Medio Oriente
I Coldplay hanno presentato il nuovo disco con due concerti in Giordania
La città di Amman si sveglia ancora assonnata coperta dalla polvere. In alto, sulla sommità di una rovina, vi sono gli strumenti disposti a cerchio per un concerto improvvisato. È un momento, solo un momento di silenzio con le luci del quartiere che si spengono, poi i Coldplay iniziano a suonare (in diretta su You Tube).
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Hanno scelto di presentare così l’ottavo album della loro carriera, con due concerti, uno all’alba e uno prima del tramonto, suonando per intero i due dischi che compongono il loro nuovo lavoro, intitolato Everyday Life.
Sono passati 20 anni dalla nascita della band inglese. Chris Martin è diventato un artista di successo, prendendo un po’ per gioco e un po’ seriamente l’eredita di Bono Vox, di sicuro è arrivato al picco massimo della sua carriera, non che i Coldplay smetteranno di fare musica, anzi! A vederli bene, sono tutti cresciuti molto, Guy Berryman, Johnny Buckland e Will Champion, tutti insieme. Appassionatamente.
Nel nuovo disco c’è un po’ di tutto, le liriche piene di speranza in cui la voce di Chris si confonde con un coro gospel, quelle divertite di Orphans e quelle più intimiste, in cui il piano e un’atmosfera rarefatta creano la particolare sensazione di sprofondare in un sogno in cui i colori sono tenui e i movimenti leggeri, quasi rallentati da un’armonia delicata e struggente.
L’esperienza e la sensibilità di Martin e soci abbracciano questa volta anche sonorità medio orientali (tutto il disco ne risente) e ritmi che richiamo l’afrobeat (Arabesque), con Femi Kuti e Stromae che appaiono insieme in uno dei brani più riusciti degli ultimi anni, costruito su chitarre e ritmi di ispirazione nordafricana (leggasi Bombino, Kel Assouf, Tinariwen) e un assolo di sassofono esteso e scintillante; una canzone che termina con il campionamento di una celebre citazione di Fela Kuti: “la musica è l’arma del futuro“.
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Everyday Life è il tentativo dei Coldplay di raccontare il meglio di sé e della propria vena artistica. È per questo che nella grande mescolanza dei brani si potranno sentire echi di canzoni già ascoltate, se non altro strofe di tracce, più o meno ispirate, a cui la band da anni ci ha abituato. La somiglianza quantomeno “di intenti” con Achtung Baby degli U2 è evidente, gli irlandesi avevano scelto Berlino post muro come città da cui far ripartire la propria carriera, i Coldplay hanno scelto la Giordania, un crocevia di carovane e folle di gente tra occidente e oriente, ieri e oggi insomma. I fatti tragici della storia diventano liriche, episodi di razzismo, invettive contro il sistema, e poi esperimenti acustici come Sunrise e Bani Adam non fanno altro che impreziosire un già abbastanza dorato prodotto.
I Coldplay sono una delle più grandi band del mondo, lo hanno voluto precisare, hanno voluto strafare, hanno mescolato il sacro con il profano, dilungandosi in riflessioni a volte troppo autocelebrative. C’era da aspettarselo, due dischi da riempire hanno tentato Martin e soci con tanto spazio sui solchi da incidere coi suoni. In molti brani l’ispirazione c’è, e si sente, in altri si è come di fronte ad un abbozzo di un’idea che forse raggiunge la sua completezza nella sua evanescenza, altre volte invece rimane lì, niente più che un abbozzo.
Episodi come Church e Champion Of The World rappresentano la genuinità dei Coldplay, sono come un viaggio a ritroso nella propria carriera, altre, come Daddy, sono tra le ballad più belle mai suonate dai quattro. Per assemblare questo album hanno pescato da una vasta gamma di fonti, molte delle quali tramite campionamento, interpolazione, o qualche altra ispirazione, a suonare nelle tracce troviamo: il defunto frontman dei Frightened Rabbit Scott Hutchison, la poetessa persiana Saadi, la leggenda jazz Alice Coltrane, la star Afrobeat di seconda generazione Femi Kuti, il cantautore “Piece Of My Heart” Bertrand Berns e Jerry Ragovoy, il rapper belga Stromae, i maestri della produzione pop scandinava Max Martin e Stargate, il cantante pakistano qawwali Amjad Farid Sabri, il violinista italiano Davide Rossi.
In previsione delle registrazioni del nuovo disco, Martin ha presumibilmente trascorso molto tempo viaggiando per il mondo, incontrando persone e raccogliendo esperienze in culture diverse. Will Champion ha ammesso che parte delle canzoni sono state registrate in location molto differenti che vanno dalle colline italiane alla California, dalla campagna inglese ai mercati subsahariani. Everyday Life è un punto e capo anche per un altro motivo. Non ci sarà un tour a fare da supporto. I Coldplay si esibiranno in location molto particolari (come Amman e il museo di storia naturale di Londra, i cui proventi saranno devoluti a un’organizzazione benefica ecologista) ma hanno deciso di non far ripartire la loro macchina da concerti fino a quando girare il mondo con un palco di 100 metri, chilometri di cavi, entourage, cose e persone non diventerà sostenibile per l’ambiente.
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È ancora più facile adesso dire che Chris Martin, come Bono 30 anni fa, vuole salvare il mondo. In un certo senso è così, la veduta aerea di Amman alle 5 del mattino prima di un concerto, è come se fossi lì ad illuminare il cammino. In Everyday Life però, i Coldplay hanno salvato loro stessi, dal ripetere l’euforia del disco precedente mettendo la firma al patto con la storia. Il futuro si vedrà. Oggi, a metà tra oriente e occidente, ci sono due dischi con i nomi scritti in latino e in arabo. Con il sole e la luna. Il resto è solamente polvere.
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