Musica
Il rock non è morto, ha solo le tette
Avete notato come nel mondo della musica si registra una progressiva scomparsa di personalità maschili? Il tema non sembra appassionare molto gli addetti ai lavori o forse fingono di non vedere. Sarà che molte persone oggi hanno il cervello ottenebrato da patetici e decadenti teatrini in scena sul tubo catodico, come i talent show. Sarà che troppi discografici delle major non hanno fiuto e la mancanza di figure di spessore nello showbiz si fa sentire. Si preferisce la pappa bella, pronta e confezionata da dare in pasto ad un pubblico sempre più eterogeneo, favorendo (guarda un po’ che coincidenza!) gli stessi talent. La musica è così diventata solo un pretesto. L’unica cosa che abbia un valore è il personaggio e la forza della sua narrazione, per quanto scadente sia.
Dinanzi a questo dilagare dell’immagine, il corpo femminile, da sempre simbolo di bellezza, è sovraesposto ed eretto a totem del conformismo. Spesso (e volentieri) adula il più becero maschilismo che, camaleonticamente, trova sempre nuovi modi di affermazione. Il conformismo, oggi come non mai, costituisce un metodo di affermazione ultra consolidato. Se in passato la cultura musicale incarnava la ribellione al costume dominante, oggi la facilità con cui si accede alla musica, con conseguente calo di vendite, ha fortemente intaccato l’immagine del rock. Anche i supporti avevano un carico simbolico, rappresentavano la diffusione del verbo e spesso erano oggetto di culto tra gli appassionati (anche oggi lo sono, ma in modo ridimensionato). Inoltre i rocker di ultima generazione preferiscono le vecchie glorie: manca un Jim Morrison o un Kurt Cobain che nel bene e nel male rappresenti il mondo giovanile come fenomeno di cambiamento. Nemmeno l’underground se la passa bene, e se un tempo la nicchia rimarcava la propria appartenenza ad un mondo diverso, fatto di contenuti e non di numeri, oggi rivolgersi a un pubblico ristretto non è sempre sinonimo di affermazione della propria arte e fuck the world. Rappresenta piuttosto l’attuale condizione dettata dal mercato in tempo di vacche magre. Volenti o nolenti per qualsiasi artista sarà difficilissimo realizzare in termini di vendite un Back in Black o un The Dark Side of the Moon, al tempo stesso quante speranze abbiamo che un Unknown Pleasures o uno Spiderland vedano la luce?
Sarà il caso di mettere fine alla parola rock? Nient’affatto! Il suo ritmo pulsa ancora forte, ma sotto il cuore delle donne. Potrebbe apparire paradossale, ma per liberarsi da una morsa maschilista ci volevano loro! Sono certe ragazze che portano avanti il rock, quelle che in musica si ribellano, urlano, amano, dubitano, si incazzano. E lo fanno terribilmente con stile, portanto alla ribalta il loro mondo interiore, schegge impazzite di modernità che solo alcune serie televisive sono riuscite a rappresentare. Eppure sembra che la nostra società maschilista non voglia accettarlo. Un vizio antico. Del resto alle donne sono stati concessi pochissimi spazi, anche nel mondo della musica. Certo, ci siamo incantati sulle note di Janis Joplin, Joan Baez, Nico, Patty Smith, Bjork o Pj Harvey, eppure lo strapotere maschile non è mai stato messo in discussione. Mai. Neanche per un secondo. Questione di talento o visibilità? Chi lo sa. Ad ogni modo la musica rock è cambiata profondamente e oggi i maschi hanno ben poco da dire. Colpa della crisi dei ruoli? Forse. Chi ne avrà voglia potrà prodigarsi in interessantissime analisi sociologiche e sociali, che relativamente toccano il discorso musicale. Gliene saremo profondamente grati. Al momento godiamoci le cose più belle, toccanti ed originali prodotte in ambito rock, ammettiamo senza remore che sono prodotte da donne. Il rock ha perso le palle, ma ha guadagnato le tette! Ci sarebbe da chiedersi perché le femministe non ne facciano una conquista: il mondo sembra non fregarsene niente adesso, ma probabilmente in futuro sarà grato alle innovazioni chitarristiche di St. Vincent, alle vibrazioni di Anna Calvi, al songwriting raffinato di Julia Holter o al mood romantico con venature funky soul di Alabama Shakes. Le donne in musica sono ormai le detentrici della qualità, scusate se è poco! E non c’è contratto lavorativo che possa sovvertire questa condizione, almeno fino a quando qualcuno avrà qualcosa di interessante da dire. Nessuna discriminazione in caso di maternità e neppure alcuna rigidità sull’orario lavorativo. Ci pensate? Le donne artisticamente impegnate sono davvero libere, a loro è davvero concesso non fregarsene niente e fare quello che vogliono. Perché questo non viene riconosciuto? Escludendo le donne il meglio che il rock contemporaneo ha da offrire sono gruppi come Franz Ferdinand, Arcade Fire, Tame Impala o gli Editors (tralasciando Radiohead, Muse, Foo Fighters, Queens of the Stone Age e co., mostri sacri affermatisi negli anni ’90 o all’inizio del nuovo millennio). Se le cose stanno così ci sarebbe davvero poco da stare allegri. Che fare? Lasciatevi conquistare da Annie Clark, Brittany Howard, Natasha Khan, Chelsea Wolfe, Anja Plaschag e tante altre di cui parleremo presto. Vi travolgeranno con loro forza. Scoprirete che un volto autentico nello showbiz esiste ancora. Ne proverete un enorme senso di gratitudine perché in tempi odierni c’è un disperato bisogno di autenticità.
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