Musica
I primi vent’anni di (What’s The Story) Morning Glory
Il primo ricordo che ho di (What’s the story) Morning Glory è quello di un’estate passata ad ascoltare tutt’altro.
Io non sono un biografo delle band, ho ricordi sbiaditi di quello che è successo 20 anni fa e forse questo mi costringe spesso a mitizzare e rendere meno meticoloso il mio lavoro di giornalista che, lo ammetto, all’epoca ero sicuro di non voler fare. Gli Oasis erano già gli Oasis, e su questo non si discute, avevano pubblicato un disco che sarebbe bastato per rendere grande la carriera di chiunque e da molte parti – le stesse che avrebbero finito per rimpiangerli -, erano già definiti i nuovi Beatles.
Ora, non so chi di voi abbia avuto la fortuna di vivere in quegli anni, ma l’essere parte della Cool Britannia era davvero un miracolo che in pochi potevano permettersi di vantare e Noel Gallagher, Liam, Bonhead, Guigsy e Tony Mc Carroll pur facendone parte, erano tutto fuorché alla moda. Con la loro andatura dinoccolata, le loro faccione tirate fuori dalla fantasia di un caratterista sciupato, la loro scarsa ed elementare cultura musicale avevano l’aria di quelli che non avrebbero mai sfondato, o che non sarebbero mai diventati famosi se non cantando qua e là qualche canzone degli Stone Roses sui banconi di un pub di periferia. Ma a volte la divina provvidenza prende per mano chi non la avrebbe mai cercata, nemmeno nel fondo di un boccale di Guinness, e Noel, ricordando qualche accordo scopiazzato dalla sua personale antologia poprock, ha scritto dodici canzoni (e anche qualcuna in più) che avrebbero finito per cambiare la sua stessa vita e quella di tanti altri. Tanti altri, sull’ordine dei milioni di persone, ovviamente.
Ok, chiariamoci, non penso che What’s the Story Morning Glory sia un disco perfetto, gli Oasis ci avrebbero abituato a tante buone canzoni in futuro, ma è uscito in un momento in cui la band era al top della forma: Liam aveva trovato una “dimensione canora” molto equilibrata (lo aveva già fatto con la splendida Whatever), Noel era…Noel, e tutti gli altri suonicchiavano bene – per quel che potevano – nella più famosa band di Inghilterra dai tempi dei Fab Four. Mica male!
Vent’anni dopo gli Oasis non esistono più e mi sembra persino brutto tirare le somme di quello che è stato di un disco che è diventato il più importante della loro carriera e dell’esistenza di molti (senza esagerare), ma i ricorsi storici, fatti di aneddoti e soliloqui autocelebrativi, vogliono che, nel bene o nel male, se ne parli ed io, nella umile veste di quello che all’epoca era solo un ragazzino, sono qui ad ammettere che questo disco, ascoltato dall’inizio alla fine nella mia stanza come due decadi fa, ma con uno stereo diverso, mi dà la stessa medesima impressione. Strano, sono uno che trova differenza in tantissimi altri dischi di band che ho amato all’inverosimile, Verve, Charlatans, Radiohead, Roses (gli Stone, quelli veri) o persino Paul Weller (che mi è sempre sembrato musicalmente impeccabile) ma dagli Oasis non ascolto nulla di diverso. Trovatemelo voi un album che abbia in fila tre canzoni come Roll With It, Wonderwall e Don’t Look Back In Anger, e che poi prosegua, con Cast No Shadow, She’s Electric, Morning Glory, terminando la corsa con Champagne Supernova.
Avete cercato bene? Avete scandagliato in tutti gli anni ’90? Forse avete persino preso in mano la custodia consumata di Nevermid o qualcosa che ispiri pensieri a quadrettoni di flanella, ma a che serve? A che serve pensare quando si ascolta il disco più bello dei “più grandi di tutti i tempi”?
Lo vedete Liam mentre sale sul palco di Glastonbury? Mancano ancora 3 mesi alla sua uscita e Morning Glory è già accolto dai fans come un qualcosa di epico. Noel accenna un’assolo che ipnotizza la prima fila e tutte quelle che la seguono. Dicono che non sia un granché sulla sei corde, ha le mani piccole e le dita tozze, oltre che una mediocre formazione da autodidatta, ma in quel momento a nessuno importa capire quante note manchino alla fine del brano o che tipo di scale abbia usato. Ci sono i Marshall che sparano la sequenza finale ad un volume superlaltivo e migliaia di braccia si alzano sopra teste ciondolanti con il taglio alla Ian Brown. Ci sono bandiere con stampigliato il logo della band e splendide ragazze che mostrano le loro grazie sballonzolanti e cantano a squarciagola. Noel dentro di sé pensa che qualunque cosa succeda di li in poi, John Lennon sarebbe comunque stato fiero di lui; non sa ancora che quell’estate avrebbe costretto i Blur ad intraprendere una strada diversa dalla sua e che l’anno successivo, dopo 15 milioni di dischi venduti, avrebbe solo dovuto pensare a come suonare nuovamente Roll With It sul palco di Knebworth umiliando il più possibile tutte le altre band che avevano provato ad arrivare dove ora era lui, ed avevano fallito.
Nell’estate 1996 Liam inizia a capire cosa voleva dire effettivamente essere una rockstar. Lo capisce mentre osserva i suoi amici di una volta giocare a biliardo davanti ad una bottiglia di birra. Sa che ha assolutamente voglia di starsene un po’ a casa e di non andare nuovamente in tour, apre la porta nel retro del pub in cui ha passato parte della sua serata e chiede un telefono per informare Noel. Gli spiega che non ha proprio intenzione di partire per gli States, che l’album ha già venduto abbastanza, che non gli importa più nulla della promozione di Morning Glory e che suonare per quei coglioni degli yankees ai VMA sarebbe stato da idioti. Potevano benissimo spostarla a Manchester l’America e poi riportarla al suo posto, per quel che gli importava.
Così, nella seconda metà dell’agosto 1996, la band sale sull’aereo e se ne va lasciando metà degli Oasis “a casa”, Noel inizia a cantare tutte le canzoni e propone all’America un bellissimo concerto acustico in cui è praticamente da solo a reggere le sorti della più grande rock’n’roll band del momento. Registrano la serata mentre Liam sbeffeggia il fratello con una birra in mano dalle balconate del teatro, alla fine anche lui aveva scelto di prendere un aereo e di recarsi a New York dove alla Radio City Music Hall si sarebbero celebrati in pompa magna le premiazioni che quell’anno Mtv aveva deciso di conferire a gente come Smashing Pumpkins, Beck, Alanis Morissette, Metallica e Foo Fighters.
Gli Oasis erano stati chiamati per esibirsi come band di punta e si presentano su un palco decisamente scarno ed un atteggiamento, ovviamente, strafottente; dietro di loro 3 monoliti di 5 metri e uno schermo che passa immagini di una lava lamp in stile psichedelico anni 60. Non si può sapere se questo era il massimo offerto dalla produzione o se era stato scelto direttamente dal gruppo ma, con uno sguardo oggettivo, era particolarmente bruttino, considerando le spese milionarie per costruire uno show del genere e sopratutto per la mentalità da primi della classe che ormai si erano creati nella loro mente i fratelli Gallagher. Ed è difficile dire se fu per questo che Liam sputò sul palco al termine della canzone gettando a terra il microfono, se Guigsy decise di andarsene o se Noel iniziò a pensare che forse, alla fine, sarebbe stato meglio continuare a suonare da solo, come di lì a poco avrebbe fatto Richard, il suo amico che cantava nei Verve, per il quale aveva scritto proprio Cast No Shadow, la numero 8 di What’s The Story Morning Glory.
Sono tutti pensieri che ti passano per la testa quando hai paura che tutto quello che hai raggiunto scompaia o che la gente, chissà, potrebbe non capire più, di punto in bianco, la tua musica che si evolve, i tuoi testi che iniziano a parlare di storie mai ascoltate prima o di amicizie che bene o male finiranno con l’influenzare i tuoi lavori.
Noel è sicuro che un periodo come quello vissuto negli ultimi 2 anni non tornerà più, scriverà canzoni bellissime anche dopo vent’anni, ma nonostante sia diventato l’autore più importante dopo Lennon e dopo Mc Cartney (e la sua band “più famosa di dio”), all’alba del terzo disco è pronto a vivere l’ultima fase della prima vita degli Oasis, quella degli eccessi e dell’eccessivo superamento di se stesso e degli altri, situazione che, quando i tuoi epigoni e comprimari si chiamano Damon Albarn, Thom Yorke, Richard Ashcroft, risulta abbastanza critica, considerando anche che i tuoi idoli di sempre, i Roses (quelli veri) si sono fermati proprio mentre tu prendevi lo sgabello e suonavi The Masterplan davanti a 125mila fan in visibilio, a sera.
Che strano però, quando lo stereo passa Don’t Look Back In Anger, pensare che qualche mese fa al Fabrique di Milano, Noel l’ha cantata di nuovo e tu sapevi che non era la stessa cosa. Non c’erano Alan, Bonhead, Guigsy e nemmeno Liam. Non c’erano gli Oasis, il 1995 e il britpop e sebbene fosse suonata anche meglio di 20 anni fa, sebbene avesse ancora i soliti 4 accordi e gli stessi capelli corti da bambino in età pre-scolare tipici di un John Squire o di un Paul Weller, no, non era mica lei, non era DLBIA, l’acronimo con cui la chiamavi per non rubare troppo spazio, scrivendo il titolo sui bootleg masterizzati presi all’Earls Court o a Glastonbury.
Si dice che gli Oasis registrarono questo disco in pochissimi giorni, dopo aver licenziato il vecchio batterista ed essere entrati in studio con il fratellino di Steve White, amico di Weller, turnista negli Style Council e negli Who. Alan ha poca esperienza, aveva militato in una band in cui suonava anche Gem Archer (si, il futuro chitarrista del gruppo), e aveva da poco (siamo nei primi mesi del 1995) registrato le parti di batteria nel disco della moglie di Andy Bell (sì, il futuro bassista della band ed ex frontman dei Ride), Idha. Noel lo ascolta e gli dice che tra poco avrebbe dovuto seguirlo per registrare Some Might Say sul palco di Top Of The Pops. Di lì a poco lo avrebbe aiutato nella stesura dell’album più bello degli Oasis, impostando tutte le parti di percussioni e suggerendo i tempi a tutti i suoi compagni, diventando persino il più grande amico di bevute di Liam, cosa che, ad onor del vero, lo fece diventare un pezzo insostituibile del gruppo, almeno per altri sette lunghi anni.
Sono in molti ad avere Morning Glory nella propria collezione di dischi (cd o vinili), c’è chi l’ha acquistato anche più di una volta magari da negozianti differenti e chi lo ha fatto ascoltare ai propri figli o ai propri compagni/e, chi l’ha suonato ai propri concerti o solamente nella propria stanza. Li (ci) accomuna tutti il fatto di considerare ancora gli Oasis come una delle più grandi band di tutti i tempi e di avere ancora voglia di consumare il laser o le puntine per ascoltare canzoni come Champagne Supernova sulle cui note hanno tutti provato a chiudere gli occhi ed immaginato di essere altrove, in un’altra dimensione, lisergica, appannata di sogni, nel 1995 come 30 anni prima o 20 anni dopo.
Volete sapere la differenza tra questo disco e tanti altri che negli anni 90 hanno fatto la storia? È che non lo rimpiangi, non lo vorresti ancora, non lo senti come se fosse distante: c’è, proprio lì accanto a Sticky Fingers, a Sgt Pepper o a Led Zeppelin 4, hai sempre voglia di riascoltarlo e di consumarlo, finire l’ascolto e premere nuovamente play. Lo fai perché hai la necessità oggettiva di pontificare su quanto sia bello l’assolo di DLBIA seguito dalla rullata di Alan. Ti sembra di averla già sentita su un disco degli Who, ma che importa? L’impatto sonoro in tutte le canzoni dell’album è talmente disequilibrato da sembrare mille volte più avanti rispetto a Definitely Maybe, sembra di avere davanti milioni di ampli che fanno uscire solo gli accordi più distorti della testa di Noel. E poi c’è la progressione delle note di Wonderwall, la voce di Liam che, incredibilmente pulita, prolunga vocali come a disegnare ritratti di un bianco grigio screziato di rubino e tu che fai? Muovi i tuoi piedi tenendo il tempo, che non passa mai, per fortuna, e che circonda con il suo generoso abbraccio, tutto quello che è stato degli Oasis, i più grandi di tutti (dicevano).
Ma ora hai vent’anni di più, l’uomo è arrivato a conoscere la particella di dio e migliaia di specie viventi sulla terra, si muore ancora per le guerre e si ergono muri in conseguenza di quelle. Noel ha registrato due dischi bellissimi e di tante altre band non si parla più, come degli Oasis d’altronde. La seconda vita della band, quella con Andy e Gem è quella che mi è piaciuta di più, da subito e in assoluto, ma questo non sminuisce affatto la portata di Morning Glory, un disco splendido in cui praticamente si sente solo la voce e qualche accordo di chitarra suonato ad un volume agghiacciante; mettendoci le mani sopra sarebbe diventato davvero magnifico, magari aggiustando qua e là la produzione, mixando meglio le varie piste ancora completamente analogiche, costringendo Liam a cantare più e più volte anche i pezzi che non gli piacevano, ma non sarebbe stato lo stesso, lo so.
Quello che all’epoca ancora nessuno sapeva, è che quel disco, così atteso, così fortemente voluto dai fans e le cui registrazioni avrebbero rischiato di far sciogliere la band, sarebbe stato in classifica per quasi dieci anni e si sarebbe posizionato al numero 1 per le quanto riguarda le vendite, nel decennio in cui era stato concepito, proprio al di sopra di tutti gli altri, States o Uk non faceva importanza.
Tutto qui, che ci crediate o no, sono passati vent’anni. Suonati bene o male non sta a me deciderlo. Nel frattempo ho conosciuto tantissime altre band ed ascoltato dischi di una bellezza disarmante, come molti di voi sono cresciuto, ho un lavoro che mi permette di ascoltare ancora qualcosa mentre scrivo, rileggo o mi sposto in auto, spesso vado ai concerti anche se mi metto nelle prime file e lascio che siano i quindicenni a pogare per me, mi limito a cantare a squarciagola e a cercare di fare delle belle foto, ma se entrate nella mia stanza, sopra il poster dei Manic Street Preachers, un ritratto di Syd Barrett e una foto dei Verve trovate la custodia di Morning Glory aperta e il disco che corre nello stereo. Il suono, vi dicevo, è lo stesso, e mentre io sono qui, sdraiato sul letto a scrivere, guardo il video di Wonderwall e so che dopo il colpo di tosse iniziale di Noel inizieranno gli accordi di una della mie canzoni preferite, penso anche che tra poco uscirà la riedizione di Be Here Now, ma questa, permettetemi di dirlo, è davvero un altra storia.
https://www.youtube.com/watch?v=wsV74Es0DYw
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