Musica
Il nuovo album di Johhny Dowd stravolge il folk americano
Il nuovo album di Johhny Dowd parte alla grande con un titolo che è tutto un programma: “Giustiziare il folklore americano”. E subito una batteria elettronica “vintage” (precisamente una Electro Harmonix DRM-16) dà il via con “Unease e Deviance” (malessere e devianza…) a questa prelibatezza rustica, buttandoci con un calcione in una pozza piena di brani che triturano suoni e sensazioni note, trasformandole in canzoni dal sapore alieno e straniante.
È così che, dall’alto dei suoi sessantotto anni, Dowd fa un sol boccone di tanta marmaglia indecente spacciata come indie-folk di livello, e con la sua tipica ironia nera e graffiante, una voce da Humphrey Bogart, suoni sudici e un’elettronica d’altri tempi, ci fa ricordare nomi davvero grossi come Captain Beefheart e Tom Waits, ma anche i Wall of Voodoo o gli Yello in carpenteria. Dowd è uno che suonerebbe tutte le sere nel mio bar immaginario e a cui offrirei volentieri caffè, torta, Glenmorangie e Marlboro; e che starei bene attento di non lasciare solo con mia moglie, perché se è vispo e intrigante come le canzoni che si inventa, c’è da stare attenti. Con un attrezzatura elettrica “primitiva” sa farti muovere i piedi e il culo e scodella canzoni dallo stile originale e senza tempo, che hanno sempre qualcosa di misterioso e inafferrabile e che restano impresse nella memoria regalando un piacere oggi introvabile nel pop in HD made in Cupertino.
“Execute American Folklore”, per dirla con il suo autore è “il mio disco più ballabile, che descrive abbastanza bene la missione che ho portato avanti negli ultimi diciannove anni: prendere la musica americana tradizionale, che amo e rispetto, e stravolgerla a modo mio”. Cosa che succede ad esempio in “Rhumba In The Park”, un brano che ai più preparati ricorderà le fantastiche avventure di Tav Falco e Alex Chilton nei Panther Burns, con un aggiuntina elettronico-robotica che vi vien voglia di giocare a space invaders con le dita unte di patatine fritte. O “Modern Woman” dove la DRM-16 e una tastierina percussiva accompagnano la voce distorta di Dowd con un incedere marziale degno di un John Carpenter d’annata, mentre il testo, come spesso accade, regala pruriginosa ironia (“la mia ragazza ama mangiare cinese e non le piace cucinare. Non è il tipo di donna che tocca, a lei piace solo guardare…”). Vogliamo parlare poi del rapping di “Freddie”? Una cosa talmente esilarante e fuori di testa da sembrare The Fresh Prince (ve lo ricordate Will Smith quando faceva Willy in tv?) che rappa sulla chitarra distorta di Arto Lindsay; una roba che farebbe passare la voglia di suicidarsi anche a un lemming e che compete con il miglior Beck (quello più cazzone e looser, per intenderci). Una menzione speciale poi per il pezzo che dà il titolo al disco, minimale ed efficace a tal punto che starebbe benissimo in una raccolta dei Residents, e anche a “A World Without Me”, che chiude il cd e in cui Dowd sostiene che un mondo senza di lui sarebbe praticamente uguale. Non sono d’accordo. “Execute American Folklore! Revolutionary!” .
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