Musica

Il respiro della musica

8 Novembre 2023

Finalmente, ai concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, l’ascolto di una pagina musicale per così dire fresca d’inchiostro, ma sarebbe forse più corretto invece scrivere fresca di elaborazione elettronica. L’uso del live elettronico, in realtà è ormai lungo di decenni. Ma qui si tratta di altro. Procediamo però con ordine. Il concerto è intitolato Augmented Piano, ed è il secondo della stagione da camera. Il programma recita:

“Incipit elettroacustico.

Johann Sebastian Bach, Preludio e fuga in la minore (per organo) BWV 543, trascrizione per pianoforte di Franz Liszt.

Iperludio elettroacustico.

Franz Liszt, Sonata in si minore S 178.

Iperludio elettroacustico.

Jacopo Baboni Schilingi, Sonata per piano e live computer, prima assoluta / commissione dell’Accademia di Santa Cecilia”.

Daniele Spini completa l’illustrazione del programma con un’intervista assai interessante a Jacopo Baboni Schilingi. Direi che Liszt e Baboni Schilingi sono il punto focale del concerto. E non a caso. La Sonata di Liszt è una sorta di punto di arrivo di un processo che comincia con le Toccate di Frescobaldi, ma che conosce una prima definizione sistematica con le Sonate a tre di Corelli, e infine un percorso insieme entusiasmante e problematico che va da Haydn a Liszt, via Mozart, Beethoven, Schumann, Chopin. Da Haydn a Beethoven la sonata si pone come costruzione essenzialmente armonica, di contrasti armonici che possono o no individuarsi in singoli temi. Il romanticismo sposta il contrasto dall’armonia all’invenzione tematica, intesa non più come un complesso ritmico e armonico, ma come profilo melodico. Liszt tenta di costruire una sintesi dei due sistemi. Ciò che accade dopo è la nostra storia contemporanea, da Brahms a Mahler, a Schoenberg, alle avanguardie del secondo novecento. Naturalmente ogni forma musicale è impostata come se fosse una sonata, anche il breve intermezzo di un Brahms o una cantata di Webern, un Klavierstück di Stockhausen. Non è la sola musica che si fa in Europa e nel mondo, e non lo era nemmeno al tempo di Bach, di Mozart, di Beethoven, di Brahms. Né tanto meno del Novecento. Ma è quella che per lungo tempo è stata considerata, sbagliando, la tradizione musicale colta dell’Europa. Qui entra il personaggio Liszt. Che di quella tradizione è forse l’interprete più lucido e coerente. Non si è a caso allievi di un allievo di Beethoven come Czerny, che però è ceco. Come Liszt è ungherese. Il che significa che Liszt tiene il piede in più staffe. Solo chi è fuorviato dall’idea romantica che un tema coincida con il suo profilo melodico può continuare a dire, infatti, che la Sonata di Liszt è costruita su due temi (qualcuno osa dire anche su più temi). La Sonata di Liszt è ossessivamente, furiosamente monotematica. L’idea è una sola, che conosce diverse figurazioni. Sta qui la sua genialità avveniristica da una parte, e lucidamente riassuntiva di una tradizione dall’altra. La beethoveniana variazione perpetua di un’idea musicale originaria conosce, infatti, qui la sua realizzazione più radicale. Ma essa era già prefigurata soprattutto in Haydn, ed è possibile riscontrarla anche in molte pagine di Mozart. Corelli e Bach ne sono, in qualche modo, i suggeritori, più che i precursori. Ed è qui, su questo intrico di un’idea di costruzione musicale, che s’inserisce Baboni Schilingi.

Jacopo Baboni Schilingi

 

Le avanguardie storiche del secondo Novecento hanno esaurito la loro carica propulsiva da tempo. Ma sia i polemici antiavanguardistici che sognano una riesumazione consolante del passato sia gli epigoni ripetitori di formulette isterilite sono fuori strada, non hanno colto il senso di ciò che è avvenuto e che avviene. Lasciando da parte, per il momento, la molteplicità degli esiti musicali coevi alla tradizione di cui si sta parlando, è all’interno di questa stessa tradizione che è presente la possibilità di soluzioni le più diverse, fino addirittura ad accogliere spunti, idee, procedimenti, di altre tradizioni. Le mazurke di Chopin, la danze ungheresi di Brahms, l’ultimo Dvořák, tra i romantici e postromantici, le sollecitazioni di un Berio a esplorare territori poco frequentati dalla musica “colta”, tra gli avanguardisti, sono solo alcuni tra i molti esempi che dimostrano quanto la stessa tradizione fosse in realtà molteplice. La trasformazione elettronica del suono live l’abbiamo già conosciuta, anche tra i compositori delle avanguardie storiche. Ma ora vi s’inserisce una macchina che registra il respiro, inventata da David Kuller e si chiama MyAir: il computer – l’intelligenza artificiale – realizza in tempo reale suoni che ne inseguono il divenire. Simultaneamente sono proiettate su uno schermo immagini dei movimenti del torace durante il respiro. Appare una sorta di medusa in forma di clessidra o una clessidra in forma di medusa che fa scivolare povere luminosa di vari colori dall’altro in basso e dal basso in alto. L’interazione tra il suono del pianoforte, i suoni prodotti elettronicamente e le immagini sullo schermo costituiscono l’opera. Il percettore elettronico dei suoni del pianoforte è usato anche tra i brani di Bach e di Liszt, e diffusi come iperludio elettroacustico tra un brano e l’altro. La melodia cantabile che assume il tema della sonata lisztiana diventa così, per esempio, una melopea ininterrotta, acuta, potrebbe essere di violini, ma inequivocabilmente elettronica, di un fascino sottile, quasi commento musicale di un film. È qui che la proposta di Baboni Schilingi sembra volere integrare in un unico processo i diversi sistemi di produzione del suono che la tecnologia umana ha inventato nei secoli. In fondo, anche il pianoforte è un strumento tecnologico. E forse proprio in tal senso lo intendeva Liszt, che ne sondava le possibilità inesplorate. Possibilità che il pianista Simon Ghraichy esalta come un funambolo musicale.

 

Simon Ghrauchy

 

Il virtuosismo di Bach e in seguito di Liszt, alle tastiere, è tradotto così in una sorta di estraniante virtuosismo attuale, con un che di clownesco – ma perché no? – che non sarebbe dispiaciuto a Picasso o a Milhaud. A cominciare dalla giacca dai ricami luminescenti che nasconde il sensore di respiro. Altissimo, filiforme, Ghraichy è capace di scivolare sui tasti a velocità supersonica, di percuoterli con violenza primitiva. È già musica teatrale la sua esibizione. La grande chioma ricciuta che avvolge il capo come un immenso casco. È capace di dolcezze estenuate – la metamorfosi melodica, appunto, del tema della sonata lisztiana – come di rudezze percussive alla Bartók. D’un balzo Bach e Liszt ci diventano compositori di oggi. I fanatici delle interpretazioni “storicamente informate” proverebbero forse un moto di ripulsa, e avrebbero anche ragione, se questa fosse l’intenzione del pianista, quella cioè di rispettare la storicità della musica che suona. Ma non lo è. Ghraichy legge Bach, Liszt, come se i pentagrammi fossero ancora freschi d’inchiostro, e lui fosse il funambolo magico che li trasforma in suono. Pronto, dunque, per la Sonata per piano e live computer di Baboni Schilingi, frutto di 13 anni di lavoro. In prima esecuzione, l’altra sera alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Moricone” di Roma, per la stagione di concerti da camera 2023-2024 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che gli ha commissionato il pezzo.

Baboni Schilingi e Ghraichy

 

La scrittura pianistica di Baboni Schilingi, come quella di Liszt due secoli fa, si pone come esito di quella stessa tradizione, ma spostandosi due secoli dopo. All’ascolto – che andrà confermato dalla lettura e dall’analisi della partitura – sembrano assunti i molteplici modi di scrittura della musica degli ultimi due secoli, quasi una rassegna di che cosa si può fare con il pianoforte. E, in più, il sensore del respiro, le immagini sullo schermo, il computer. Ma sarebbe sbagliato fermarsi a questa prima impressione. C’è qualcosa di più. La proposta, può darsi, a non chiudersi nei risultati raggiunti dalla pratica esecutiva. Avevamo avuto il pianoforte preparato di Cage. Ma ci restano ancora molti altri modi di preparare un pianoforte. Compreso quello di usarlo così com’è. Ma accostandovi simultaneamente altri modi. Se c’è qualcosa che nella tradizione delle culture umane non ha limiti, è l’immaginazione di modificarle, violarle, trasformarle. Mi pongo delle regole severe, scrive Boulez, per il piacere di infrangerle. E poi c’è chi lo accusa di dogmatismo! La verità è che la lezione delle avanguardie novecentesche è ancora da imparare, non abbiamo ancora finito di afferrarne il significato, soprattutto il fatto che la sua lezione non è un invito a dimenticare il passato e nemmeno a chiuderlo con una regola insormontabile. La lezione vera è un’altra: andare oltre. E dunque: oltre anche alle stesse avanguardie. Se no, che avanguardia è? Lezione, questa, che veramente risulta incomprensibile sia agli epigoni dell’avanguardia sia ai suoi avversari, che sognano sempre, e l’hanno sognata in ogni epoca, un’impossibile restaurazione dell’ordine consolatorio, ch’è per loro l’ordine della tradizione. Dimenticano che la tradizione in tanto si consolida in quanto via via fa cose nuove. Come scrive Karl Kraus (cito a mente): “Ho una notizia catastrofica per tutti i nostalgici: un tempo la vecchia Vienna era nuova”.

Augmented piano

intelligenza emotiva vs intelligenza artificiale

Recital per pianoforte ed elettronica

Simon Ghraichy, pianoforte

Jacopo Baboni Schilingi, live computer

Accademia Nazionale di Santa Cecilia

AuditoriumParco della Musica “Ennio Moricone”, Sala Petrassi

Roma, 7 novembre 2023

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