Musica

Gli dei lontani

10 Dicembre 2021

La razionalità, di cui l’uomo si vanta, avverte Nietzsche, è espressa dal linguaggio. Ma il linguaggio è allusivo, metaforico: non è la voce della verità. Come sarà poi per Saussure, il linguaggio per Nieztsche è arbitrario: è costruito non dalla Ragione, ma dalla percezione dei sensi che affida ai suoni emessi dalla corde vocali significati arbitrari. Altrimenti gli uomini dovrebbero parlare un’unica lingua. Riecheggiando in qualche modo Spinoza, anche Nietzsche sembra così sostenere che la radice del nostro essere sia materiale, pensiamo con il cervello e il cervello è un organo del corpo, noi pertanto pensiamo con il corpo. Il pensiero non è staccato dalla realtà dei sensi, non è immateriale, non è spirituale e intanto raggiunge l’astrazione dalla concretezza dell’esperienza. La civiltà occidentale, dopo i Greci, vive nell’illusione di poter conoscere la verità. La verità, invece, per sua stessa natura, come aveva già intravisto Lessing, e confermato Kant, è inconoscibile. L’uomo occidentale la suppone accostabile perché ha diviso lo spirito dalla materia. Abbandonando l’unità originaria che ancora permea il pensiero greco. Per questo, come canta Hölderlin, gli dei hanno lasciato la terra, e l’uomo è abbandonato alla solitudine della sua disperazione, all’unica conoscenza che gli sia ancora rimasta accessibile: la morte, o meglio, sapere che c’è, sempre, a un certo punto, la morte. Che chiude, impedisce la continuità del divenire, e dunque l’integrità dell’essere. Freud lo chiamerà il disagio della civiltà. Tra queste riflessioni, che si muovono tra la rilettura di Nietzsche e la rievocazione di Hólderlin, tra Darwin e Freud, e che danno corpo ai fantasmi di Schumann e di Wagner, si muoveva negli ultimi anni l’inquietudine filosofica, musicale, artistica di Giuseppe Sinopoli. La critica della pochezza del mondo moderno, soprattutto di quello italiano, che Sinopoli così spesso esternava nelle conversazioni, nelle interviste, nelle conferenze, aveva radici sì politiche e sociali, ma si nutriva, alla base, dal sostrato di questa sostanziale sfiducia sulla capacità del mondo moderno di capire il mondo, e, soprattutto, di capire sé stesso. Sfiducia perfino che l’arte potesse sostituire l’impossibile conoscenza cui aspirano la filosofia, l’arte e una certa scienza. Da qui il rifiuto di continuare a comporre musica. Attività che gli pareva, nel mondo di oggi, divenuta superflua. Il massimo che ci è ancora concesso di fare è riproporre ciò che del mondo hanno capito e rappresentato i nostri antecessori, musicisti, poeti, scrittori, architetti, pittori, scienziati. Questi ultimi, anzi, o almeno una parte di essi, sottratti all’illusione di crearlo un mondo, che è dei filosofi, degli artisti, sono gli unici che possano affrontarlo senza provocare danni, anzi giovando al resto degli uomini. I medici, soprattutto. Del resto, prima che musicista, Sinopoli era medico. L’archeologia fu l’estremo tentativo di raggiungere quell’unità dell’essere, che il mondo antico conosceva e possedeva, e che il mondo moderno ha spezzato, frammentato. Sumeri, egiziani, greci ci ripropongono un volto delle cose che noi oggi non sappiamo più vedere. Goethe cercava l’Urpflanze, la pianta originaria. Sinopoli cercava l’Urmensch, l’uomo originario. Queste e altre riflessioni – e molti ricordi personali di cui qui taccio – mi venivano in mente mentre ascoltavo Michele Dall’Ongaro, Prsidente-Sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e Gastón Fournier-Facio presentare, nell’aula Risonanze dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, al Parco della Musica di Roma, i due volumi, appena usciti, dedicati a Giuseppe Sinopoli: “Il canto dell’anima. Vita e passioni di Giuseppe Sinopoli”, a cura di Gastón Fournier-Facio, Milano, il Saggiatore; e “Gli dèi sono lontani. Giuseppe Sinopoli: una biografia”, di Ulrike Kienzle, tradotto in italiano da Clemens Wolken per la collana L’Arte Armonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, collana diretta da Alberto Basso.

Contenuto pubblicitario

 

 

 

Alcuni dei collaboratori del libro “Il canto dell’anima” erano presenti. Mario Messinis, Antonio Rostagno, Luciano Berio, pur troppo no, trafugati dall’Angelo Sterminatore. Ma vivacissima, emozionante, è apparsa Ulrike Kienzle, che ha inviato un video in cui ha presentato, parlando un ammirevole ed elegante tedesco, la biografia di Sinopoli. Musicologa lucida e competente, coglie con assoluta pertinenza la complessità del monto emotivo e intellettuale di un musicista, e di un musicista così intricatamente intellettuale quale fu Sinopoli.

Silvia Cappellini, moglie di Sinopoli, ha interpretato splendidamente al pianoforte, con ammirevole nitidezza ma anche con intenso potere di seduzione, tre momenti di una Sonata che Sinopoli ha composto negli anni ‘70, pagina irta di giochi architettonici, di fittissimi contrappunti, di matematiche dosature, come era lo spirito di allora, artifici che tuttavia non riescono a nascondere la furia, si direbbe la febbre di cui appaiono il prosciugamento. Accanto alla sala, c’è un’esposizione permanente di anfore greche che Sinopoli ha collezionato negli anni e che ha donato all’Accademia. Guardando quelle figure nere su sfondo rosso o rosse su sfondo nero, ci assale il senso di quell’unità appunto, di quella continuità della vita e delle cose, la stessa che spinge un Virgilio a indovinare dolore perfino nella cose – sunt lacrimae rerum – ci sono lacrime delle cose – e Aristotele a cercare nella proporzione degli umori che circolano nel corpo le cause di un male, la Malinconia, μελαίνη χόλη, bile nera, appunto, che tuttavia è la disposizione d’animo tipica, anzi indispensabile, di filosofi e di poeti (Aristotele, Problema XXX). Dal Problema aristotelico deriva nel Medio Evo e nel Rinascimento tutta una riflessione sui temperamenti dell’animo umano. Albrecht Dürer incide una sublime raffigurazione che ispirerà schiere di artisti, poeti, scrittori. Robert Burtun pubblica nel 1621 il suo Anatomy of Melacholy, che diventa un testo di riferimento per almeno due secoli. Dei libri presentati si dirà comunque un’altra volta. Fanno complessivamente 1.347 pagine. Ma se qualcuno, lette queste righe sulla loro presentazione, vorrà rievocarsi alla memoria la figura di Giuseppe Sinopoli, si raccolga in profondo e invalicabile silenzio, e si disponda ad ascoltare l’Adagio espressivo della Seconda Sinfonia di Schumann, registrato alla testa della Staatskapelle di Dresda (cd della Deutsche Grammophon). Sinopoli è famoso per il suo Wagner, il suo Puccini, il suo Verdi. Ma in Schumann si riscontra un’affinità più segreta, se ne trasente lo stesso cupio dissolvi, e vi si riconosce la stessa lucida contemplazione del delirio umano e la stessa, consapevole introspezione della morte. Ascoltatelo. Sarà quasi come leggere un libro di filosofia o sottoporsi a una seduta di psicanalisi. Avrete, cioè, acquistato una conoscenza di voi stessi – più che di Schumann, più che di Sinopoli – che prima non avevate. L’unica conoscenza, forse, concessa all’uomo. L’intensità del dolore, esasperata fino all’eccesso, l’assoluta privazione di ogni spiraglio di speranza, e dunque la lucidità della mente che si confronta con la disperazione, toccano qui vertici raramente attinti. Tranne, forse, che nell’interpretazione di un altro direttore anche lui compositore: Leonard Bernstein. Non posso chiudere queste righe che con due citazioni – greche, naturalmente: Pindaro definisce l’uomo ombra di un sogno:

ἐπάμεροι· τί δέ τις; τί δ’ οὔ τις; σκιᾶς ὄναρ
ἄνθρωπος.

Effimeri: che cosa qualcuno? che cosa nessuno? di un’ombra sogno

l’uomo.

Contenuto pubblicitario

Pitiche, VIII, 95-96

Euripide va ancora più in là e dubita anche del divino, sapendo comunque che il divino e l’umano sono inestricabili, come ce li rappresenta in tutto il suo teatro,ma soprattutto nelle Baccanti, la sua ultima tragedia. Tuttavia la sospensione del giudizio, la sua interrogazione senza risposta, trova una mirabile e inimitabile sintesi in uno stasimo dell’Elena, la tragedia sulla follia delle guerre umane: Elena non è mai andata a Troia, vi fu condotto un fantasma, una “nuvola”. Da cui lo sgomento del Vecchio Soldato: e questi dieci anni di sofferenza, di morti, di dolore inconsolabile, per una nuvola? Ma per che cos’altro si fanno le guerre? risponde Elena. Una dea ha fabbricato la “nuvola”, una dea ha condotto la vera Elena sulle sponde del Nilo. Il coro, costernato, si chiede:

ὅτι θεὸς ἢ μὴ θεὸς ἢ τὸ μέσον … ;

che cosa dio che cosa non dio o ciò ch’è nel mezzo … ?

Elena, 1135

 

 

 

 

 

Contenuto pubblicitario

 

0 Commenti

Devi fare login per commentare

Login

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.