Innovazione
Il ritorno del vinile risveglia il mercato discografico
Tornare al passato per sperare di avere ancora un futuro. E’ questo il curioso destino delle case discografiche, che nel 2016 stanno cercando di rilanciare un formato storico? L’immaterialità della musica digitale rende impossibile vendere i supporti originali
Per celebrare il venticinquesimo anniversario dell’uscita di “Incesticide” dei Nirvana, il 13 gennaio ne verrà pubblicata una ristampa in vinile. “Simple Minds Acoustic”, il disco nel quale la celebre band scozzese rilegge i propri successi in chiave unplugged, è stato pubblicato anche in vinile, con tre tracce aggiuntive. E’ atteso a breve un 45 giri degli Smiths, con due nuove versioni dei loro classici “The Boy With the Thorn in His Side” e “Rubber Ring”.
La moda del vinile non riguarda soltanto gli amanti del sound retrò. Sono usciti in questo formato anche gli ultimi dischi di Nek, Ligabue, Tiziano Ferro, Rolling Stones, Leonard Cohen, Fiorella Mannoia e One Republic, così come la quasi totalità delle novità discografiche.
La scorsa settimana, la Entertainment Retailers Association ha annunciato con grande enfasi che, per la prima volta, in Gran Bretagna il volume d’affari di questi oggetti così “vintage” ha superato quello della musica digitale: 2,5 milioni di sterline, contro 2,1 milioni. Lo storico sorpasso ha completato una curva di crescita che, seppure sottotraccia, era cominciata all’inizio del Duemila.
Negli anni Novanta, l’esplosione del compact disc aveva soppiantato i metodi tradizionali di fruizione della musica. Non solo i dischi, ma anche le audiocassette avevano patito il sorpasso da parte del nuovo formato, che consentiva, tra l’altro, di passare da una traccia all’altra senza il fastidio di ricorrere ai tasti fast forward e rewind.
A loro volta, i c.d. hanno subito l’evoluzione tecnologica, vivendo una stagione brevissima. A cavallo tra i due millenni, la diffusione delle connessioni Internet e delle tariffe flat hanno portato al travolgente successo degli mp3. Da Napster a eMule, con mille varianti intermedie, la musica ha perso la sua dimensione corporale, diventando un flusso liquido che, dal download allo streaming, è assurto a protagonista delle nostre vite in un modo sicuramente più comodo rispetto ai vecchi dischi, ma anche estremamente meno affascinante.
Un tempo esibivamo le nostre opere preferite, con le loro copertine altrettanto ricercate, sugli scaffali di casa. Oggi non possiamo farlo, anche se in cambio possiamo viaggiare in metropolitana tenendo in tasca l’intera discografia di tutti i nostri gruppi preferiti. E anche di quelli così-così.
Un bel cambiamento rispetto a quando si andava in vacanza con una cassetta di pezzi selezionati per l’occasione nello zainetto! Eppure, nello stesso arco di tempo, è lentamente ricominciata la risalita del disco in vinile, come si vede bene da questo grafico:
Come è possibile che un oggetto così scomodo da usare, che va protetto da graffi, luce e calore, sia tornato prepotentemente di moda? C’è sicuramente un tema legato alla resa sonora, che nel digitale può essere limitata dall’eccessiva compressione. Tuttavia, va detto per godere appieno delle potenzialità del vinile serve non solo un orecchio molto allenato, ma anche impianti stereo decisamente costosi, difficili anche solo da trovare in circolazione. In sostanza, gli audiofili esigenti sono troppo pochi per produrre un effetto del genere sul mercato.
La vera svolta è nata dal fatto che la digitalizzazione ha prodotto un cambiamento radicale del modello di business nell’industria discografica. I molteplici tentativi di bloccare le copie illegali (c.d. protetti, siti oscurati…) sono miseramente falliti, arrivando alla situazione che già abbiamo descritto qualche settimana fa, parlando delle particolari scelte commerciali di Prince: i musicisti non guadagnano più dalla vendita dei supporti fisici con incisa la propria musica, ma accettano il fatto che essa circoli liberamente, per poi beneficiare dell’indotto, a partire dai concerti. E’ un sistema che si regge su un equilibrio decisamente precario, come un elefante che volesse imitare le evoluzioni di Philippe Petit, e sul quale è molto difficile azzardare previsioni.
Il ritorno al passato sembra offrire una chance ai manager di questa industria. Oltre a restituire ai fans il piacere tattile di un disco da estrarre e riporre con cura nella sua copertina cartonata, il vinile restituisce il controllo della situazione alle case discografiche, per una semplice ragione: non è riproducibile.
Ovviamente il suono che vi è inciso può essere duplicato su un altro supporto (una volta erano le audiocassette, oggi è il digitale), ma il pezzo originale è destinato a rimanere tale e, quindi, assume un suo indiscutibile valore sul mercato. Quello che gli mp3 archiviati sul vostro cellulare o sul vostro PC non hanno più.
Il disco torna quindi ad essere un oggetto transizionale, un magnifico regalo (l’imminenza del Natale ha contribuito al sorpasso sul digitale), un’efficace succedaneo di una lettera d’amore ed anche un modo concreto per testimoniare la propria devozione nei confronti di un artista.
Roba da adolescenti? Certo: infatti i millennials sono arrivati all’età giusta per rendersi conto che quei curiosi oggetti di 30 x 30 cm, così simili ai contenitori delle pizze, sono anche dei preziosi pezzi da collezione.
I loro genitori si mettevano in coda per una copia di “London Calling” o “The Unforgettable Fire” perché non potevano fare diversamente, eppure loro stanno cominciando ad imitarli, sebbene oggi la disponibilità illimitata di musica in Rete metta in discussione il concetto stesso di “album”.
Il ritorno del vinile potrebbe davvero cambiare le cose. Non una rivoluzione, ma una restaurazione, un ritorno al passato che sarebbe davvero un caso unico, nel mondo tecnologico che stiamo vivendo.
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