Musica

Destination Rachmaninov: Arrival

29 Ottobre 2019

“Compositore discontinuo, ma di estrema e perversa seduzione”, scrissi di Rachmaninov nella recensione, per il Robinson della “Repubblica”, della precedente incisione che Trifonov dedicava al secondo e quarto concerto per pianoforte, intitolata: Destination Rachmaninov. Departure.

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Siamo giunti all’Arrival: primo e terzo concerto, preceduti, il primo dalla trascrizione pianistica dello stesso Trifonov del primo movimento della cantata Le campane, che Rachmaninov compose su testo di Edgar Allan Poe, il terzo concerto dalla trascrizione, sempre di Trifonov, della 14a delle Canzoni op. 34, intitolata Vocalizzo, ispirata alla poesia The Bells di E.A, Poe, ma che Trifonov rinomina Le campane d’argento della slitta. La poesia di Poe è tra le sue ultime, disperatissima.

“The tintinnabulation that so musically wells

From the bells, bells, bells, bells,

Bells, bells, bells,

From the jingling and the tinkling of the bells”.

Un musicista non può che restare affascinato da una tale accumulazione di di allitterazioni, rime, assonanze e consonanze. L’annuncio della partenza e dell’arrivo.

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Si può essere non grandi ammiratori della musica di Rachmaninov, e io sono tra questi, ma è impossibile negare la sua “russità” e, contro ogni apparenza, anche la sua perfetta impostazione moderna. Di romantico qui non c’è proprio niente. Rachmaninov raccoglie i gesti della retorica romantica e li svuota di senso, li offre come pura intenzione di una significazione che non arriva mai. Non c’è vera melodia, ma un melodizzare senza punti di sostegno, potrebbe sembrare una melodia “infinita”, alla quale accenna lo stesso Trfonov nel booklet, ma è pittosto l’intenzione, invece, di una melodia, e non c’è narrazione armonica, ma macchie armoniche, come pennellate buttate a caso, in realtà calcolatissime. Trifonov, pianista che come Mida fa oro di tutto ciò che tocca, lo prende alla lettera e sfoggia tutta una serie di gesti pianistici che stanno sospesi su un abisso in cui non c’è niente. Mai un abbandono, mai un delibare timbri, o un compiacersi di sfumature inusitate di tocco. Ma solo un repertorio di gesti, appunto.

 

Espressione di una “nostalgia spirituale”, dice Trifonov. Appunto: di un mondo che non c’è più e non può essere restituito. Il termine inglese longing, nel booklet, usato da Trifonov, e tradotto in tedesco con Sehnsucht, è azzeccatissimo: qualcosa di meno sentimentale della parola italiana “nostalgia”, qualcosa di più complesso, di più disperato. Collaboratore perfetto, a capo della Philadelphia Orchestra, Yannick Nézet-Seguin trasferisce nei timbri orchestrali il gesto e il distacco post-romantico del pianoforte. L’avventura spiazzante del Novecento, che è insieme una perdita del porto da cui si è partiti e la mancanza di qualsiasi approdo, sia pure provvisorio, è qui al suo punto d’arrivo, anch’esso provvisorio. Ad altri il compito di demolire poi, definitivamente, gli approdi, e costruire di nuovi, ma ahimè anch’essi provvisori. Come sapeva benissimo un conterraneo sia di Rachmaninov sia di Trifonv: Stravinskij. Tra gli estremi del viaggio, in qualche punto, Trifonov sembra suggerire Šostakovič. Ma senza l’acido corrosivo della sua ironia, contegno intellettuale che Rachmaninov ignora.

Danil Trifonov

Destination Rachmaninov – Arrival

Piano Concertos 1 & 3

The Philadelphia Orchestra – Yannick Nézet-Séguin

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Deutsche Grammophon 4836617

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