fare con la lingua francese, studiandola, o sia stato costretto a parlarla per relazionarsi agli altri, conoscerà bene Juliette Gréco, avrà cantato le sue canzoni, saprà cosa ha impersonato, per cosa si è impegnata e cosa ha amato. Non credo che una personalità tanto complessa e dotata possa essere avvicinata ai distanti “ismi” della filosofia teorica novecentesca, anche se la sua espressione intensa e la sua voce abissale esprimevano pienamente la bellezza inquieta di un’epoca, dove la tristezza veniva lenita accarezzandola con una nota dolce e parole sussurrate. Era bella, Juliette, come solo le anime appassionate e misteriose sanno esserlo. E sia che recitasse (come non ricordarla nello sceneggiato “Belfagor, il fantasma del Louvre”?), o cantasse, l’impronta più intima della sua interiorità permeava di fascino tutta la sua figura, rendendola elitariamente elegante.

Una che come cantante debutta a 22 anni interpretando un testo scritto da Jacques Prévert, “Les feulles mortes” non poteva essere destinata a qualcosa di diverso dall’arte che ha espresso. Da giovanissima aveva conosciuto Sartre, Picasso, Camus, Mauriac, gente che ha arricchito la sua adolescenza come niente al mondo avrebbe potuto fare. “La mia intelligenza è fatta di udito. Ascolto molto e ascolto bene. Ai miei orecchi più che al mio cervello devo che la mia adolescenza sia stata culturalmente da miliardaria, da enfant gaté. Io, quando avevo bisogno di un consiglio o di una spiegazione, anziché rivolgermi a un padre o a una madre, andavo da questi signori e, con il mio libro in mano, chiedevo: Cosa vuol dire questo, Jean-Paul? Cosa vuol dire questo, François? Loro mi rispondevano subito e io, pazza di gratitudine, li amavo come un padre o una madre.” – rivelò con gaiezza in un’intervista –

Cantava usando la testa, la gestualità, la voce. Una cosa che non fanno tutti. Che non possono fare tutti. Non una chansonniere, non una interprete eccitata, ma una esecutrice del proprio repertorio intimistico, che traspariva all’esterno attraverso le linee tratteggiate dei suoi occhi profondissimi, del suo respiro caldo, delle sue mani in leggero movimento in seno all’aria, a tracciare giocose geometrie, portando il ritmo di un’esistenza trascorsa ad amare quello che c’era da amare e ad essere amata da chiunque riconoscesse in lei i segni inconfondibili dell’arte. Sulla scia di Édith Piaf, lei: Juliette Gréco! La canzone che diventa suggestione attraverso l’archetipo moderno della donna artista, evoluta, partecipe.

 

 

 

 

 

 

 

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