Musica

Francesco “Checco” Virlinzi, quando a Catania si respirava rock

11 Gennaio 2021

Sono già passati vent’anni. Lo scorso mese di novembre sono passati vent’anni dalla morte di Francesco Virlinzi. Checco, o “il moro” per tutti quelli che gli hanno voluto bene e che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui. Lo conobbi nella sua Catania nella prima metà degli anni ’90. Aveva avviato la “Cyclope Records”, quell’etichetta discografica che dal profondo sud colonizzò tutta l’Italia musicale.

Un post sulla bacheca di Simona, la sorella di Checco, mi aveva magicamente riportato a quegli anni, ai demo tapes che mi faceva ascoltare, alle visite e alla conoscenza degli artisti che aveva deciso di produrre, cui aveva deciso di dare voce.

Checco Virlinzi è stato il grande interprete di una generazione che ha dato tantissimo a Catania in termini di evoluzione culturale ed emancipazione. Con la sua passione per la musica è stato un pioniere che ha dato possibilità professionali concrete a molti artisti in un momento in cui Catania era la culla di una certa rinascita culturale e terra di fermento musicale.

Molti degli artisti di Checco hanno attraversato la mia strada ed è proprio dalla loro voce che ho deciso di ricordarlo ma, soprattutto, per farlo conoscere a chi, quegli anni, non ha potuto viverli per un banale problema anagrafico.

 

Tutti ricordano le sue serate al “Charlie Brown” di Catania quando faceva ballare il pubblico mettendo sul piatto, sempre ghiotto, vinili che affollavano la sua sterminata libreria piena di dischi. “Erano i primi anni ’80 quando con Luca (Madonia, nda) si andava a casa sua – racconta Mario Venuti – ad ascoltare musica”. Mario Venuti, in quel periodo, era nel pieno della sua avventura con i Denovo, la band siciliana la cui musica traghettò velocemente oltre lo stretto.

 

Ci parla di quegli anni Nico Libra, proprietario di Musicland, uno dei mitici negozi di dischi di Catania. “L’avventura di Musicland comincia nel 1979 con la sfida di aprire un negozio di dischi che importasse musica dall’estero per permette al pubblico italiano di ascoltare musica di cui, altrimenti, non avremmo potuto fruire. Decidemmo inoltre di organizzare concerti e qui entra in campo, da subito Checco Virlinzi. L’avevo conosciuto alcuni anni prima, al termine della mia collaborazione con CTA FM Stereo, una radio libera catanese per la quale mi occupavo della programmazione. L’emittente era appena stata venduta a Telejonica e Francesco venne a trovarci. Era già un grande appassionato di musica, di funky, di soul, di rhythm’n’blues e di rock. Era il 1978, pochi mesi prima dell’avventura Musicland e in momento nacque la nostra amicizia. Francesco diventò, in breve, una persona molto presente nella mia vita e nel rapporto con la città. Francesco faceva il Dj, metteva musica al Mc Intosh, una delle discoteche allora più famose a Catania e lo faceva proponendo musica molto particolare uscendo da tutti i parametri che caratterizzavano i suoi colleghi in quel preciso momento storico. Si trattava di musica più orientata al rock che non al funky o al soul, generi musicali in cui aveva navigato nella sua prima parte della carriera. La musica gli permetteva di vivere la sua voglia di ritmo e di energia. Con lui la discoteca diventa anche un luogo di aggregazione per tutti quelli che, a Catania, amavano e suonavo il rock e, soprattutto, il rockabilly, genere musicale molto diffuso in città in quel periodo. Francesco era una persona cui piaceva viaggiare. Amava andare all’estero, vedere concerti quindi molto spesso mi coinvolgeva in questi suoi viaggi. Prima di iniziare la sua avventura di produttore con la Cyclope Records, che fonderà nell’aprile del 1990, Francesco decide di importare dischi la cui uscita in Italia non era prevista. E’ il caso dei dischi degli Yo la tengo, gruppo alternative rock statunitense, formatosi a Hoboken nel New Jersey e dei Pylon, un gruppo rock americano di Atene, in Georgia”.

 

Ci parla di quegli anni anche Giuseppe “Pippo” Rinaldi, in arte Kaballà, altro grande amico di Checco.

“La scelta della parola Cyclope per il nome della sua etichetta è nata a casa mia. In quel periodo vivevo già a Milano. Fu una notte, una di quelle tante notti insonni in cui si parlava di musica, si ascoltava musica. Francesco frequentava la mia casa tutte le volte che veniva a Milano. In quei giorni si trasformava nel suo quartier generale. Aveva un’abitudine che mi faceva impazzire che era quella di appoggiare tutte le sue cose, chiavi, agenda, portafoglio, appunti e carte varie sul mio pianoforte. L’avevo consociuto quando già vivevo a Milano, dopo aver lasciato Catania. Rientravo nella mia città regolarmente, avendo lì i miei genitori e i miei più vecchi amici tra questi Nico Libra, con il quale ci conoscevamo sin da piccoli, essendo coetanei. In una di quelle occasioni, erano i primi anni ’80, ero a Catania nel negozio di Nico. Stavo guardando i vinili che rano negli scaffali e, davanti a me, c’era la copertina di un disco. Era quella di Closing Time di Tom Waits. Alzai lo sguardo e vidi davanti a me questo ragazzo. Mi colpirono subito i suoi occhi, color di bragia, per dirla alla Dante, occhi furenti e luminosi. Abbiamo cominciato a chiacchierare. Poi Nico ci ha presentati. Quella stessa notte finimmo a casa di Francesco a parlare di musica e ad ascoltare musica. Fu solo la prima di una delle tante notti che trascorsi insonne in compagnia sua e della musica. Aveva, già allora, una collezione sterminata di dischi. Lavorava nell’azienda del padre e questo gli permetteva una disponibilità economica che alcuni di noi ancora non aveva. Lavorava durante il giorno e poi si buttava a capofitto nella sua passione, la musica. In quel periodo Francesco mi fece conoscere molti artisti americani che io ancora non conoscevo”.

Gli anni ’80 si dipanano, anno dopo anno e la musica pure. Fu nell’aprile del 1990 che Francesco, con il supporto di Nica, la madre, decide di dare l’avvio alla sua “grande impresa”, la realizzazione di quella Cyclope Records che, per anni, caratterizzerà il suo lavoro. Nel 1991 esce Flor de Mal, l’album omonimo della band formata da Marcello Consulo, Enzo Ruggiero e Paolo Santagati. L’anno dopo Checco Virlinzi produce Santi & peccatori di Brando, nome d’arte di Orazio Grillo, già front man dei Boppin’ Kids, gruppo che si era formato nel 1984 a Catania come classico rockabilly trio. Nel 1993 produce Fottuto terrone, l’album d’esordio dei Nuovi Briganti, gruppo hip hop italiano proveniente dalla zona di Messina. Sempre nello stesso anno produce Morgan, il disco solista di Amerigo Verardi, che produrrà anche in seguito quando Amerigo realizzerà il progetto Lula.

“Uscivo dall’esperienza della mia prima band – racconta Amerigo – e avevo trovato la maniera di registrare il mio primo album da solista. Lo proposi a diverse etichette compresa la Cyclope Records. Quella di Francesco è stata la prima telefonata che ho ricevuto. Sono stato travolto dal suo entusiasmo anche se la mia visione del mondo, in quel periodo, era piuttosto cupa. Francesco era genuino e contagioso. La prima impressione che ho avuto di lui era la sua competenza perché i suoi complimenti erano sempre genuini e basati sulle proprie conoscenze e competenze musicali oltre che sul suo amore verso la musica. Da quella prima telefonata fino a quando le nostre strade si sono divise, circa quattro anni, non ho mai ricevuto dal lui una valutazione sulla musica che fosse priva di fondamenti, positiva o negativa che fosse. Francesco sapeva quello di cui parlava. È grazie a lui che ho conosciuto alcune realtà musicali che io non conoscevo. Dimostrava il suo affetto e la sua stima anche stimolandoti e questo passava anche attraverso il proporti musica da ascoltare o parlando con te dell’evoluzione delle scene musicali internazionali”

In quel periodo Virlinzi chiude un contratto di distribuzione con Polygram. A questo proposito, Stefano Zappaterra, al tempo responsabile delle acquisizioni dell’etichetta, ricorda: “Mi inviò i suoi lavori. Li ascoltai. Il giorno dopo ero a Catania. La passione che Francesco metteva nel suo lavoro, oltre ad essere contagiosa, andava oltre quello che si può pensare che una persona possa mettere nel suo lavoro. Avevamo in comune l’entusiasmo con cui affrontavamo il nostro lavoro. Una delle grandi caratteristiche di Francesco era la logica dello sviluppo dell’artista, qualità che oggi sembra scomparsa. A quei tempi si lavorava con il pensiero che gli artisti dovessero crescere a maturare e riuscissero ad arrivare al successo dopo un periodo di crescita. Francesco è uno dei pochissimi che io ho conosciuto che era a tutto tondo. Aveva una mentalità artistica pazzesca ma era anche molto business e riusciva a coniugare questi due aspetti nel modo e nella maniera giusta. Riusciva, grazie a questo mix, a essere unico”.

Nel 1994 Virlinzi produce Un po’ di febbre, album d’esordio da solista di Mario Venuti orfano dei Denovo che vede la collaborazione di Allan Goldberg, ingegnere del suono e produttore sudafricano. L’esperienza con i Denovo, per Mario, è ormai alle spalle e scrive un disco eclettico e originale in cui offre una prova di grande maturità e canzoni di alto livello, in cui il pop si riempie di fragranze e suggestioni brasiliane. Francesco Virlinzi dimostra, ancora una volta, la sua totale apertura alla musica. “Gli feci sentire i provini che avevo realizzato dopo lo scioglimento dei Denovo – ricorda Mario Venuti – e Francesco mi propose di registrare il mio primo album. Coinvolsi Allan Goldberg, con il quale avevo già collaborato. Francesco portò il mio disco a Stefano Zappaterra, in Polygram, e fu Stefano che ebbe l’idea di farmi debuttare con “Fortuna”. Francesco si dimostrò molto aperto nei confronti della mia musica. Ero un po’ distante, in quel periodo, dalla musica che lui amava di più. Francesco era un rockettaro e il mio album era, per certi versi, agli antipodi perché io ero in pieno trip tropicalista. Questo non ha impedito, però, che Francesco si buttasse con tutta la sua energia nella produzione del disco. Poi, un giorno, mi fece sentire una cassetta chiedendomi di ascoltarla. ‘C’è della stoffa ma le canzoni sono ancora un po’ acerbe’, mi disse. Si trattava del primo demo tape di Carmen Consoli. Tant’è che, al termine delle registrazioni di Microclima, il mio secondo album, Francesco mi fece incontrare Carmen, con la quale collaborai. Portammo la regia mobile di Allan a Catania e lì, al Cantinone, si registrò e si produsse, sempre per Cyclope Records, il primo album di Carmen Consoli”.

Si tratta di ”Due parole” che, con il singolo “Quello che sento”, permise a Carmen Consoli di partecipare a Sanremo Giovani nel 1995 e che la portò con “Amore di plastica” sul palco del teatro Ariston nel 1996 nella sezione Nuove proposte. Francesco Virlinzi, ancora una volta, rompe ogni schema. I suoi artisti non sono singoli elementi a sé stanti. Ognuno di loro è parte di una factory in cui si respira musica e si collabora per la crescita e lo sviluppo non solo di se stessi ma anche degli altri artisti del roster, com’è definito oggi, della Cyclope Records.

Per la Consoli, il 1997 vuol dire “Confusa e felice”, il suo secondo album sempre prodotto da Cyclope Records. La title track viene presentata al Festival di Sanremo del 1997 ed eliminata dopo la prima serata. Nonostante l’eliminazione, o forse proprio per questo, il brano acquista subito grande notorietà nelle radio e diventerà, nel tempo, uno dei cavalli di battaglia dell’intera produzione dell’artista catanese.

La passione per la musica di Francesco non si è mai fermata. Negli anni ’80, durante le sue frequentazioni ai più importanti live show in giro per il mondo, aveva conosciuto Bruce Springsteen, il Boss, con il quale nacque un rapporto di amicizia. Gli artisti lo ammiravano, lui, Checco per gli amici, giovane siciliano carismatico e dalla grande cultura musicale che si faceva voler bene in fretta. Ottimo fotografo, segue in tour i R.E.M., realizzando una serie di fotografie che sono diventate un libro, il R.E.M. book, e una mostra, Live ’80. Anche con i R.E.M., che andò a vedere nei loro show con Nico Libra, nasce una profonda amicizia. Nel 1995 propose loro di esibirsi a Catania per la loro unica data italiana e i R.E.M. accettarono. Ad aprire il loro concerto, furono i Flor de Mal e i Radiohead.

 

“Andiamo a Zurigo che suonano gli U2 – ricordano ancora Pippo Rinaldi e Nico Libra parlando di quegli anni ‘80 – e ci presentammo all’albergo in cui Bono aveva una stanza. Lo aspettammo sotto la pioggia con una torta Savoia portata dall’Italia su cui era stato scritto ‘Welcome U2’. Bono scese dall’auto e gli demmo la torta ‘Da dove venite?’ chiese Bono e quando Francesco, che parlava un ottimo inglese gli disse che venivamo dalla Sicilia, Bono ci guardò e disse ‘Un’isola, proprio come l’Irlanda”.

Un’isola che, proprio grazie a Virlinzi, riuscì a superare il limite fisico dei suoi confini, quel mare che, se è vero che la delimita, le dà energia e forza. E Francesco contribuisce a creare un nuovo sentire, un nuovo immaginario collettivo a Catania, nella sua città.

“I rappresentati della Sony – ricorda Nico Libra – mi chiedevano come mai gli album dei R.E.M. vendessero oltre diecimila copie a Catania e poco più di trecento a Milano. Io risposi che a Catania la musica dei R.E.M. era suonata in discoteca e questo faceva la differenza. La suonava Francesco e faceva innamorare il suo pubblico di quella musica. Molto spesso si trattava di album non distribuiti regolarmente in Italia. I ragazzi, dopo gli show di Francesco, venivano a Musicland chiedendo proprio quei dischi”.

E di energia e forza Francesco ha riempito le sue produzioni musicali. Anche nella seconda metà degli anni ’90 l’attività di Cyclope Records è senza sosta. Arrivano i nuovi artisti e le nuove produzioni. Nel 1996 produce Battiato non Battiato, uno dei due dischi tributo prodotti da Cyclope Records. In questo tributo a Franco Battiato mette assieme Mario Venuti, Carmen Consoli, Luca Madonia, Ustmamò, C.S.I., Brando, Flor de Mal, Yo Yo Mundi, Kaballà, La Crus, Disciplinatha, Lula, Nada Trio, Nuovi Briganti, Blue Vertigo e i Demo. Sedici tracce che raccontano il grande artista siciliano e altrettante incredibili cover che vedono schierati gli artisti del suo roster.

Nel 1999 Cyclope produce Moltheni, nome d’arte di Umberto Giardini che ricorda: “Di Francesco Virlinzi ho ricordi indelebili che porterò sempre con me, sia come esperienza personale, ma anche come importante e amorevole testimonianza di ciò che è stato lavorarci assieme. Grande conoscitore della materia musica era una persona molto preparata, progressivo e sempre rivolto in avanti, sapeva anticipare i tempi nonché riconoscere l’autenticità delle cose, specie quelle rivolte al suo lavoro. In studio spesso sorgevano dubbi e i momenti di confronto, anche duri, servivano nel raggiungimento dello stesso obiettivo comune. Musicalmente non avevamo gli stessi gusti, ma riflettevamo la nostre differenze nella stessa luce, invaghiti della qualità e di tutto ciò ci emozionasse. Come me, Francesco, era una persona molto pratica e spicciativa, aveva il dono dell’operatività, decisamente anomala per un catanese DOC come lui. Opportunista quanto basta, conosceva perfettamente tutti quei meccanismi deviati ai quali le multinazionali della musica si appoggiano e li usava per mettere con le spalle al muro i discografici delle major. Cosciente e concentrato, riusciva sempre a districarsi con eleganza dai nodi della burocrazia discografica e otteneva sempre il meglio dai suoi rapporti tra produzione e artisti. Il suo metodo gestionale e organizzativo dell’etichetta era unico e insostituibile. Un giorno mi disse: ‘La buona musica la riconosci subito, ma prima ne devi masticare tanta, tantissima. Arriva poi il momento che come una calamita ti si attacca addosso, senza cercarla è lei che ti trova’”.

In tutta Italia si parlava di Catania come di una scena musicale americana, una fucina di rock all’ombra del vulcano. Catania, grazie a Francesco, visse l’epopea d’oro della musica indipendente di Seattle sino a diventare la Seattle del Mediterraneo. C’erano pubs dove si suonava regolamente e una etichetta come la “Cyclope Records” che riassumeva quella indole del rock. C’era l’America dentro i sogni e le speranze di Francesco e per molti anni Catania respirò questa idea.

Ma Francesco porta con sé una grave malattia. Un male incurabile che lo porta nel 2000 negli Stati Uniti non per asssitere ad un concerto, come era successo negli anni ’80 spesso accompagnato da Nica, la madre, e Simona, la sorella ma nella speranza di una cura. Qui, per la prima volta, perde una sua battaglia. Muore il 28 novembre di quell’anno nel Manhattan center hospital di New York dove era ricoverato. Il ricordo di Francesco è racchiuso in una frase che scrisse nel suo diario nel 1981, dopo aver visto a Zurigo il concerto di Bruce Springsteen. “Non c’è niente che duri un’eternità, ma ci sono ricordi che durano una vita!”. La musica che Francesco Virlinzi ha proposto prima e prodotto poi, appartiene proprio a quei ricordi che durano una vita. E anche tu, Checco.

 

 

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