Musica
Con il singolo “L’immagine di sé” ONEIROI annuncia il suo primo disco
E’ uscito l’ 11 gennaio “L’immagine di sé”, il primo singolo di Oneiroi, al secolo Francesco Gaetano. Il brano anticipa l’uscita di quello che sarà anche il suo primo album, dal titolo “Mania”. Oneiroi, progetto post rock originale cantato in italiano, presenta al mondo così la sua filosofia e “L’immagine di sé” diventa un piccolo manifesto del suo stile musicale.
“L’immagine di sé” è il tormento che abbiamo allo specchio. Ci ostiniamo alla ricerca di difetti che esistono solo di fronte ai nostri occhi. Oneiroi sceglie un testo poetico in grado di entrare in empatia con un ampio pubblico. Il brano si apre con il suo cantato e una melodia appena accennata. Un inizio soft che esplode nel giro di pochi minuti travolgendo e conducendo l’ascoltatore nei meandri della mente umana. Una poesia post rock psichedelica che affronta i demoni della Dismorfobia. Per il suo esordio, il cantautore ho scelto la preoccupazione ossessiva per i difetti estetici che spesso esistono solo nella mente di chi alla fine ci si perde dentro. Il tempo che scorre, gli istinti addomesticati e i paradossi della società saranno temi ricorrenti nell’album Mania anticipato da questa canzone e il suo commovente video clip.
Oneiroi è rinascita. Dopo un lungo percorso e diverse formazioni, Francesco Gaetano crea Oneiroi. In questo progetto la musica si presta ai testi criptici e poetici, a volte deliranti e tendenti al nonsense. Senza perdere mai la tensione e senza risparmiarsi, ogni passaggio di queste tracce comunica qualcosa. La vera sfida è stata costruire un rock che intorno alla canzone d’autore potesse offrire musica complessa, suonata bene e creare ambienti immersivi in cui disperdersi per una manciata di minuti.
INTERVISTA AD ONEIROI
di Alessandra Savino
Quando e come nasce la tua passione per la musica?
Nasce da una Fender Stratocaster del ’70, da un box in un paesino della Brianza in cui passavamo i pomeriggi dopo la scuola e un’adolescenza di quelle in cui non ti fai mancare niente. Dopodiché si è rafforzata per la necessità di tirare fuori ciò che da introverso facevo fatica a esternare, in poche parole, scrivere canzoni. Ho sempre pensato che avere una band fosse tra le cose più fighe sulla terra.
Cosa racconta la tua musica? Ci sono dei temi che ti appassionano maggiormente?
Quando scrivo parlo delle emozioni più nascoste che scavando riesco a stanare, esorcizzo le paure e sfogo la rabbia. Lo faccio raccontando di momenti, storie, conversazioni, confessioni, nottate che ho vissuto e che rappresentano qualcosa di importante o qualcuno. La ricerca di un sentimento autentico, buono o cattivo che sia, è il filo conduttore che dà un senso logico ai miei testi. Tutto conduce a un esame di coscienza che prima di tutto faccio io e quando trovo risposte si trasformano in un verso, da lì nasce una canzone. Quando finisco di scriverla di solito sono esausto. Non lo faccio per prendermi troppo sul serio, sono solo o fatto così!
Quali sono stati i tuoi maestri/idoli musicali a cui ti ispiri?
A 14 anni rimasi folgorato dai Nirvana, poi arrivò tutto il rock che poteva a incidere i miei gusti. Il mio primo disco (originale) comprato appena pubblicato fu “Post orgasmic chill” degli Skunk Anansie che adoro, poi arrivarono gli Aerosmith e i Pearl Jam, giusto per rispondere a chi mi ha ispirato di più. Nella musica italiana Vasco mi convinse a scrivere testi in italiano, ma le influenze che più riconosco nella mia scrittura sono le liriche di Rino Gaetano, Pino Daniele e Claudio Baglioni. Soprattutto per il lavoro che faccio sui testi di Oneiroi, Baglioni e un faro nella notte, una delle sue opere che considero la più grande impresa della musica leggera italiana, con quel raffinatissimo astrattismo poetico, la sento molto affine. Si chiama “Oltre” se non la conoscete, dovete!
A quale pubblico si rivolge la tua musica?
Io vedo che la felicità non è più autentica dal momento in cui non siamo più contenti delle piccole cose. Apparire e possedere sembrano le uniche importanti, spesso pagate a caro prezzo per poi sentirsi ancora vuoti. Chiunque abbia il fegato di accettare che la felicità sia breve e da cercare dentro, può trovare qualcosa di utile nelle mie canzoni. Io e l’ascoltatore ci facciamo un esame di coscienza e dopo un fase di autodistruzione totale iniziamo a ricostruirci lentamente e con una nuova consapevolezza. I testi si lasciano interpretare senza svelarsi mai completamente e la musica è farcita di psichedelia, tutto questo per permettere a chi ascolta di immergersi e concedersi una sincera autovalutazione.
Quanto sono autobiografici i tuoi brani?
Sono totalmente autobiografici, spesso non parlano di me ma di persone con cui ho condiviso lo stesso sentimento o lo stesso disturbo o dolore e per questo c’è sempre del mio. Quello che fa la mia musica non è costruito, è puramente istintivo. E’ più difficile spiegarlo che suonarlo ma non potrebbe essere altro che autobiografico.
Di cosa parla il tuo ultimo singolo e come è nato?
“L’immagine di sè” è la prima di un piccolo album di 5 tracce. Parla delle ossessioni che abbiamo allo specchio, quando delle semplici particolarità del nostro aspetto diventano difetti nella nostra mente. Parla della paura del tempo che passa, si chiede che persone saremmo se non avessimo conosciuto il nostro volto così presto, sa che la soluzione si trova negli istinti e nei sensi che soffochiamo per nutrire solo, quasi esclusivamente, la vista. Scrivo anche di cosa non mi piace della società e riconosco che alcune storture le abbiamo tutti, in modi diversi e in dosi diverse. E’ nato dal dispiacere di vedere una persona a me cara finire in un baratro emotivo per via di queste manie, una persona bellissima, in tutti i sensi.
Si inserisce in un genere musicale preciso o subisce influenze di vari generi? Se si quali?
E’ rock, da molto tempo mi sono sganciato dalle carovane e ho preso la mia strada, non saprei darvi dei riferimenti. Quando cercavamo similitudini, con la band che ha registrato l’album, faticavamo a trovarle finché non abbiamo smesso diventando ancora più singolari. Io lo chiamo post rock psichedelico, se vogliamo coniare un termine per farci due risate direi “Psy Rock” ma ripeto, giusto per dire: “ma che cazzo sto dicendo?” ah ah ah. Non che non ci siano influenze, anzi, ma è ancora troppo presto per dar loro un’ identità secondo me.
Sogno nel cassetto come artista?
A questa domanda rispondo sempre: “Se stanno nel mio cassetto non stanno bene!” . Quello che vorrei tanto vedere realizzato è un tour in cui possa mostrare cosa ho coltivato in tanti anni e quanto sarebbe bello cantarcelo tutti insieme. Il resto dei sogni nel cassetto sono cose molto semplici e man mano studiando e provando ci sto arrivando. Al momento, fortunatamente, tutti i sogni sono anche obiettivi.
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