Musica

Dirigere (un’orchestra) è cosa per donne

26 Giugno 2020

È uno dei più giovani direttori d’orchestra in Europa e si trova a proprio agio in un mondo prettamente maschile. Le chiedo se, forse, preferisca essere chiamata direttrice, ne ottengo una risposta perentoria: “Assolutamente no!”. Beatrice Venezi è una donna che sogna di sdoganare la musica classica, rendendola accessibile a tutti, per nulla infastidita dal dubbio che molti possano andare ad un suo concerto mossi più dalla curiosità di vedere una (bella) donna sul podio che dall’interesse verso la musica. “Scusi, dove sarebbe il problema? Qualcuno me lo ha persino detto chiaramente. Ma anche se sono venuti per me, hanno ascoltato un’ora di musica. Sono entrati in contatto con quel contenuto, magari per la prima volta, grazie a me. Ho quindi ottenuto il mio risultato”.

Maestro Venezi, come ci si innamora della musica classica in una famiglia dove non ci sono musicisti?
Ho sempre avuto una grande curiosità nei confronti dell’arte e della cultura in generale, che i miei genitori non hanno mai mancato di alimentare. Il primo approccio con la musica l’ho avuto attraverso la danza, e quindi sostanzialmente attraverso il ritmo. Quando poi ho scoperto che nella scuola elementare che frequentavo c’era una maestra che impartiva lezioni di pianoforte, ho voluto provare. È iniziato così un percorso che mi ha portata, dopo anni di studio, sul podio.

Chissà come l’hanno presa i suoi genitori. Magari speravano per lei in una carriera diversa…
Sinceramente non posso rimproverare nulla a mio padre e a mia madre. Mi hanno sempre sostenuta ai massimi livelli sin dall’inizio. In questo sono stata fortunata.

Ha sempre sognato di diventare un direttore d’orchestra?
No. La direzione d’orchestra è arrivata quasi per caso, tanto che non saprei dirle il momento preciso in cui ho deciso che un giorno sarei salita sul podio. Ricordo solo che ad un certo punto ho sentito che i tasti del pianoforte non erano più sufficienti per esprimermi completamente. Serviva una tavolozza di colori più ampia, che solo un’orchestra nel suo complesso può darti. Il mio primo maestro di composizione mi disse che “il demone della musica aveva deciso di dimorare in me”.

A 22 anni è salita per la prima volta sul podio. Ha pensato “se oggi va male, è la fine”?
In realtà, questo lo penso ogni volta che faccio un debutto importante. Ma posso dirle la verità?

Prego…
Sono un’artista giovane, una donna che non nasconde mai la propria femminilità pur svolgendo un ruolo tipicamente maschile, che insiste sulla necessità di divulgazione della musica classica a tutti i livelli della società rendendola più democratica e fruibile. Tutto questo ha un qualcosa di sovversivo e mi espone inevitabilmente al “dito puntato”.

Quanto le manca il suo maestro Piero Bellugi?
Molto, senza di lui probabilmente oggi non sarei arrivata sin qui. Ed è per questo che mi tengo stretta il suo insegnamento più grande, la generosità. Ho sempre percepito in lui una grandissima generosità nel tramandare le sue conoscenze, un qualcosa che non ho più trovato in nessun altro insegnante con il quale ho studiato.

Una dote molto rara…
Assolutamente! In ambito accademico, e non solo nei conservatori ma anche nelle università in generale, si tende ad essere spaventati dai più giovani, non si vuole tramandare il sapere, per paura di essere un giorno superati dai propri allievi. Ma invece è fondamentale che vi sia uno scambio continuo tra la maturità e la giovinezza, perché in realtà è uno scambio biunivoco, tra chi si approccia alla stessa cosa con occhi diversi. Non è un caso se proprio Bellugi ha definito la direzione d’orchestra come la “unificazione delle coscienze”.

Il direttore d’orchestra è ancora percepito come un dittatore?
Personalmente quella di impartire semplicemente degli ordini la trovo una modalità di dirigere antiquata. È il vecchio modello toscaniniano, che aveva senso in un passato culturalmente e politicamente diverso dai tempi odierni. Oggi la leadership è un’altra cosa. Significa convogliare le energie, coinvolgere e motivare le persone con le quali si lavora. Certo, molto dipende dal materiale umano con il quale si entra in contatto così come dall’aspetto culturale del paese dove ci si trova, e qualche volta non si può fare a meno del pugno di ferro. Diciamo che dirigere in Giappone non è la stessa cosa che dirigere in Italia.

A proposito di Giappone, è vero che non volevano farla dirigere con la gonna?
Si, è vero. Non so perché, ma sentivo che sarebbe potuto sorgere qualche problema di questo genere. Scrissi quindi un’email molto dettagliata, spiegando che avrei indossato abiti femminili, indicando anche il messaggio sociale che avrei voluto lanciare in quel modo. La risposta degli organizzatori fu però molto netta: preferiremmo che lei indossasse qualcosa di più maschile.

E come è andata a finire?
Che ho diretto con la gonna!

Ha mai imparato qualcosa confrontandosi con un orchestrale?
Tantissimo! La difficoltà della direzione d’orchestra è quella di non avere uno strumento sul quale esercitarsi ogni giorno. Sono proprio i momenti di incontro e confronto con l’orchestra quelli che ti portano ad acquisire il know-how specifico. Quello del direttore è un vero e proprio learning by doing.

Come si fa ad essere accettati da un’orchestra?
Me lo chiedo ancora oggi, anche perché tutto viene deciso già nel momento in cui cammini dalla porta sino al podio. Al di là di una questione di simpatia o antipatia, ciò che paga è non indossare alcuna maschera. Non mi interessa, ad esempio, essere chiamata Maestro, perché non mi sono mai posta il problema di essere il direttore d’orchestra. A me interessa che accettino la persona e che quindi quella che vedono sul podio sia Beatrice, pur nella sua funzione di direttore.

Si parla spesso del fatto che essere donna abbia rappresentato un problema in un mondo quasi totalmente composto da uomini. Possibile che non ci siano vantaggi?
Si, credo effettivamente che essere donna comporti alcuni vantaggi. Serve una lettura dello spartito contemporaneamente orizzontale e verticale, bisogna gestire anche fino a cento orchestrali. Attività multitasking nelle quali noi donne abbiamo una marcia in più. Ma c’è anche l’aspetto relazionale, nelle quali le donne sono notoriamente più portate. E, soprattutto, la sensibilità nell’ascolto. D’altronde il rimprovero più grande che una donna spesso muove ad un uomo è proprio quello di non ascoltarla: si presume quindi che le donne siano più brave in questo!

Nonostante la giovane età, ha diretto in quasi tutto il mondo. Trova anche il tempo per immergersi nella cultura del paese che la ospita?
Sempre, l’unica volta che non ci sono riuscita è stato in Libano, e mi dispiace molto. Il viaggio è la mia seconda più grande passione. Che riesco a coltivare proprio grazie alla musica.

Chi è il più grande compositore di sempre?
Non è facile rispondere. Ma direi Beethoven, anche per la rivoluzione che compie con la sua figura di artista che oggi chiameremmo freelance, libero dalle commissioni. Un rivoluzionario anche sul piano musicale, con una musica strettamente legata alla concezione illuminista e positivista, alla fiducia incrollabile nell’uomo, all’idea di fratellanza. Una musica che è al di là della musica, che ha anche un forte valore formativo per il pubblico.

Essendo nata a Lucca, avrà certamente un legame speciale con Puccini…
E’ una figura che è sempre stata presente nei momenti più importanti della mia carriera, dalla prima produzione che ho fatto come maestro collaboratore in Germania, dove tra l’altro per la prima volta mi sono avvicinata alla direzione d’orchestra, fino ai più importanti debutti internazionali. E non dimentichiamoci del mio primo disco, che contiene arie di Puccini, così come della mia partecipazione al Lucca Summer Festival.

Cosa c’entra Puccini con il Lucca Summer Festival?
E’ stata semplicemente la dimostrazione di ciò che andavo teorizzando da anni: il fatto che la musica classica possa avere un grande appeal per un vasto pubblico. Ma capisco la sua perplessità, effettivamente il mio progetto all’inizio venne visto con un certo scetticismo.

E invece?
Arrivarono più di cinquemila persone. Mi creda, la musica classica può essere pop.

Eppure la musica classica viene percepita per lo più come noiosa. C’è un modo per cambiare questa percezione?
La ricetta sta innanzitutto nella conoscenza. Si dovrebbe partire dalla scuola, ma tutti sappiamo come l’educazione musicale scolastica oggi sia insufficiente. Ci sono però tante altre iniziative di divulgazione che potrebbero essere messe in piedi, a partire dai teatri e dalla RAI. Ma va migliorata anche la comunicazione: la musica classica oggi viene presentata come qualcosa di complesso, antiquato, polveroso che non muta nel tempo. La musica è un organismo vivo, che non deve respingere le persone.

Potrebbe essere utile quella “Netflix della cultura” proposta dal Ministro Dario Franceschini…
Sicuramente è molto importante ragionare sulla digitalizzazione degli archivi musicali, dove il nostro paese è ancora indietro, dato che potrebbero rivelarsi risorse molto importanti per far conoscere ulteriormente certe realtà musicali e per l’indotto che ne può derivare. Se invece si tratta di un’alternativa alla vera e propria performance live, allora significa non aver compreso il significato profondo dell’andare a teatro, il suo valore educativo, il valore di connessione sociale tra le persone presenti in sala.

In Italia le donne che salgono sul podio si contano sulle dita di una mano. Vi sentite e vi sostenete?
Onestamente no. Ho cercato in passato di instaurare qualche contatto ma in questo paese manca la consapevolezza della necessità di fare rete.

Si potrebbe pensare alle quote rosa anche nella direzione d’orchestra…
Per niente, le trovo aberranti. Ciò che è importante è adottare una mentalità meritocratica indipendentemente dal genere. Certo, le quote rosa possono servire per abbattere qualche barriera iniziale ma di certo non possiamo fermarci lì. Il problema è diverso, è culturale, e non si risolve obbligando a mettere un certo numero di donne in determinate posizioni.

Perché a suonare l’arpa sono quasi sempre soltanto le donne?
In effetti non ci ho mai pensato. Forse per l’aspetto celestiale che circonda la figura dell’arpista, un aspetto da cherubino. Ma in realtà la sa una cosa?

Dica…
A suonare l’arpa saranno anche quasi tutte donne, ma si dice che i più grandi arpisti al mondo siano uomini.

Le è mai capitato di non essere soddisfatta al termine di un concerto?
Si, mi è successo spesso. E lo si vede, me lo si legge chiaramente in faccia. Non riesco e, forse, non voglio mascherarlo. Non credo di avere mai raggiunto la perfezione in nessuna esecuzione e sinceramente non credo che ciò sia possibile, almeno in una performance dal vivo. Pensarlo sarebbe utopistico e il fatto di vedere sempre margini di miglioramento è molto importante per un artista.

Si può essere davvero amici tra direttori d’orchestra? Se ci pensa è una sorta di “tutti contro tutti”…
Effettivamente se chiamano a dirigere me non chiamano un altro. Ma a me piace pensare di si, perché ognuno di noi ha caratteristiche diverse, un proprio repertorio. Credo che ci sia spazio per tutti, siamo prodotti complementari. Certo, poi nella realtà questo ragionamento non è proprio facilmente applicabile…

Se la immagina un’orchestra senza il direttore?
Dipende dai repertori, basti pensare che al tempo di Mozart la figura del direttore non esisteva. In alcuni casi potrebbe quindi essere sufficiente la presenza di un primo violino con il compito di dare l’attacco. Al di là delle questioni tecniche, però, credo che siano fondamentali entrambe le cose: se è vero che una buona orchestra può suonare anche senza il direttore, è altrettanto vero che difficilmente potrà raggiungere un’interpretazione univoca e ben definita. Torniamo così a quella comunione delle coscienze di cui le parlavo prima.

Mi tolga una curiosità. E’ vero che venne bocciata all’esame di ammissione al corso di direzione d’orchestra al Conservatorio?
Si, una volta!

E non le è mai venuta la tentazione di andare da quegli insegnanti per dirgli “guardate dove sono arrivata oggi”?
Si, molte volte. Ma sinceramente credo che tramite i social se ne siano già accorti. Ed è sufficiente così.

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