Musica

Dov’è finito il demone di Faust?

8 Luglio 2021

Anche il Teatro La Fenice di Venezia ha finalmente ripreso la produzione operistica dopo un lungo silenzio di oltre otto mesi, ripescando Faust di Gounod, assente dalle scene veneziane dal 1993. Una scelta coraggiosa un po’ in sordina: platea ancora inibita al pubblico (che quindi diventa scena aggiuntiva oltre al palcoscenico), orchestra in buca di ridotte proporzioni, con distanziamento e archi da impianto cameristico (3 violoncelli, due contrabbassi), coro con mascherine (difficili da sopportare), direttore all’angolo per poter dirigere sia platea che palco.

Fondamentale riaccendere il contatto diretto col suono vero, importante che i media siano presenti agli eventi, alla loro ripresa, non solo annunciandoli, soprattutto per ricordare a tutti e alla politica che lo spettacolo dal vivo ha bisogno di ripartire, e che, appunto, solo l’esperienza col suono e con la reazione del pubblico può dare un significato attivo e autentico alla comunicazione artistica. Non piattaforme web o registrazioni, che assumono valore documentale e archivistico e che non possono certo entrare nelle ragioni dell’arte, in quel filo che unisce una partitura al pubblico attraverso il musicista, in quell’attimo fuggente, unico, dove vive, nasce e muore la musica. Questo è uno dei suoi misteri, il “qui ed ora” che testimoniamo, in grado di avvicinare persone fra le più diverse, che insieme lasciano le proprie case, rinunciano ad altro per dedicare quel viaggio, quel tempo, quell’ascolto a un’esperienza irripetibile, che piaccia o no. In questo stanno quindi anche le responsabilità dell’interprete e degli organizzatori: sono tutti lì, in silenzio, per ascoltare, ora persino distanziati e con mascherine. Il peso della performance è alto, non basta genericamente rappresentare, né tantomeno intrattenere. La prova è più difficile. Può veramente essere tutto come prima con una pandemia?

La Fenice ha puntato quindi su Faust, dal 25 giugno al 3 luglio, opera lunga e complessa, cercando visioni innovative su una scena “allargata” nell’allestimento firmato da Joan Anton Rechi (regia, scene e costumi), che ha immaginato l’azione in una cattedrale gotica essenziale, richiamata da dodici panche in platea e di cui fare parte lo stesso pubblico da palchi e loggione; banchi spostati poco a poco per lasciare libero un pavimento specchiante, svuotato, decisamente spoglio. Non convinceva l’uso dello spazio, dove il palcoscenico ospitava alcune isolate apparizioni o il coro stesso, lasciando il movimento quasi esclusivamente in platea (faticoso vedere i volti), con costumi che evocavano Senso di Visconti ambientato proprio nella Fenice del periodo di Faust, ma anche della guerra contro l’invasione austriaca descritta nel film. Una relazione (così importante?) che non veniva sviluppata. L’opera sarà ripresa nel 2022 con la stessa regia ma con un diverso allestimento, sperando in una migliore gestione dello spazio ma anche in migliori condizioni di salute pubblica per una vera ripresa dello spettacolo.

La direzione musicale di Frédéric Chaslin tendeva a squadrare la partitura con una certa rigidità nonostante nuance e fraseggi di routine, prediligendo l’accompagnamento invece di attrarre le voci nell’orchestra in un proprio originale discorso musicale. Ne risultava una ripetitività di tinte e una ridotta flessibilità dinamica che comprimeva i momenti di contemplazione e il senso della progressione drammatica, senza dare l’impressione o l’emozione che dovesse mai accadere qualcosa di importante. Su questa linea quasi tre ore di musica sono risultate un po’ affaticate, pur comprendendo le difficoltà di una produzione singolare come questa.

Insomma, ci vuole il “demone” – quello fra le note e le pieghe della coscienza dell’artista – anche e soprattutto per un’opera come Faust. Alex Esposito era indubbiamente un Mefistofele convincente, anche se questo ruolo sembra gli si addica forse meno di altri, più raffinato nell’esposizione nell’eloquenza del fraseggio che nell’impatto teatrale del singolare personaggio (nel 1993 Mefistofele era Samuel Ramey). Il tenore Ivan Ayon Rivas (Faust) dispiegava un appassionato lirismo, mentre Carmela Remigio (Margherita) non smentiva la trasparenza malinconica e il saper essere flessibile nella sua poliedrica capacità di passare fra i ruoli di opere molto diverse fra loro. Applausi calorosi.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.