Musica
I would take you on a journey. Irene Grandi e i Pastis mantengono la promessa
Devo ammettere che mi ha colto di sorpresa Irene Grandi con questo disco che ha fatto con i Pastis. Il venerdì controllo sempre su Spotify le nuove uscite della settimana, e di questa non sapevo niente, almeno fino a due venerdì fa. Comincio a ascoltare, e la prima canzone che mi colpisce, e che entra sotto pelle, è quella che vede la partecipazione di Samantha Cristoforetti, quella che si intitola ‘I would take you on a journey’, e il titolo del brano formula una promessa che viene pienamente mantenuta. Le canzoni quando mi piacciono, quando funzionano, è come se entrassero dentro me in una stanza particolare, un posto che si carica di risonanze a cui pochi musicisti e autori hanno accesso, e questo singolo è arrivato subito lì, senza chiedere permesso. Esattamente quali brani sfondino il muro di questa stanza segreta ancora non lo ho capito, fatto sta che c’è una tagliola attraverso cui alcune canzoni passano e altre no. Poi si sono accesi anche gli altri brani del disco e sono ritornato bambino, con lo stupore di avere ritrovato quella stanza segreta che nemmeno io ancora conosco.
Dalla finestra della mia stanza si vede l’Australia, e si vede tutta dall’alto questa terra lontana, quasi che la mia stanza ci volasse sopra, come fosse un satellite, e come se io stessi viaggiando su un astronave. Il letto è vicino alla finestra, non attaccato, ma abbastanza vicino da poterla chiudere allungando la mano. E’ stato appena rifatto e sistemato con un coperta di organza, sul comodino è stata messa una brocca con acqua fresca, e ci sono alcuni biscotti che non aspettano che di essere addentati. Fuori dalla finestra si vede una mucca che blocca un’intera strada e un taxi che suona il clacson, c’è tantissimo traffico e la città sembra essere stata inghiottita da esso. Il clacson suona, la mucca non si muove e mancano pochi minuti alla partenza del treno. E una mucca, in questo caso tutta gialla, che blocca il mio taxi mentre corro in stazione è uno dei miei incubi peggiori, io che sono sempre puntuale, io che non ho mai perso un treno. E in questa stanza con l’acqua fresca sul comodino e la coperta di organza invece sembra tutto a posto, e solo qui c’è l’armonia degli opposti.
Poi la mucca fuori dalla finestra si sposta, e dietro lei appare una barca, e c’è una bambina che legge le sue prime cose, i mari attraversati da velieri che trasportavano preziosi carichi di oro, la bambina ogni tanto intacca, le parole da leggere non sono facili, i pirati la fanno fermare. Poi un telescopio si avvicina alla finestra e si possono vedere le stelle, quelle che si illuminano, ma anche quelle che di luce sembrano non averne, né propria, né riflessa. La bambina guarda la stella che brilla più forte e la indica con la mano, dice che vorrebbe arrivare lassù, e chiede se ci sia una strada veloce per salire fino alla stella. Io la guardo e penso alle canzoni di questo disco, penso che potrebbero essere esse stesse una via veloce per quella stella, ma non so come spiegarlo alla bambina, che potrebbe non capire tutte le mie astrazioni. Roba bella, mi viene da dirle, con la voce di un mercante che deve piazzare quello che ha portato fino al mercato, lei mi guarda dalla barca e sorride.
Quanto costa? il segreto della vita quando costa?, sembra chiedermi la bambina, mentre io resto lì e mercanteggiare, e sotto c’è gente che fa le prove, prima di incidere un disco. Di sottofondo si sente anche la voce di qualcuno che in inglese dice cose importanti, altra roba bella, e che proclama senza mercanteggiare, perché parla di diritti e di diritti dei popoli, roba seria. ‘Somewhere I read’ sta ripetendo la voce che sento, ha un accento americano e i credits del disco mi rivelano anche di chi è. E’ ritmica quella voce, come quella di chi sa di avere una bella formula da scandire, è un viaggio dentro il tempo quella voce, e dentro le lotte che ci hanno condotto fino a questa nostra età. Io non ci credo che in un disco possano esistere così tante cose, e che ci sia spazio anche per il Giappone di Hagit Yakira. La bambina invece ci crede e mi sorride come a dirmi che è ancora tutto possibile. E poi sento quella versione più lenta di ‘Prima di partire per un lungo viaggio’ che arriva alla fine del disco, ma che dovrebbe stare all’inizio, perché un grande lungo viaggio è proprio questo disco che comincia con Vasco, spazia nel mondo sconfinato della video-arte di questo visual-album e finisce con quella inguaribile nostalgia che ognuno ha del proprio essere bambino.
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