Musica

I venticinque anni del Festival Beat

26 Giugno 2017

Ci sono traguardi che vanno festeggiati. Il venticinquennale del Festival Beat è uno di questi.

Un obiettivo importante per un evento di nicchia divenuto nel corso degli anni uno dei raduni più frequentati in Europa dagli appassionati della musica e della cultura Sixties.

Un festival passato dalle poche centinaia di persone della prima edizione a Castel San Giovanni in provincia di Piacenza  alle migliaia di partecipanti che ogni anno ormai affollano l’appuntamento di Salsomaggiore Terme.

Dal 28 giugno al 2 luglio si terrà dunque l’edizione numero 25. Cinque giorni durante i quali la piccola città emiliana cambierà, come sempre, volto. Ogni anno da tutta Italia e dal resto d’Europa arriva infatti un pubblico numeroso e variopinto, con le ragazze che indossano abiti optical mentre i ragazzi sfoggiano t-shirt a righe o camicie floreali, e calzano i Chelsea boots sfidando le temperature tropicali dell’estate padana. Perché il Festival Beat non è un semplice appuntamento musicale: è un happening, un ritrovo di appassionati dell’estetica, della musica e della cultura degli anni Sessanta.

Nel quarto di secolo che separa la prima edizione del 1993 a quella odierna il Festival Beat è cresciuto moltissimo: in termine di presenze, di cartellone, di appeal. Fortunatamente, però, non si è trasformato in un evento di massa, in un megafestival disumanizzante in cui si vaga da un palco all’altro senza sosta e le file per andare in bagno o comprare da bere sono interminabili.

Al contrario l’evento di Salsomaggiore è a suo modo unico per l’atmosfera di festa e condivisione che si respira: amici che si danno appuntamento di anno in anno, appassionati che arrivano da ogni angolo d’Italia e d’Europa per condividere i tanti momenti che si susseguono nell’arco della rassegna. Ad esempio il giovedì è il giorno fisso della divertente “Mad Beatle Boots Race” giunta alla quarta edizione: una corsa per le vie della città con ai piedi i Chelsea boots, gli stivaletti a punta in voga ai tempi dei Beatles che ogni sincero appassionato dell’estetica Sixties possiede.

Un altro appuntamento immancabile è il “pool party” alla Piscina Leoni dove si chiacchiera, si sorseggia un cocktail e si balla sulle selezioni a tema dei DJ internazionali che si alternano alla consolle.
Il centro cittadino diviene protagonista nel tardo pomeriggio: al Caffé Desiree dove si tengono le presentazioni di libri e fanzine indipendenti.
Quest’anno sarà la volta di “Cinquanta per ’60” di Carlo Bordone, guida ai cinquanta dischi più particolari degli anni Sessanta, del libro sul gruppo neopsichedelico italiano No Strange (“No Strange e altri sogni correlati”, a cura di Fabrizio Della Porta, Alberto Ezzu, Salvatore “Ursus” D’Urso), del nuovo numero della fanzine “Sottoterra” (venerdì 30, ore 18); e del volume di Bruno Casini “Clubbing for heroes. Il ritmo degli anni Ottanta” (sabato 1 luglio, stessa ora).

La sera poi ci si sposta all’area live, a tre chilometri dal centro, dove si trova anche il mercatino di dischi, abbigliamento vintage e oggetti di modernariato, ed è possibile andare a caccia del vinile tanto ambito o dell’abito da indossare alla prossima festa a tema.

Musicalmente parlando il Festival Beat non è più un evento strettamente di genere. Dalle prime pionieristiche edizioni in cui si esibivano gruppi italiani ed europei legati filologicamente a un suono che rifletteva un’epoca – quella del beat, appunto, o del garage – la rassegna di Salsomaggiore si è aperta alla contaminazione di altri stili, tutti però legati a una comune matrice underground.

In questi venticinque anni dal Festival Beat  sono passati pezzi da novanta e leggende minori del rock degli anni ’60 come i Pretty Things, i Sonics, i Trashmen o i Downliner Sect, gruppi storici del garage degli anni ’80 (Fleshtones, Cynics, Gravedigger V, Sick Rose) e un’infinità di piccole e validissime band underground che hanno mantenuto in vita uno stile e un suono. Ma, soprattutto nelle ultime edizioni, sono arrivati a calcare il palco di Salsomaggiore anche gruppi di culto ma non propriamente beat: è il caso degli australiani Radio Birdman, di formazioni soul come Excitements o Lisa and The Lips, di punk band storiche come gli Undertones.
“È stato un percorso naturale”, conferma il direttore artistico Gianni Fuso Nerini. “Da un lato avevamo esplorato tutti gli aspetti del Sixties-sound, dall’altro abbiamo anche accolto le richieste, le esigenze e i desideri di tante persone che frequentano da anni il festival. Il cartellone è una scommessa ogni anno e nasce da una serie di diversi fattori, tra cui la conoscenza e l’amicizia personale con i membri dei gruppi”.

L’edizione numero 25 presenta un programma ricchissimo e variegato. Tra i nomi di punta ci sono sicuramente i Mummies, gruppo garage californiano con i musicisti abbigliati da mummie, le 5-6-7-8’s, formazione giapponese tutta al femminile che Tarantino volle fortemente in una delle scene di “Kill Bill vol.1”, gli inglesi Graham Day & The Forefathers e i Gories di Mick Collins.
Dopo i concerti, come da tradizione si tirerà tardi fino all’alba con le selezioni a tema dei migliori DJ del giro Sixties in arrivo da tutta Europa. Incluso il leggendario Liam Watson, proprietario degli studi di registrazione londinesi Toe Rag dove i White Stripes incisero il loro album più famoso, “Elephant”.

 

(foto di Serena Groppelli)

 

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