
Musica
Il dolore del mondo
Brahms e Mahler, due visioni del dolore del mondo. Currentzis, Kantorow e Mühlemann perfetti nel suonarlo e cantarlo per noi.
Teodor Currentzis divide pubblico e critici. Come sempre accade quando un interprete imposta le sue letture su visioni nuove, che sembrano ignorare la tradizione. Ma se lo si segue attentamente sulla partitura ci si accorge che ciò che appare nuovo, o sorprendente, se non addirittura arbitrario, è invece una fedeltà quasi ossessiva ai minimi dettagli della partitura: Currentzis rispetta ogni minima indicazione, forcelle, corone, rallentandi, accelerandi, sforzati, piani, forti, fortissimi, pianissimi. Ma il dato fondamentale è la ricerca di restituire, anche, o soprattutto, la intricata rete delle combinazioni contrappuntistiche, far venire in primo piano anche voci che si potrebbero giudicare secondarie. Quasi una lettura microscopica della partitura. In Brahms ciò aumenta lo spessore sonoro, già denso, della scrittura; in Mahler esalta la sovrapposizione di temi e gruppi strumentali eterogenei, diversi, che costituiscono la configurazione sinfonica particolare della sua musica. L’orchestra mahleriana sembra, infatti, spesso la simultanea esecuzione di più orchestre quasi in conflitto tra di loro. I direttori tendono in genere a renderla invece più compatta, più vicina all’idea sinfonica della tradizione romantica. Gli stessi direttori che trovano, per esempio, difettosa l’orchestrazione di uno Schumann, proprio perché apparentemente priva di organicità, di compattezza. Currentzis sembra riallacciarsi a Bruno Walter, a Bernstein, al suo conterraneo Mitropoulos. Fu proprio Bernstein a riproporre Schumann nell’orchestrazione originale, e non nelle revisioni successive, e in particolare in quella di Mahler, il quale quando scriveva per sé stesso era difforme dalla tradizione, originale, scandaloso, ma diventava ossequiente quando dirigeva la musica di altri, o forse di Schumann lo disturbavano le asprezze che non coincidevano con la volontà di mettere in rilievo un timbro, un gruppo strumentale, un lavoro, cioè, che non privilegiava gli effetti orchestrali, ma li subordinava a un’idea più ascetica dell’orchestra, stava al direttore di decidere a quali aspetti o strumenti dare rilievo, non al compositore di prevederli nella scrittura. Ma a ciò Currentzis aggiunge l’intenzione di conferire alla partitura la propria idea anche extramusicale d’interpretazione, quale intensità, quale respiro dare ai singoli momenti, per inserirli in un percorso anche emotivo coerente. Forse è anche per questo che ha voluto formare una sua propria orchestra, l’orchestra Utopia, che già nel nome sembra alludere a un’idea platonica, iperuranica di orchestra. Ed è veramente un’orchestra che gli ubbidisce con straordinaria partecipazione. Nel concerto romano, all’Auditorium Parco della Musica, per l’Accademia di Santa Cecilia, ha affrontato due partiture di assai complessa struttura e significato: il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra op. 83 di Brahms, al pianoforte quello che è forse il pianista più interessante apparso negli ultimi anni, Alexandre Kantorow, e la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler, soprano solista per l’ultimo movimento Regula Mühlemann.
Con Kantorow Currentzis collabora da anni e i due mostrano un’intesa perfetta. Entrambi hanno del concerto brahmsiano un’idea che è tutt’altro dall’idea consolatoria, appagata, appagante, di equilibrio, di misura, di ordine accademico, che di solito si ascolta. Fin dall’attacco il concerto ci appare invece come un urlo di disperazione. Un’inquietudine irrisolta travolge anche la forma, espande in quattro i tre movimenti abituali del concerto, l’Andante che dovrebbe disegnare il momento di quiete è un sogno – splendido l’intervento solistico del violoncello di Kostantin Pfiz – un rifugio impossibile, l’utopia irreale che si contrappone all’irrequietezza della vita. Il gioco dell’ultimo tempo è l’ironia di un congedo, il sorriso di chi ha accettato l’inevitabilità del dolore. Rare volte si è sentito un Brahms così nervoso, teso, aspro, e così estenuato nei momenti di dolcezza. Kantorow sfodera una varietà incredibile di sfumature timbriche, il suo tocco si adegua ad ogni minima mutazione della linea melodica, del percorso armonico. E alla fine esplode un applauso trionfale. Kantorow concede un bis, le melodie che concludono l’Uccello di fuoco di Stravinskij nella trascrizione pianistica di Guido Agosti. Intervallo. Ed ecco Mahler. Finalmente si è udito l’intrico di temi che Mahler sovrappone, intreccia. Il sogno infantile, anche qui, è una fuga dal dolore del mondo. Il riso beffardo del violino nello scherzo – Mahler scrive “il diavolo lo danza con me” – uno splendido Andrey Baranov, deride e smonta ogni speranza di riscatto. E il quadro di un paradiso dove fame e miseria terrene sono compensate da danze gioiose e banchetti, è la perenne illusione di trovare un senso alla sofferenza umana, un senso che sparisce con lo svanire della musica.
Anche qui, alla fine, applausi trionfali. Segno che Currentzis ha convinto il pubblico romano. E arriva un graditissimo bis. Il soprano Regula Mühlemann, che avevamo udito chiudere dolcemente la sinfonia mahleriana, insieme all’orchestra e al violino solista di Andrey Baranov, sotto la guida di Currentzis, ci regala un Lied di Richard Strauss, Morgen. Questo sì consolatorio, appagante. E dolcissima l’interpretazione che ne abbiamo ascoltata.
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