Costume

«Io, direttrice d’orchestra, dico alle ragazze: abbiate coraggio!»

13 Marzo 2021

Il mondo della musica classica è sempre stato appannaggio degli uomini. Soprattutto il mondo della direzione d’orchestra. Oggi non è più così, grazie a donne come Gianna Fratta, che sul podio sale regolarmente da vent’anni. Quarantasettenne di origini foggiane, con alle spalle studi in Italia e all’estero, era una bambina quando si innamorò della musica, e a soli nove anni capì che il suo desiderio più grande era dirigere.

«Era fantascienza all’epoca – racconta – infatti i miei genitori non mi presero affatto sul serio. Ma è questo il bello dei bambini: sono scevri dai pregiudizi». Certo, sognare di diventare una direttrice d’orchestra nel 2021 è diverso da sognarlo nei primi anni ‘80. Ma Fratta conferma che per una donna la strada per dirigere un’orchestra è tutta in salita.

Ecco perché bisogna studiare e lavorare senza sosta, e andare avanti puntando sempre sulle proprie competenze e capacità, senza prendere scorciatoie né accettare compromessi. Lei per esempio si è diplomata in pianoforte, in musica corale, in direzione di coro, in composizione e in direzione d’orchestra.

Quando le si chiede come voglia essere definita, direttrice o direttore, sembra quasi sorpresa dalla domanda. «Direttrice, è chiaro» risponde poi. E puntualizza: «Del resto non sono solo io a volerlo, ma anche la lingua italiana».

Come è nato il suo amore per la musica?

Per caso. Da piccola dormivo molto poco, quindi i miei genitori cercarono di farmi fare molta attività. Mi iscrissero a nuoto, danza, sci, e anche a pianoforte. E da quando ho cominciato, a cinque o sei anni, non penso che ci sia stato un solo giorno della mia vita in cui non mi sia dedicata alla musica, in qualche modo. È diventata subito una parte di me. Non potrei concepire la mia vita senza la musica.

Quando ha cominciato con il conservatorio?

Molto presto, a otto anni. Entrai al Conservatorio di Milano e frequentai i primi corsi nella sede distaccata di Como. E poi successe che, la prima volta che il mio maestro di pianoforte mi invitò ad assistere a un suo concerto da pianista in un’orchestra, capii che in realtà io non volevo fare la pianista. Uscii dalla sala sapendo che volevo stare al posto di quel signore che avevo visto al centro, il direttore.

Quindi ha capito molto presto che voleva dirigere.

Prestissimo, avevo solo nove anni. Era la prima volta che sentivo un’orchestra dal vivo, ed evidentemente rimasi così colpita da quello straordinario insieme di suoni che pensai che il posto migliore per ascoltarli fosse quello del direttore. Lo dissi subito ai miei genitori, e naturalmente loro non mi presero sul serio, ero una bambina.

E tra l’altro all’epoca era fantascienza l’idea che una donna potesse occupare quel posto.

Assolutamente sì, era fantascienza. Ho iniziato a dirigere vent’anni fa ormai, e oggi per le direttrici d’orchestra che hanno dieci o quindici anni meno di me le cose sono diverse. Quando decisi di voler fare questo mestiere, a nove o dieci anni, non c’erano assolutamente donne direttrici d’orchestra, non ne conoscevo. Però mi ci volle del tempo per capire che quello non era visto come un lavoro da donna: i bambini sono scevri dai pregiudizi, e del resto questa è una delle cose più belle dei bambini. Io non avevo assolutamente la consapevolezza di stare un mestiere così legato all’universo maschile nell’immaginario collettivo. E credo che questo mi abbia aiutata: forse se avessi avuto tale consapevolezza, sarei stata influenzata dall’assenza di donne sul podio.

Poi cosa è successo?

Ho cominciato a studiare tantissimo perché mi sembrava l’unico modo per raggiungere quell’obiettivo. Tutta la vita l’ho passata studiando. All’epoca non c’era ancora stata la riforma che ha reso lauree anche i titoli del conservatorio, quindi mi sono diplomata in pianoforte, musica corale, direzione di coro, composizione e direzione d’orchestra. Ho fatto un percorso di studi davvero molto lungo, ma che mi è servito davvero tantissimo.

E dove ha studiato?

I conservatori principali in Italia sono stati Foggia e Bari, anche se poi il perfezionamento in direzione d’orchestra l’ho fatto a Siena, all’Accademia Chigiana. Per il pianoforte ho seguito vari insegnanti a Roma, Imola, Firenze. E ho fatto molti corsi di perfezionamento all’estero.

In effetti ha studiato davvero molto.

Sì. Mi sono anche laureata in giurisprudenza all’Università di Bari.

Insomma, lei ha continuato a dormire poco anche crescendo.

Sì, dormo poco anche adesso in effetti [ride]. Ai tempi dell’università studiavo magari fino all’una di notte e poi alle sei ero in piedi. La mia vita è sempre stata così, dedita alla musica e allo studio.

Fotografia di Mimmo Attademo

Giurisprudenza è stata una sorta di assicurazione nel caso in cui le cose con la musica non avessero funzionato?

Sì, ammetto che l’ho fatto in parte per dare un po’ di tranquillità ai miei genitori. E del resto crescendo mi ero resa conto che dirigere un’orchestra non era così semplice, e quando arriva la consapevolezza ci si comincia a porre i problemi. Ho voluto la laurea in giurisprudenza per placare quella voce che, per quanto mi sforzassi, mi diceva “e se non ci riesci?”. In fondo negli anni Novanta le direttrici d’orchestra in Italia si contavano al massimo sulle dita di una mano…

E immagino che lungo il suo percorso più di una persona le abbia detto quanto fosse improbabile che lei riuscisse a diventare direttrice d’orchestra.

Certo, sì. Tanto per cominciare, ovviamente, avvertivo la paura della mia famiglia, sebbene avessi vinto il concorso per la cattedra in conservatorio già a diciannove anni, subito dopo il diploma in pianoforte. Però anche i docenti mi dicevano che era difficilissimo, per non parlare dell’assoluta mancanza di riferimenti. Se ci fossero già state delle altre donne avrei potuto ispirarmi a loro, anche nei passi da seguire. Invece era proprio una strada che non esisteva, tutta da tracciare. Prima che cominciassi io c’era Elisabetta Maschio, ma a parte lei non mi sembra proprio che ci fossero altre direttrici d’orchestra in Italia. E adesso sono contenta anche di questo, perché io ho fatto un po’ meno fatica di chi è venuta prima di me, e ora pure io sto dando la possibilità, a chi verrà dopo, di fare un po’ meno fatica. Mano a mano, col tempo, le abitudini e i pregiudizi si smantellano. In un certo senso è proprio come tracciare un sentiero nella foresta: il primo che passa fa una fatica immane, il secondo un pochino meno, il terzo ancora meno, e così via.

Quando ha cominciato a dirigere?

Avevo venticinque anni. Da allora, verso la fine degli anni ‘90, noi donne abbiamo cominciato a essere un po’ più numerose. Però i problemi c’erano. A cominciare da una fortissima assenza nei cartelloni: nei cartelli dei teatri italiani di vent’anni fa la presenza femminile era pressoché nulla.

Ci sono dei teatri, delle orchestre, dei momenti a cui è particolarmente legata?

Naturalmente l’Opera di Roma, dove sono stata la prima donna italiana. Sono stata anche la prima donna a dirigere i Berliner Symphoniker, e quello è stato un momento di grande emozione perché è una grande orchestra. La Sinfonica di Macao, in Cina, la ricordo con tanto affetto anche perché ero molto giovane, erano i primi grandi concerti internazionali che facevo. Poi il tour in Sudamerica.

In Italia sono molto legata anche ai ricordi dei concerti a Firenze e Catania, ma soprattutto quello del Concerto di Natale a Palazzo Madama di quattro anni fa. Era la ventesima edizione, e per la prima volta veniva diretto da una donna. Per me è stato davvero bellissimo. Dirigere davanti al presidente della Repubblica, ai senatori, mi è sembrato un riconoscimento istituzionale: era come dire ecco, l’Italia prende consapevolezza che questo concerto può essere diretto da una donna. Anche perché ho voluto un’orchestra composta dai migliori allievi di tanti conservatori italiani, ma provenienti da situazioni di disagio. C’era un coro di bambini e, accanto, il coro delle Mani Bianche. Penso che mi sarebbe piaciuto meno se ci fosse stata un’orchestra prestigiosa, perché è stato un messaggio sociale a tutta l’Europa che ci guardava. In fondo è questo il vero valore della musica, salvare i giovani e offrire un riscatto, una speranza, e un mezzo di comunicazione.

All’inizio la sentiva la pressione di essere una rara avis come direttrice d’orchestra?

Oh sì, assolutamente. Già quando studiavo direzione d’orchestra la stragrande maggioranza degli alunni erano maschi. E poi, quando ho iniziato a girare per i teatri e a incontrare i direttori artistici, vedevo che nei cartelloni erano tutti uomini. Infatti per me il momento più difficile, di grande dubbio, è stato quando ho dovuto iniziare la mia carriera.

E come ha superato quel momento difficile?

Ho dovuto ingegnarmi. Ho capito che non avrei mai fatto breccia proponendomi come “Gianna Fratta, direttrice d’orchestra”, se non in quelle situazioni in cui chiamano le donne perché, per esempio, è la Festa della Donna, e che chiaramente non aprono alcuna carriera. Ho capito che non potevo contare su di me, le mie competenze o i miei diplomi, e che dovevo puntare su delle idee musicali che potessero affascinare i direttori artistici. Così portavo alle orchestre degli spartiti scritti e arrangiati su misura per loro, in base alla loro formazione, per esempio. Ed è stato proprio con questo approccio innovativo, diciamo, che sono diventata la prima donna a dirigere l’Opera di Roma.

Cioè?

Vede, sapevo che non sarei mai potuta andare dal direttore artistico dell’Opera di Roma a chiedergli di farmi dirigere [ride]. Non avrebbe mai funzionato, non avevo la carriera, forse neanche la credibilità per poterlo chiedere. Però sapevo che era un grande appassionato di opere del post-verismo, e soprattutto di un autore foggiano, Umberto Giordano. Così lo invitai a un allestimento dell’ultima opera di Giordano, “Il re”, che stavo dirigendo proprio a Foggia. E dato che quell’opera non viene mai messa in scena, lui ne fu incuriosito, accettò l’invito e venne. Due mesi dopo, ricevetti la chiamata dell’amministrazione del Teatro dell’Opera di Roma…

È così che sono nate le cose, attraverso le idee. All’inizio non sono mai stata invitata in quanto donna, o in quanto Gianna Fratta. Ho sempre scovato dei percorsi di una certa creatività che, con il tempo, mi hanno portata a ciò che desideravo, ossia vivere di direzione d’orchestra.

 

Insomma, è importantissimo saper innovare. Come lo è applicarsi e studiare molto, vero?

Sì, è fondamentale. E cerco sempre di comunicarlo ai giovani che vogliono intraprendere la stessa strada che ho preso io. Il mio metodo è sempre stato quello di studiare tantissimo senza scendere mai a nessun compromesso. Ne sono molto orgogliosa, e ogni volta che qualche mio alunno al Conservatorio di Foggia, dove insegno, dice che vanno avanti solo i raccomandati, io gli rispondo che dove ci sono i raccomandati devono per forza metterci anche quelli bravi, perché qualcuno deve mandare avanti il lavoro. Pensate solo a essere preparati, dico loro. Se siete preparati arriverete senza bisogno di cercare scorciatoie. Sì, credo moltissimo nel merito.

Le è mai capitato, in situazioni professionali, di essere oggetto di avances o addirittura molestie?

Certo, mi è capitato, capita. È chiaro che quando l’uomo che ti fa delle avances non richieste è anche quello nella posizione di poterti o meno dare un lavoro, la situazione è complicata. Però fortunatamente non mi sono mai trovata in situazioni serie, di disagio. Forse anche perché ho la fortuna di riuscire spontaneamente a troncare subito la cosa in modo efficace. Sono molto ferma, secondo qualcuno anche un po’ tagliente.

Pensa che per una donna una forte consapevolezza di essere preparata e dei suoi obiettivi possa essere utile anche per superare questo tipo di problemi?

Sì, indubbiamente. E secondo me bisogna proprio avere il coraggio di pensare che anche se in quel momento dici di no, non per forza quella porta si chiuderà e quella persona non ti darà il lavoro. In qualche caso magari ti stimerà anche di più.

Sul suo profilo Facebook lei ha espresso il suo disaccordo in merito alla richiesta di Beatrice Venezi al Festival di Sanremo di essere definita “direttore d’orchestra”.

Sì, mi dispiace dirlo, però l’ho trovato un messaggio davvero diseducativo, e sinceramente anche un po’ retrogrado nel 2021. Insomma, viviamo in tempi in cui la sociolinguistica sta facendo dei passi da gigante, ci sono tantissime studiose e studiosi che si occupano di questi temi. E a mio parere non può essere che su Rai1 si veicoli un messaggio del genere davanti a tutti i giovani che guardano; è stata un’opportunità persa.

Poteva finalmente essere un bel momento, in cui la musica veniva giudicata da chi la conosce, per una volta una donna: era toccato a una direttrice d’orchestra, ma sarebbe potuta essere una musicista o una compositrice (chissà, magari in una prossima edizione). Era una grandissima opportunità per lanciare un messaggio, per fare cultura. E purtroppo è andata bruciata con un’affermazione che poteva avere un suo senso dieci anni fa, quando tutte noi ci facevamo chiamare “direttore”. Oggi i tempi sono cambiati, le direttrici d’orchestra sono sempre più numerose, per fortuna. Il linguaggio può e deve modificarsi con la realtà, adeguarsi ai tempi, come è stato in tanti altri settori, anche musicali. Ci si abitua alla declinazione al femminile quando la presenza delle donne in una determinata professione aumenta.

Quindi lei pretende di essere chiamata direttrice d’orchestra.

Beh sì, adesso i tempi sono maturi. E diciamo che lo pretende anche la nostra lingua. E poi io sono una donna, troverei davvero strano che ci si rivolgesse a me al maschile. In genere chi mi conosce non si pone proprio il problema, chiamarmi direttrice sorge molto spontaneo. E a coloro che mi chiamano direttore non dico nulla: è un processo lungo che ognuno deve compiere dentro di sé. Arriverà un giorno in cui a nessuno suonerà male sentire direttrice d’orchestra, ministra, sindaca, avvocata. In questo il presidente della Crusca è stato chiaro: dopo aver giustamente detto che ognuno può farsi chiamare come ritiene, ha poi aggiunto che a lui verrebbe naturale, vedendo una donna sul podio, dire che è una direttrice d’orchestra. A Sanremo si è comunicato il dubbio che ci sia un solo modo per comunicare la professione di chi dirige un’orchestra, il maschile. Non è così, e la scelta del femminile non diminuisce il talento di un’artista.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.