Musica
Dr. John – Locked Down, un disco da ascoltare assolutamente!
Dicembre è arrivato e come sempre si pensa di rimanere a casa a rilassarsi, soprattutto se è sabato mattina e il tempo scorre sornione e abbastanza svogliato. Cosa fare per occupare il tempo: leggere? vedere un film? ascoltare musica?
Per la terza opzione vi vengo in aiuto raccontandovi e invogliandovi all’ascolto di Locked Down del Dr. John, album uscito qualche anno fa ma che rimane un classico per questo periodo, un po’ come Creatures of an Hour degli Still Corners. Dr. John è un nome conosciuto, storico del blues/rock americano, questa volta prodotto e seguito dal buon Dan Auerbach dei Black Keys.
Cliccate sulla cover per ascoltare (il racconto continua successivamente).
South America, anni ’50, i pneumatici della Cadillac nera schiacciano il fondo stradale fangoso, il blu scuro delle nuvole forma vortici in cielo, la pioggia rimasta scende dagli alberi come dalla fronte e dalle mani. L’aria è satura di umidità, e il caldo soffocante sembra annebbiare i gesti oltre la vista.
L’auto scivola lungo la strada di campagna, uno spettro dal suono appiccicoso. Incollato al sedile un uomo dalla folta e incolta barba grigia nota, nel diradarsi della boscaglia a lato, uno stabile di legno, una baracca maltenuta e alquanto marcia, affascinante dalle luci penzolanti, stese a riposare nell’incombenza del crepuscolo.
Il vecchio sterza con decisione e si ferma, scende e sale sulla veranda mentre il pavimento lamentandosi del suo peso scricchiola. L’entrata è spalancata e una donna cinge tra le mani un bicchiere, intenta ad asciugarlo: “che posso versarti straniero?”, “un qualcosa di forte” fa l’uomo. Lo stretto bancone e dei tavoli sparpagliati attorno si aprono nella penombra, qualche lampadina giallognola illumina indecisa la stanza, un gioco di luci e oscurità, paradiso/inferno dove calarsi, attratti dall’imperfezione e dal senso di peccato che aleggia a mezz’aria. Non c’è nessuno ma le assi parlano da sole: bagordi, risse, sudore e sangue. Sperma, sesso, festa e pulsazioni disinibite. Eleganza lercia.
“Che ci fanno quegli strumenti buttati là?”, chiede il viaggiatore, notando un piccolo palco nel fondo della baracca, “il gruppo ha finito la roba e sono andati a fare rifornimento al paese vicino, non hanno ancora fatto ritorno. Dovrebbero suonare, qui, stasera”.
Scolato un sorso acido, le cui gocce rimaste sulla barba riflettono le centinaia chitarre strette fra le mani, inizia con movimento lento ma incisivo a suonare qualche accordo: l’atmosfera si fa carica d’elettricità, sospesa come fiato sulla pelle e stringente un sentimento amaro al cuore; i filamenti delle lampadine, di sudore, vibrano d’enfasi, il suono cosparge di profumo dolcestanco l’ambiente, e la temperatura inizia a riecheggiare, in attesa d’essere goduta sino al fondo della notte.
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