Musica
Il dolore della storia
Il Quintetto in la maggiore op. 81 di Dvořák è tra i miracoli della musica da camera di ogni tempo. Composto el 1887 sembra percepire la fine di un mondo, senza però individuare la continuazione in altre forme del mondo conosciuto o addirittura il sorgere di nuovi mondi. La dumka, canto popolare di origine ucraina (plurale dumky, dunque il Dumky Trio, dello stesso Dvořák, non accoglie un’espressione inglese, come molti pensano, ma significa trio di dumke) che occupa il secondo movimento si ripiega su sé stesso, accarezza un motivo dal sapore popolare e lo ripete senza sottoporlo a trasformazioni che non siano lo scivolare da una tonalità all’altra, da un modo all’altro. Ha un connotato tipicamente slavo, di tristezza inguaribile, quasi compiaciuta, come in certe mazurke di Chopin. Ma Dvořák sembra approfondirla questa tristezza, ripetersi la melodia quasi come se fosse per l’ultima volta, per non udirla più. Come se le funzioni armoniche fossero sospese, racchiuse in un piccolo cerchio modale dal quale risulta impossibile uscire. La vitalità quasi isterica dello scherzo interrompe la magia, rimette i piedi per terra, guarisce il dolore con una danza. Ma fino a un certo punto. Il trio ripropone l’ineliminabile, l’inestinguibile malinconia della dumka. Ebbene, proprio questo quintetto, di raro ascolto in Italia, ma eseguitissimo in tutto il mondo, è stato scelto da Maurizio Baglini per concludere il ciclo di tre concerti che apre la stagione 2023-2024 della Romatreorchestra. Una stagione, di cui è direttore artistico Valerio Vicari, proposta dall’Università Roma Tre. Maurizio Baglini Project (l’accento va sulla e di project e non sulla o come usano dire gli italiani) è il titolo dei tre concerti. Prima del quintetto di Dvořák si è ascoltato il sublime Quintetto in mi bemolle maggiore K. 452 per pianoforte e fiati di Mozart. Nei due concerti precedenti, il 13 e il 14 ottobre, si sono ascoltati di Schumann il Concerto per violoncello, solista Silvia Chiesa, e il Concerto per pianoforte interpretato dallo stesso Baglini, l’Orchestra Roma Tre diretta da Sieva Borzak. Nel secondo appuntamento musiche per pianoforte del Novecento, da Debussy a Berio. Matteo Bevilacqua, Simone Librale e Baglini, i pianisti. Io ho ascoltato la terza serata, quella appunto con i quintetti di Mozart e di Dvořák, nel cortile del Convitto Vittorio Locchi, un elegante edificio del primo Novecento. Insieme a Baglini, hanno suonato i musicisti del Roma Tre Orchestra Ensemble: per Mozart, Alessandro Crescimbeni, clarinetto; Simona Maffei, oboe; Eliseo Smordoni, fagotto; e Andrea Puccetti, corno. Per Dvořák, Elisa Eleonora Papandrea, primo violino; Hinako Kawasaki, secondo violino; Carlotta Libonati, viola; e Angelo Maria Santisi, violoncello. Perfetto l’accordo tra i musicisti, l’interagire delle parti, delicatissimo soprattutto in Mozart, che ama dividere una frase tra gli strumenti. Dvořák richiede un altro accostamento, se si vuole, perfino più complicato. L’evocazione di un mondo che scompare espressa da un miracoloso intreccio di tradizioni. Il canto popolare slavo riscritto da un orecchio che serba la memoria di Mozart, Chopin, Schumann, Brahms, soprattutto Brahms, anche lui, del resto, compositore della fine. Da un ascolto simile se ne esce pieni di riflessioni sull’oggi, che ugualmente viviamo una fine. Come se il dolore della storia non potesse conoscere consolazione. E tuttavia conquistarsi un’apparenza di felicità con la bellezza del canto. E sia Mozart, sia Dvořák questa bellezza ce la regalano doviziosamente. La stagione, che vedrà misurarsi con il pubblico numerosi giovani e giovanissimi interpreti, comincia bene. La seguiremo quanto sarà possibile. Ad maiora!
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