Musica
Il diritto di vendicarsi: Elettra da Sofocle a Hofmannsthal e Strauss
Il mito greco, “non si fonda su alcuna morale, né laica né religiosa”. Così scrive Quirino Principe nel programma di sala per questa Elektra di Richard Strauss diretta da Antonio Pappano che ha inaugurato la stagione 2022-2023 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nella storia della famiglia degli Atridi si assiste a una serie di delitti atroci, Atreo che uccide il fratello Tieste e glieli offre come pasto, Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia, e per vendicarne l’assassinio sua moglie Clitennestra lo uccide, ma è poi uccisa dal figlio Oreste che così l’Oracolo di Delfi gli ha detto di vendicare l’assassinio del padre. Eschilo immagina d’interrompere la catena delle vendette istituendo un tribunale del popolo che giudichi l’operato di Oreste. È la nascita della democrazia. Ma la famiglia degli Atridi, fin dal suo capogenito si macchia di delitti atroci. Tantalo per sincerarsi se gli dei posseggano l’onniscienza in un banchetto dà loro in pasto le carni del proprio figlio Pelope. Gli dei se ne accorgono e lo puniscono nel Tartaro alla condanna di una fame eterna. Risuscitano il giovane Pelope, che sarà il padre di Atreo e di Tieste avuti da Ippodamia ottenuta dal Padre Enomao come sposa vincendo in una gara di corsa dopo avere ucciso Enomao. Per vincere la corsa aveva promesso all’auriga di concedergli una notte con Ippodamia. ma lo uccide per non mantenere la promessa. L’auriga allora maledice lui e tutta la sua discendenza. Pelope fu anche il fondatore delle Olimpiadi. Le terrificanti vicende sono state portate sulle scene più volte, a cominciare dai tre tragici greci, soprattutto i delitti degli ultimi Atridi, il sacrificio di Ifigenia, l’assassinio di Agamennone, il matricidio di Oreste, e il ritrovamento di Ifigenia tra i Tauri. E arriva fino a noi, da Seneca, che mette in scena, nel Tieste, l’orrido pasto di un padre che, inconsapevole, mangia la carne dei figli, e il messo fa una lunga descrizione di come Atreo uccide e schidiona le carne dei ragazzi, e come le arrostisce, a Shakespeare, che se ne ricorda e ne imita il banchetto antropofago nel Titus Andronicus, o ricorda i misfatti degli Atridi nel Troilo e Cressida, da Racine, le due Ifigenie, ad Alfieri, Agamennone e Oreste, da d’Annunzio, La città morta, a Giradoux, La guerra di Troia non si farà, da O’Neill, Il lutto si addice ad Elettra, a Sartre, Le mosche. Proprio all’Elektra di Sofocle, la più dura, la più inesorabile delle tragedie che i drammaturghi greci dedicarono all’eroina, si ispira la tragedia di Hugo von Hofmannsthal. Ne è anzi una vera e propria riscrittura, il coro è sostituito dalle voci delle serve. Strauss la vide a Berlino nel 1903, messa in sena da Max Reinhardt e volle subito trarne un dramma musicale, chiese ed ottenne da Hofmannsthal di adottare il testo così com’era. Come aveva già fato con la Salomé francese di Oscar Wilde, diventata in tedesco Salome, nel 1905. L’opera andò in scena a Dresda nel 1909. I tre, Hofmannsthal, Strauss e Reinahrdt avrebbero rifondato, nel 1918, il Festival di Salisburgo: di fatto un nuovo festival d’impianto totalmente diverso da quello precedente, ed è il festival che tuttora si celebra ogni anno a Salisburgo.
Elektra, Pappano
A penetrare il senso del dramma ci soccorre un’altra tragedia di Sofocle, l’Aiace. Nel prologo la dea Atena mostra a Odisseo lo stato di follia e frustrazione in cui ha ridotto Aiace, il quale credendo di avere ucciso gli achei che gli avevano sottratto il possesso delle armi di Achille per concederle a Odisseo, aveva sterminato un gregge di pecore. E gli chiede: “Vedi?” Odisseo risponde: “Vedo, e ho paura”. Elektra mette in scena questa paura. Che è la paura dell’inconoscibile, del destino cui andiamo incontro e di cui non sappiamo niente. Sofocle , nella tragedia, ne fa un’interrogazione sul destino umano. Hofmannsthal un caso d’isteria. Il moderno non comprende più ciò che gli antichi chiamano l’inconoscibile, il destino, la sventura, il male. Edipo che si chiede: “Perché io?” Sono gli anni in cui Freud, dagli studi sull’isteria sviluppa la teoria dell’inconscio. E l’inconoscibile dei greci diventa il sostrato psicologico di ogni azione umana. Da qui la malattia moderna di leggere tutto, politica, storia, poesia, romanzo, teatro, in chiave psicologica, anche quando la psicologia non c’entra per niente. Come nelle cause economiche delle rivoluzioni e delle guerre e nell’impostazione mitica o simbolica del teatro antico. Ma anche di certo teatro moderno. O della fiaba, che non è mai racconto psicologico.
Elektra e Crisotemide
Dal primo accordo, che impone subito all’ascoltatore l’ossessiva incombenza dell’assassinio di Agamennone, fondato com’è sull’invocazione di Elektra, che udremo poco dopo: “Agamemnon!”, ci assale immediatamente il clima teso, espressionistico, di tutta la partitura, la più tesa, la più lancinante, di tutto il teatro straussiano. Fino al “colpisci un’altra volta” (già presente in Sofocle) urlato da Elektra a Oreste quando ode il grido della madre che viene colpita dal figlio. È un clima di orrore e sofferenza che permea tutta la musica. Una durezza che, se possibile c’è già in Sofocle: “Chi soffre ciò che io soffro ha diritto di vendicarsi”, dice Elettra. Quanto di meno cristiano si possa immaginare. Ha ragione Principe; il mito greco non ha leggi morali, né laiche né religiose. È pre-cristiano. Prendiamone atto. Nel moderno questa amoralità del mito diventa perversione, perché il moderno non concepisce niente che non ubbidisca a una psicologia, e dunque a una responsabilità morale. E questa ossessione permane nel testo e nella musica perfino quando si dovrebbe esprimere la tenerezza della sorella per il fratello. Nel bellissimo dialogo tra Elettra e Oreste, il motivo del riconoscimento, dell’amore fraterno, non è che una variante. per così dire, addolcita, del motivo dell’assassinio di Agamennone, dell’invocazione iniziale di Elettra: Agamemnon!
Elektra e Oreste
L’interpretazione che ne offre Pappano è furibonda, incandescente. Estenuata, nei momenti di dolcezza, per esempio nella scena del riconoscimento di Oreste, o quando Elettra cerca di convincere la sorella Crisotemide a compiere insieme a lei il matricidio, con parole e dolcezza di seduzione lesbica (c’è anche questo, non si dimentichi che si tratta di un caso d’isteria). Gli interpreti, tutti gli interpreti, lo assecondano magnificamente. Aušrinė Stundytė, Elektra, supplisce al non immenso volume della voce, con una capacità straordinaria di modularla, di piegarla a infinite espressioni drammatiche, dalla dolcezza all’urlo. E non resiste a stare ferma, come si dovrebbe in un’esecuzione concertante, ma recita, si muove, danza, almeno con le braccia, atteggia il viso a diverse emozioni a seconda delle situazioni. Elisabet Strid, Crisotemide, disegna perfettamente la figura di una ragazza tenerissima cui la tenerezza è negata. Commovente, e già sconfitta, quando dice: voglio una vita di donna, di madre, voglio una vita naturale. L’opposto dell’arcigna vergine che le sta di fronte e che ossessionata da un solo pensiero: vendicare l’assassinio del padre, a qualunque costo, disposta a qualunque degradazione, pur di raggiungere lo scopo: uccidere la madre e il suo amante Egisto. Feroce e insieme disarmata appare Clitennestra, Petra Lang; incerta se fidarsi o non fidarsi della figlia che la odia. Ma ha bisogno di lei, perché conosce i mezzi con cui far smettere i propri incubi notturni. Sì, li conosco, dice Elettra. Ci vuole una vittima da sacrificare. Una vittima, esclama Clitennestra, e quale, un agnello, una serva? No, risponde Elettra, tu stessa, lasciati sgozzare e gli incubi finiranno. In questo momento le due donne si confrontano, Elettra con una dolcezza insinuante: sgozzare il tuo collo. Clitennestra spaventata, inorridita. Quasi le manca la voce. Ma poi arriva la notizia. Oreste è morto. E Clitennestra ride, ride sgangheratamente per la morte del figlio, apre la moglie e non si ode un suono, solo la bocca spalancata, fino a che finalmente la risata esplode. È un momento di grandissimo teatro. Petra Lang acquista in questo momento tutta la terribile tragicità della Clitennestra sofoclea, della donna che ha ammazzato il marito e lo rivendica come un atto di giustizia, così come sua figlia, che le sta di fronte, ritiene un atto di giustizia ammazzare la madre. Le due donne si confrontano: non possono che distruggersi l’un l’altra. Enigmatico e deciso l’Oreste di Kostas Smoriginas, un giovane assorbito da un compito sacro, forse più grande di lui: uccidere la propria madre per vendicare l’assassinio del padre. Ma non ha la sicurezza, la compattezza della sorella Elettra. Splendido come il canto segua le inflessioni recitanti della parola. Ma tutti andrebbero citati per l’adeguatezza con cui interpretano il proprio ruolo. Le vivacissime cinque ancelle, la sorvegliante, e tutti gli altri. Egisto, il tenore Neal Cooper, ha una parte breve, ma importantissima: Clitennestra è stata già uccisa, deve essere convinto a entrare nella stanza dove Oreste lo aspetta per ucciderlo. Elettra, Aušrinė Stundytė, è bravissima a fingersi sottomessa, ubbidiente, a fargli strada con la torcia, ed Egisto non aspettava altro che di vedere la riottosa figlia di Agamennone finalmente arrendevole, ragionevole. “Ho imparato a ubbidire a chi è potente”, gli dice la giovane. Egisto ci casca. Un tiranno è sempre lusingato quando il suo nemico gli si arrende. Entra nella stanza. Si udrà il suo urlo quando viene scannato. Il finale è tra i più tremendi del teatro del Novecento. L’esecuzione non libera i figli di Agamennone dai loro terrori. Elettra stramazza a terra, danzando, sfinita. Crisotemide implora, inutilmente, l’aiuto del fratello Oreste. Il terribile accordo iniziale conclude la rappresentazione.
Clitennestra
Tutti gli interpreti ricevono un successo trionfale da parte dell’affollatissima sala, giustissimo ringraziamento per un’interpretazione esemplare, impeccabile di un capolavoro unico, anche nella lunga storia del teatro di Richard Strauss. Le violenze si stempereranno, subentrerà la nostalgia di un Mozart perduto (ma rievocato con i valzer di Strauss), arriveranno gli ardori di Elena, i giochi delle maschere insieme ai deliri di Dioniso, fino all’enigma irrisolto del senso del teatro, della poesia, della musica, in quell’ultimo, indecifrabile capolavoro che è Capriccio. Intanto Hofmannsthal era morto, un infarto al funerale del figlio suicida. La vita, il destino, continuano a essere, inspiegabili, indecifrabili, come la poesia, come la musica. e come lo avevano capito i greci, Dispiace solo che l’esecuzione fosse in forma di concerto. Quest’opera è teatrale come poche altre. La scena è un’esigenza indispensabile. Se ne facciano una ragione quanti continuano a pensare che la scena disturbi l’ascolto della musica.
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, inaugurazione della stagione 2022-2023: Elektra di Richard Strauss.
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
direttore Antonio Pappano
soprano Ausrine Stundyte (Elettra)
soprano Elisabet Strid (Crisotemide)
mezzosoprano Petra Lang (Clitennestra)
tenore Neal Cooper (Egisto)
baritono Kostas Smoriginas (Oreste)
basso Nicolò Donini (Il precettore di Oreste)
contralto Ariana Lucas (I ancella)
mezzosoprano Anne Schuldt (II ancella)
mezzosoprano Monika-Evelin Liiv (III ancella)
soprano Katrin Adel (IV ancella)
soprano Alexandra Lowe (V ancella)
tenore Leonardo Cortellazzi (Un giovane servo)
basso Andrea D’Amelio (Un vecchio servo)
soprano Maura Menghini (La sorvegliante)
soprano Marta Vulpi (La confidente)
soprano Bruna Tredicine (L’ancella dello strascico)
Cristina Cappellini, Sara Fiorentini, Antonella Capurso, Roberta De Nicola,
Federica Paganini, Tiziana Pizzi (Sei serve)
Strauss Elektra
opera in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal
18, 20, 22 Ottobre
Il concerto del 18 ottobre è trasmesso in diretta alle 20.30 da Rai 5 e da Rai Radio Tre
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