Musica

Il tallone di Achille

20 Febbraio 2019

Un’epopea a puntate quella sulle polemiche suscitate dal brano Rolls Royce presentato dal trapper Achille Lauro al Festival di Sanremo da poco concluso.

Se Striscia la Notizia, col fine precipuo di delegittimare le capacità selettive del direttore artistico inviso a Ricci, cavalca la pericolosità del presunto messaggio inneggiante alla droga, Morgan innalza certamente il livello della diatriba con le sue encomiabili escursioni culturali. I tratti della questione assumono allora connotati di richiamo vagamente omerico, sia per uno spessore contenutistico innegabile, ma anche per un’ inclinazione alla sintesi latitante, non pervenuta. Morgan è così: talmente ricco di conoscenza musicale da aprire digressioni sicuramente pertinenti ma anche artefici di una certa dispersiva leggibilità.

Nella sua difesa di Rolls Royce, con annesso interprete, propone un’analisi condivisibile che in soldoni verte sull’originalità del linguaggio, sul valore iconografico della Rolls e sulle immagini psichedeliche di altrettante icone di una vita spericolata, travagliata, maledetta (Doors, Hendrix, Monroe, Winehouse). Opera dei confronti interessanti con diversi brani dedicati ad automobili, simboli di uno stile di vita o espedienti per descrivere un immaginario (Mercedes Benz della Joplin, Torpedo blu di Gaber).

Non solo, innalza ulteriormente il livello collegandosi alle figure retoriche usate nel testo. “No, non è musica. È un Mirò…”, “No, non è un drink, è un Paul Gascoigne” sarebbero sinestesie. E come dargli torto? L’accostamento di sfere sensoriali distinte oggettivamente c’è.

Io ancora oggi chiamo Lassie la tavoletta Nestlé del Galak. Tutto perché quando ero una bimba tanto golosa, scartai famelica lo stucchevole cioccolato bianco mentre alla tv trasmettevano la sigla del telefilm “Torna a casa Lassie”. Nemmeno infinite sedute analitiche da fior fiori di luminari della psiche mi hanno estirpato questa intersezione traumatica dalla testa e ora quel ricordo è assurto alla promozione poetica di sinestesia (musica del telefilm legata a sapore del cioccolato).

Altra questione sarebbe se io poi andassi in giro equiparandomi a un Proust in gonnella con la strenua convinzione che anche lui col profumo delle madeleine abbia alla fin fine ottenuto lo stesso risultato. Diciamo forse che quella memoria sensoriale ha dato il là alla costruzione di qualcosa di più profondo, a tutta quella ricerca del tempo perduto che non a caso ha lasciato i suoi segni nella letteratura europea del novecento.

Morgan schiera in campo una bella fetta della sua cultura per difendere ‘sto benedetto ragazzo e tutto gode di una certa attendibilità fino a quando non cade nella trappola del surrealismo per spiegare l’inspiegabile. Se le associazioni d’idee contenute nel brano sembrano non avere riscontro logico, ecco che giunge in soccorso il surrealismo, e come esempio chi viene citato? Battiato.

Ora, che Battiato sia ricorso al surrealismo, magari è pure vero, o magari lo chiamiamo così perché alcuni passaggi sono rimasti ermetici e Battiato rimasto sempre poco interessato a illuminarci sulle dinamiche creative della sua poetica; ma come si fa a dire che il celebre verso “a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie” sia frutto di surrealismo, di accostamento nonsense? Il messaggio di questo verso come di tutto il brano “Bandiera bianca” è una resa evidente, una dissacrazione di tutto ciò che fino ad allora era considerato mito intoccabile. Una provocatoria distruzione dei vigenti valori di bellezza artistica e di costume considerati obsoleti o ai quali comunque non rimanere ancorati in maniera troppo coriacea.

Ma al di là di come stiano realmente le cose, le perplessità sul valore contenutistico del brano trap restano, anche perché per comporre questo “capolavoro” di figure retoriche ci sono voluti cinque autori, una squadra di calcetto insomma, e chi l’ha eseguita sul palco sanremese biascicava le parole in maniera vagamente assimilabile a un soggetto preda di allucinazioni legate all’assunzione di chissà quali sostanze psicotrope. Quindi, se alla fine di queste analisi si arrivasse poi alla conclusione che il brano Rolls Royce nasca proprio sul convoglio di due binari interpretativi (auto icona-pasticca, pasticca-auto icona) che viaggiano paralleli per tutto lo sviluppo del brano, sarebbe quanto meno un epilogo pacifico per tutti; ma l’aspetto divertente di tutta questa vicenda, alla resa dei conti, qual è ? È forse tutto racchiuso in una domanda: dei contenuti comunque elevati e interessanti di questa difesa firmata Morgan, Achille Lauro ha davvero compreso qualcosa?

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