Musica
Due giganti del jazz e un Pulitzer: Threadgill e Morris
Uno dei luoghi comuni che con maggior frequenza viene associato al jazz degli ultimi decenni è quello secondo il quale “non esistano più i grandi musicisti di riferimento”, i Coltrane, i Parker, i Davis della situazione, in grado di tracciare sentieri che indichino alle pratiche musicali che vanno sotto il nome di jazz nuove strade maestre.
Come tutti i luoghi comuni, anche questo contiene molti elementi che raccontano una parte della “verità”: le trasformazioni culturali, produttive, stilistiche, ma anche ideologiche che queste musiche hanno attraversato dagli anni Settanta in poi, nonché l’ampliarsi globalizzante e sempre meno precisamente connotato cui è stato sottoposto lo stesso termine “jazz”, hanno di molto modificato quelli che sono state (o che noi percepiamo a maggior o minor comodità) le grandi narrazioni individuali e collettive dei primi cinquant’anni di questa musica.
Questo “tarlo” tuttavia continua a essere ben presente nei pensieri degli appassionati: “ma chi è che fa davvero del jazz significativo oggi?”… “esistono ancora i maestri?”
E’ una domanda che spesso mi sento fare anche ultimamente, durante le presentazioni del mio libro Storie di jazz (Arcana) ed è una domanda alla quale è forse impossibile rispondere in termini netti, per le ragioni di cui accennavo rapidamente qui sopra e perché forse non ha nemmeno più senso ragionare con questo tipo di schemi.
Se volessimo però prestarci al gioco e cercare di individuare alcune figure “centrali” nella musica afroamericana degli ultimi decenni, difficile evitare di imbattersi nei nomi di Henry Threadgill e di Butch Morris, due musicisti che, per originalità della concezione musicale, qualità del pensiero e della prassi, capacità di sollecitare un approccio differente nei musicisti e, non ultima, pura bellezza degli esiti artistici, sono certamente tra i più significativi del jazz dagli anni Settanta a oggi.
Si tratta di due artisti che solitamente la critica, i curatori e il pubblico più attenti alla scena che dall’esperienza dell’AACM a Chicago (Threadgill viene dalla Windy City) si muove verso la New York dei loft di metà degli anni Settanta (Morris era californiano, ma si spostò nella Grande Mela nel 1976) portano in palmo di mano, anche se è difficile che le “grandi narrazioni” del jazz, o tantomeno un sistema educativo fortemente fossilizzato sul canone bop, se ne ricordino.
Avrà quindi forse stupito qualcuno di meno accorto, ma di certo non chi ne apprezza l’unicità dal tempo del trio Air e del fantastico Sextett, la recente assegnazione a Threadgill del Premio Pulitzer per la musica (in ambito jazz solo Ornette Coleman e Wynton Marsalis hanno ottenuto in vita un tale prestigioso riconoscimento), formalmente assegnata per il disco In for a Penny, In for a Pound uscito lo scorso anno, ma chiaramente ben consapevole dell’intera carriera del sassofonista e compositore.
Proprio negli stessi giorni del nobile riconoscimento è uscito anche quello che a me sembra uno dei dischi più straordinari dell’intera carriera di Threadgill, Old Locks And Irregular Verbs, dedicato proprio allo scomparso amico Butch Morris, con cui aveva suonato nel fantastico ottetto del sassofonista David Murray (recuperatevi quei dischi assolutamente!) e di cui è stato per anni vicino di casa (nonché accomunato dalla condizione di veterano del Vietnam).
https://youtu.be/Xb6LOyAgO1c
È un disco in cui Threadgill abbandona la formula del gruppo Zooid (che è stata al centro della sua musica negli ultimi 15 anni e che è anche quella del disco del Pulitzer) per dirigere – senza suonare alcuno strumento – una formazione originalissima con due pianoforti stellari come quelli di Jason Moran e David Virelles, i meno conosciuti Curtis Macdonald e Roman Filiu al sax alto (in una sorta di doppelganger del leader), l’esperto Jose Davila alla tuba, Christopher Hoffman al violoncello e Craig Weinrib alla batteria.
Suite divisa in quattro parti, Old Locks And Irregular Verbs è un lavoro di bellezza scintillante, in cui il magistero compositivo di Threadgill, fatto di complessi – e incredibilmente danzanti – incastri ritmici, di strati sonori che si sovrappongono in vortici ipnotici, trova vette entusiasmanti, evocando traiettorie urbane che si sviluppano anche orizzontalmente, non dissimili da alcuni esiti recenti della musica di un altro “maestro” come Steve Coleman, aprendo questa magica scatola sonora a digressioni, sviluppi laterali, nuove narrazioni.
La figura di Morris – il cui sistema di segni per una improvvisazione guidata, nota come conduction, è una delle invenzioni formali più significative del jazz degli ultimi decenni – è evocata così senza alcuna esigenza di andare a sottolineare il gesto sonoro di riferimento (sarebbe stato piuttosto incongruo, oltre che improbabile, data la profondità artistica di Threadgill), ma scolpendo letteralmente un organismo sonoro sempre cangiante.
È solo nel quarto e conclusivo movimento del disco, di commovente intensità, che Threadgill omaggia apertamente l’amico scomparso, attraverso un corale in cui i pianoforti si inseguono per poi sciogliersi in una melodia/canto dolente in cui sembra davvero di scorgere la figura sorniona di Morris allontanarsi e salutare con la discrezione e la dolcezza che chi lo conosceva non potrà mai dimenticare.
Un disco assolutamente da avere, ascoltare, condividere, suggerire, certamente tra quelli che saranno in cima alle classifiche del meglio, non solo del 2016, ma del decennio.
Threadgill e Morris (di cui vi invito a riscoprire i lavori del passato, alcuni sono tra le vette della musica tutta, non solo jazz), ecco i nomi di due giganti di un jazz che è senza più giganti solo per chi non li vuole più cercare!
Suggerimenti:
Butch Morris – The Composition of Conduction (DVD a cura di Luciano Rossetti)
Butch Morris – Possible Universe – Conduction 192 (Cd Sant’Anna Arresi Jazz)
Butch Morris – Nublu Orchestra (Cd Nublu)
Henry Threadgill – Old Locks and Irregular Verbs (Cd PI Recordings)
Henry Threadgill – This Brings Us to Voll. 1&2 (Cd PI Recordings)
Henry Threadgill – Too Much Sugar for a Dime (Cd Axiom)
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