Musica

Irene Fornaciari diventa Effe: “ho smesso di cercare l’approvazione”

6 Aprile 2024

Dopo otto anni di silenzio, ricerca personale e artistica, Irene Fornaciari, oggi Irene Effe, torna con un nuovo album, che si intitola Terra bruciata (Altafonte Italia). Un disco che racconta i cambiamenti, le fragilità, i pregiudizi ma anche la forza di ritrovare se stessi e smettere di cercare l’approvazione. Tredici pezzi inediti e controcorrente che rappresentano la nuova fase artistica di Irene Effe, che oggi si presenta con quel nome d’arte che ha sempre desiderato ma non ha mai avuto il coraggio di usare prima perché «se tolgo il cognome sembra che voglia rinnegare il fatto di essere “figlia di”, in realtà io ne sono molto orgogliosa».

Terra bruciata racchiude al suo interno un doppio significato simbolico: il primo è la sofferta volontà di “radere al suolo”, metaforicamente, tutto ciò che è appartenuto alla “precedente” vita artistica della cantautrice. Il secondo significato è la consapevolezza che il ricominciare da zero spesso può anche essere qualcosa di positivo per avere un nuovo spazio da riempire e da seminare, con la coscienza che farsi un po’ di “terra bruciata” intorno forse non sempre è un male.

La cantautrice, figlia di Zucchero, ha partecipato quattro volte al Festival di Sanremo. Nel 2009 tra le Nuove proposte, nel 2010 insieme ai Nomadi, con il brano “Il mondo piange”, nel 2012 e nel 2016, rispettivamente con i brani “Grande Mistero” e “Blu”. Poi si è fermata (“discograficamente”) e ha ritrovato se stessa. L’abbiamo intervistata.

Come mai oggi ti presenti al pubblico come Irene Effe e non più con il tuo cognome?

Prima mi facevo troppi problemi. Pensavo che presentandomi senza il mio cognome qualcuno avrebbe potuto credere che volessi rinnegare il fatto di essere figlia di Zucchero. In realtà, ho sempre desiderato un nome d’arte, perché non mi è mai piaciuto come suonava Irene Fornaciari e quindi adesso, essendo in un momento molto libero, ho deciso di presentare il nuovo progetto con il mio nome d’arte. Ho seguito finalmente l’istinto e mi sono data la possibilità di andare dritta e fare quel che desideravo davvero. E poi, mi sembrava giusto, perché essendo un progetto completamente diverso da quello che ho fatto prima, ci stava segnare questo cambiamento.

Il cognome ti sarà servito sicuramente a farti conoscere ma ascoltando il tuo disco si percepisce il desiderio di rivendicare la libertà di essere te stessa…

Essere figli d’arte non è sempre semplice. Qualunque cosa o passo faccia sarò sempre soggetta a critiche, l’ho capito finalmente. Però, ci tengo a precisare che non voglio passare da quella che fa la vittima. Il cognome ti apre delle porte, anche solo per curiosità, e quindi io ho avuto delle opportunità grazie al mio cognome. Poi però bisogna avere a che fare con i pregiudizi che sono delle montagne insormontabili e difficili. Quando ero più giovane ci soffrivo moltissimo quando mi sentivo dire che ero raccomandata ed ero lì solo perché c’era mio padre… In tutto quello che faccio metto sempre un impegno incredibile e sono nata e cresciuta nella musica. Certo, con l’esempio appunto di mio padre, ma non solo di mio padre, perché tutta la mia famiglia vive intorno alla musica. Mio zio materno suonava la chitarra benissimo, era un artista. I miei cugini, tutti i miei cugini suonano batteria, chitarra. Abbiamo vissuto sempre immersi nella musica, per cui abbiamo un rispetto profondissimo per la musica e vedere che la gente non riconoscesse questo mio impegno, questo mio rispetto per la musica mi dava fastidio. Pensavo sempre: “ma come? Ma non lo capisci quanta importanza dò alla musica?”. Era questo che mi faceva soffrire. Poi ho capito che ci sarà sempre qualcuno che pensa che sono solo una raccomandata, quindi è bene non farsi più problemi, andare avanti per la propria strada, cercare di fare le cose al meglio delle proprie possibilità e basta.

In questi anni non ti è mai venuta voglia di fare altro?

Sono successe tantissime cose. Io ho deciso di fermarmi a livello discografico proprio perché mi sentivo spersonalizzata. Ero stata a Sanremo con Blu, il pezzo andò benino ma tutto il progetto, l’album poi andò male. Quando le cose vanno male incominci ad avere tutte le persone intorno a te che ti dicono cosa sarebbe bene e non bene fare, ognuno ha una cosa da dirti, ma poi finisci per non ascoltare più te stessa. Quindi, non sei più chi sei. A un certo punto mi sono fermata perché non sapevo più rispondere nemmeno alla domanda “ti piace più il colore giallo o il rosso”. Mi sentivo completamente vuota. Mi mettevo davanti alla tastiera e stavo male, avevo un blocco. Però, ho continuato a fare i concerti live, che sono il motivo poi per cui ho scelto di continuare ad andare avanti in questo lavoro. Ho vissuto sempre in mezzo alla musica, ho sempre fatto questo e non saprei da che parte girarmi per fare un altro lavoro. Boh, sarei parecchio imbranata a fare qualsiasi altra cosa. Ho passato anche un momento piuttosto difficile per cui sono dovuta andare in psicoterapia e farmi aiutare anche con dei farmaci. Soffro di attacchi di panico e mi sono dovuta prendere del tempo anche per questo, però quando andavo a fare i concerti dal vivo toccavo la felicità. Quando vedevo le persone emozionarsi con me capivo che aveva senso continuare. A un certo punto ho sentito talmente tanto il bisogno di comunicare, tirar fuori quello che avevo dentro che è ritornata questa voglia di mettersi lì e scrivere.

Cos’è per te la scrittura? 

Per me scrivere è liberatorio. Finalmente in questo disco c’è tutto quel che ho deciso io, però l’ho utilizzato un pò egoisticamente, anche come sfogo e come cura. Nel tempo mi sono sempre sentita dire che quel che scrivevo io non andava bene per il mercato. Eppure a me sembrava di avere delle cose da dire sinceramente e quindi mi sentivo un pò limitata. Se una nasce cantautrice non può fare solo l’interprete.

Cosa ne pensi di “questo” mercato a cui tutti devono adattarsi?

Il fatto di seguire delle onde è naturale, è sempre stato così, però adesso l’onda è unica. Prima c’era più spazio, c’era più varietà di musica, c’era il cantautore, c’era una parte rock, il cantante blues… Oggi sembra che la cosa si sia molto molto ristretta e quindi succede che tutto si appiattisce e che una canzone assomigli all’altra. C’è un settore piccolissimo di scelta musicale. Enorme ma piccolissimo. Inoltre, il nostro percorso musicale è legato a un algoritmo e la gente vive la musica in modo passivo. Le etichette discografiche quando ho proposto questo progetto mi hanno dato dei due di picche giganteschi. La cosa bella di questo mio non avere niente da perdere però è la libertà totale di fare ciò che sento. Io ci credo in questa cosa. Vengo da una scuola per cui per scrivere un album ci voleva un anno e mezzo, due anni in studio tutti i giorni. Dovevi avere una rosa di trenta canzoni per poi sceglierne dodici, per avere le migliori, quelle che sentivi di più. Oggi, ogni due settimane devi scrivere un pezzo e tirarlo fuori. Come puoi avere cose da dire in così poco tempo?L’autore secondo me dovrebbe anche vivere un pò la vita, no? Cioè carpire le emozioni della gente, carpire quello che c’è intorno per poter poi scrivere. E ci vuole tempo per questo, non lo puoi fare in modo così veloce e quindi secondo me tutto questo và contro la vera creatività la vera arte.

Tu questo disco l’hai scritto principalmente di notte, come mai?

È stata una cosa spontanea, perché la notte non ci sono distrazioni, telefonate. Di notte c’è poi c’è questo silenzio che senti e ti avvolge e quindi ho sempre trovato più ispirazione.

Affronti temi complessi, come la salute mentale, il mansplaining, le pressioni di una società che ci vuole sempre performanti e produttivi…

Ho vissuto tutto sulla mia pelle. Facendo un percorso di psicoterapia ho capito tante e mi accorgo del disagio che c’è sempre di più, anche per quanto riguarda i ragazzi. Vederli vivere in questo mondo così veloce, così frenetico, in cui devi essere sempre performante, devi essere sempre forte, non puoi far vedere che sei fragile perché altrimenti ti tagliano fuori, è faticoso. La salute mentale per me è un argomento molto importante, soprattutto adesso. Quanto alle donne, certo, abbiamo fatto dei passi avanti rispetto alla parità di genere ma la cultura patriarcale è ancora predominante. Banalmente, se ti vesti troppo osé sei una puttana, se ti vesti casual sei sciatta, se non ti metti i tacchi non sei femminile. Io per esempio ho un problema ancora grandissimo con i tacchi perché sono alta 1 e 80 e non riesco a camminarci.Però a volte mi sono sentita dire “Irene sei poco femminile, ti devi vestire più femminile, anche perché poi sai nella musica essere sexy è importante”. E poi quando però sei anche una donna determinata, una donna forte, allora fai paura agli uomini e quindi sei una rompiballe. Mi sono sentita dire “Irene adesso mica vorrai rimanere incinta, eh. Qui ora c’è da partire con il disco”. Perché una donna deve avere lo stress di non rimanere incinta? Gli uomini non se le pongono queste queste problematiche. Lo spazio, non solo musicale, per la donna è difficile da conquistare, anche se le cose ora stanno andando meglio.

Tuo padre ha ascoltato il tuo disco?

Certo e non gli è piaciuto. E vista la mia rivoluzione interna, è anche giusto che a lui non piaccia. Non sto più aspettando approvazione di nessuno e questa è una bella conquista, di libertà totale. E spero che questo messaggio arrivi attraverso le mie canzoni, anche alle persone che stanno passando un momento difficile e che si sentono sbagliate, che hanno tormenti dentro che non riescono a tirare fuori. Io spero che questo album possa veramente dare energia. I messaggi più belli sono quelli che mi arrivano dalle persone che mi dicono di aver trovato conforto e carica nelle mie canzoni.

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