
Musica
Cristiano De André e Bresh: “Crêuza de mä” arriva all’Arcimboldi
Dopo il successo sanremese di “Crêuza de mä” Bresh sarà ospite di Cristiano De André il 10 marzo al Teatro Arcimboldi di Milano. I due artisti rieseguiranno la cover di Fabrizio De André.
In questo ultimo Sanremo c’è stata, nella serata del venerdì, una cover che ha decisamente “vinto”. Non parlo della vincitrice della serata, ossia la versione di “Skyfall” di Giorgia e Annalisa (tanto di cappello a due artiste di caratura internazionale e con due voci tra le più belle di sempre, che a Sanremo avrebbero meritato di più nelle loro partecipazioni), ma della versione di “Crêuza de mä” realizzata da Bresh e Cristiano De André.
Il fatto poi che i problemi tecnici abbiano costretto la coppia a eseguire tre volte il brano ha portato la loro versione, decisamente penalizzata in classifica, a diventare protagonista della serata e successivamente del web e dei social.
il pezzo è ormai virale su Tik Tok, e la versione live, uscita su tutte le piattaforme venerdì 21 febbraio, è stato il debutto più alto della settimana su Spotify.
La nascita della collaborazione
La vera notizia, dataci direttamente da Cristiano De André che ringraziamo, è che Bresh sarà suo ospite il 10 marzo al Teatro Arcimboldi di Milano (una delle tante tappe di un tour di grande successo), dove i due artisti rieseguiranno la cover.
Ma come è nata questa collaborazione?
La proposta di Bresh è arrivata non molto prima del Festival, mentre Cristiano si trovava in Thailandia, ma i due si sono conosciuti sul set del documentario La nuova scuola genovese di Claudio Cabona, dove per la prima volta hanno cantato il pezzo che fa parte dell’omonimo disco di Fabrizio De André, uscito nel 1984, con le musiche a cura di Mauro Pagani.
E proprio come riporta Claudio Cabona su Rockol, queste sono le parole di Bresh:
Ho conosciuto Cristiano sul set del documentario “La nuova scuola genovese” ed è nato qualcosa di magico, il pezzo lo abbiamo cantato in quel contesto per la prima volta. Ho lottato per portare questo brano nella serata delle cover. ‘Creuza de mä’ per me è un porto sicuro, sono i sapori, i colori e i suoni della mia terra che si trasformano in canzone ma non è solo questo: Fabrizio De André scelse il genovese come lingua del Mediterraneo, trasmettendo un senso di unione tra popoli e culture. ‘Creuza de mä’ ha un respiro internazionale, travalica i nostri confini e abbraccia il mondo. Un messaggio, soprattutto oggi, potentissimo.
Ne parla così Cristiano De André:
‘Creuza de mä’ è una canzone che ho visto proprio nascere. Ancora oggi può trasmettere il valore dell’andare in controtendenza. Mio padre e Pagani non scimmiottarono nessuno, ma partendo da delle radici, liguri e mediterranee, crearono qualche cosa di nuovo, unico, che appartenesse a loro e a tutti noi. Ricordo quando i discografici vennero in studio ad ascoltare i primi provini. Chiedevano a mio padre se fosse pazzo e ripetevano di continuo, lamentandosi: ‘Non venderemo mai tanti dischi’. E invece fu un successo gigantesco, anche commerciale.
Il testo di Crêuza de mä
Crêuza de mä, e non “de mar” come pronunciato da Carlo Conti, è una locuzione ligure che si può tradurre con “Mulattiera di mare”, un viottolo che collega l’entroterra con il mare.
Qui di seguito il testo della canzone con la relativa traduzione, mentre a questo link si può vedere la storica esibizione di Fabrizio e Cristiano De André nel concerto del 1998 al Teatro Brancaccio di Roma, tappa dell’ultimo tour di Faber.
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
a a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria.
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
int’à cä du Dria che u nu l’è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l’ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun.
E a ‘ste panse veue cose che daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi.
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä.
La traduzione
Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov’è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l’asino c’è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido
usciamo dal mare per asciugare le ossa dall’Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra.
E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell’Andrea che non è marinaio
gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l’ala
ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo.
E a queste pance vuote cosa gli darà
cosa da bere, cosa da mangiare
frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervelle di agnello nello stesso vino
lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole.
E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.
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