Musica

Jack Savoretti: “Vi racconto il tour, il disco in italiano e la mia Europa”

23 Novembre 2022

Ha un sorriso contagioso Jack Savoretti, mi aspetta su un divanetto di un hotel del centro di Milano, in un finto pomeriggio estivo di novembre, con una camicia blu aperta come fosse agosto. Ha un’eleganza innata che non svanisce affatto nella semplicità di una chiacchierata informale, anzi si esalta.

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Cresciuto in Inghilterra, dove tuttora vive, Savoretti prima di trasferirsi a Lugano, in Svizzera, ha sempre girato l’Europa con il padre Guido, ligure, e la madre Ingrid, di origini tedesche, polacche. Si sente europeo ma non ama troppo le definizioni, soprattutto quelle relative alla sua musica. E ha voglia di andare Sanremo, si capisce quando mi dice «se mi invita a cena ci sono», parlando di Amadeus. Quel palco, peraltro, per lui che ama e sente l’influenza dei grandi cantautori italiani, sarebbe perfetto.

Il suo ultimo album, intitolato Europiana, in Inghilterra è arrivato primo in classifica, «cinque minuti dopo la Brexit», racconta. Poi è arrivato Europiana Encore, speciale repack dell’album con sei nuovi brani, tra cui You Don’t Have To Say You Love Me/Io Che Non Vivo Senza Te di Pino Donaggio.

Dopo i live per tutta l’Europa, l’artista farà tappa finalmente in Italia: il 5 dicembre sarà al Gran Teatro Geox di Padova per poi proseguire il 6 dicembre al Teatro Carlo Felice di Genova, l’8 dicembre all’Auditorium Parco Della Musica di Roma, il 10 dicembre al Teatro Verdi di Firenze, il 12 dicembre al TAM Teatro Degli Arcimboldi di Milano, il 13 dicembre al Teatro Europauditorium di Bologna e il 15 dicembre al Teatro Lyrick di Assisi.

Ci spieghi  meglio cosa significa Europiana?

È una parola che mi sono inventato. Inizialmente non doveva essere il titolo del disco. La usavo per spiegare alla mia band e al mio produttore il suono che volevo avesse il mio album, il mondo musicale che volevo creare. Continuavo a dire “facciamolo in stile europiana, mi piacerebbero le voci in stile europiana” e loro mi rispondevano chiedendomi cosa volesse dire. Allora, dopo mesi di lavoro, quando l’album era finito ho deciso che volevo che si intitolasse proprio così. Europiana per me rappresenta ciò che ho scoperto durante il lockdown. Ho cercato di ricreare a casa il più possibile l’atmosfera di vacanza, di viaggio che non potevo dare in quel momento ai miei figli, anche la nostalgia dei ricordi che ho io pensando alla mia infanzia. Così mi sono messo a suonare un sacco di musica che ascoltavo grazie ai miei genitori quando avevo la loro età e ho riscoperto musica che associo al viaggiare in Europa e nel mediterraneo.

Da Iglesias ai Duft Punk, da Serge Gainsbourg a Lucio Battisti e Phoenix, mi sono accorto che c’erano delle influenze che li legavano, super americane ma con l’aspirazione europea, c’era nostalgia, la melodia, il racconto delle storie. Lo stesso stile americano era ed è diverso da quello europeo e io l’ho identificato così. Musica europea ispirata dall’America.

Tu ti senti europeo e ci tieni molto…

Adesso più che mai. Anche grazie alla Brexit. L’album con la politica non ha niente a che fare ma sicuramente la Brexit ci ha quasi obbligati a renderci conto dell’importanza di sentirsi europei. E poi c’è stato il lockdown. Il non poter viaggiare, la mancanza dell’Europa mi ha fatto capire quanto europeo sono. By the way, l’Inghilterra è Europa, infatti ho registrato il disco nello studio più importante d’Europa: Abbey Road. Io la vedo come Europa, che poi gli altri non la vedano così è un’altra storia.

Abbey Road Studios

Tuo padre era italiano e hai sempre viaggiato moltissimo, forse anche questo ha inciso… 

Si ma è una cosa che va aldilà del mio essere italiano, i miei nonni erano italiani, tedeschi, polacchi. Mia madre è nata a Londra, ho vissuto anche in Svizzera. Però forse ha inciso il fatto che sono stato educato in una scuola americana. Quel tipo di educazione mi ha tolto dal mondo europeo a tal punto da essermi accorto che erano due cose diverse l’essere americano e l’essere europeo. Sono cresciuto in un ambiente americano, tutti i miei amici erano americani, però io non ero mai americano, mi sentivo diverso in qualche modo. Con l’età ho semplicemente capito che sono europeo.

Il cinque dicembre parte da Padova il tuo tour italiano. Che rapporto hai qui con il tuo pubblico? 

Bellissimo ma non solo io ed è la cosa che mi piace di più. Tutta la mia band e la mia produzione adora venire in Italia, c’è un’atmosfera calorosa ma non solo nei teatri, anche per strada e con le persone con cui lavoriamo. Non dico che gli atri paesi siano freddi ma qui c’è un’atmosfera diversa, c’è più connessione con le persone.

Qual è la musica italiana che più ti ha influenzato? 

Tutta quella degli anni sessanta di sicuro. Battisti, Dalla, De Gregori, Tenco, De André, Patty Pravo, Mina… la lista potrebbe continuare volendo.

Oggi c’è qualcosa che ascolti di italiano? 

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C’è un ragazzo che si chiama Simone Zampieri con cui sto scrivendo moltissimo e per me è un cantautore favoloso. Adoro Clara Luciani, che è italo francese, è bravissima. C’è tantissima musica interessante. Sono impazzito per i Nu Genea, per Marco Castello.

E di quella inglese invece, cosa mi dici? 

Non saprei da dove iniziare perché sono sempre stato molto coinvolto nell’industria musicale in Inghilterra. L’influenza per me è enorme se penso alla musica inglese.

È vero che più che un cantautore ti definisci un giornalista della musica? 

Io da ragazzino volevo fare il giornalista, il fotoreporter, soprattutto mi è sempre piaciuto il giornalismo di conflitto, di guerra. Ho un’immaginazione pessima, non ho molta creatività, però mi piace osservare. Sento molto fortemente le cose che tanti vedono come normali e quotidiane. Secondo me il romanticismo, per esempio, non è solo parlare d’amore in una canzone ma una panchina vuota in un parco può essere romantica, la morte può essere romantica. Non sono bravo a inventarmi le storie, mi piace scrivere osservando. La maggior parte delle cose che scrivo sono successe a me o a qualcuno di vicino. Ci aggiungo il romanticismo ma è osservazione della realtà.

Prima o poi farai un album in italiano? 

(ride; ndr) La risposta è si. Lo sto scrivendo, sto imparando a scrivere in italiano ma nel modo in cui voglio scrivere. Il mio italiano è migliorato perché scrivendo devi conoscere il significato profondo delle parole molto più di quando fai conversazione. Mio padre con me praticava il suo inglese, ho studiato italiano due anni ma scrivere è un’altra cosa, soprattutto scrivere bene. Mi affascina e mi sto concentrando sul linguaggio. Però non voglio che sia un album italiano, cioè “pastiche”, voglio che sia mio. Non voglio cadere nel cliché avendo origini italiane. L’odore di cliché va bene ma non deve esserci solo quello.

Sul serio Amadeus ti corteggia per Sanremo? 

Devi chiederlo a lui. Se mi invita a cena ci sono. Sarebbe bellissimo, soprattutto nel momento di vita in cui sono. A Sanremo ci sono stato come ospite con gli Ex Otago e mettere piede sull’Ariston quel che posso dirti è che è un’esperienza unica. Ho capito perché tutti impazziscono quando vanno su quel palco.

Cosa ti aspetti dal tour in Italia? 

L’album è andato benissimo, è fuori da due anni, sarà una festa. In Inghilterra siamo arrivati al primo posto. Con un disco intitolato Europiana, cinque minuti dopo la Brexit, se posso essere sincero, è stata una bella soddisfazione. Non ho mai avuto modo in realtà di presentarlo in Italia per davvero e non vedo l’ora, il disco è un ambiente, un’atmosfera e dal vivo si sente molto. Sarà un periodo festivo, romantico, sono molto curioso.

Cantautore, folk, rock, pop… Chi è Savoretti oggi? 

Non voglio etichette. Lunedì mi sento folk, martedì rock… Ho sempre cercato di creare un ambiente di vita, non solo di carriera dove non devo mai definirmi sotto una bandiera, sotto un titolo. Non è sempre stato facile. Sarebbe stato molto più convente a volte dire “sono così e basta, andate a vendere quello”, soprattutto alle case discografiche ma infine è proprio questo che mi dà soddisfazione della mia carriera. Spero che sia il mio tratto distintivo.

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