Musica
Compie 70 anni l’Inno nazionale di Romagna
In una terra di gustosi campanili in cui ci si divide quasi su tutto, persino sui cappelletti – tra zone in cui si va fieri per il ripieno solo al formaggio come nel Ravennate e nel Cesenate e in cui è rigorosamente di carne e formaggio come nel Riminese – e sulla piadina, sottile sottile a Rimini e dintorni e spessa, spessissima, in tutte le altre province, c’è una cosa che unisce, indistintamente, tutti i romagnoli di ogni dove. Quell’inno nazionale che è divenuto, ormai ‘Romagna mia’ e che, in questo 2024 appena nato, compie 70 anni. Non c’è ragazzetto – malgrado il brano dati 1954 – che non ne conosca aria e parole. E che non la canti, quando serve: per festeggiare nei momenti allegri e per orgoglio in quelli più cupi come nei giorni tristi dell’alluvione dello scorso maggio. Tra le canzoni italiane più note e suonate al mondo, capace di vendere oltre 4 milioni di copie à divenuta une vero e proprio tratto identitario di un intero territorio che ne celebra, di anno in anno, il successo. E dire che l”inno nazionale’ romagnolo è salito alla ribalta quasi per caso. Era il 1954 quando Secondo Casadei da Sant’Angelo di Gatteo, nel Cesenate, fondatore
della rinomata ‘Orchestra Casadei’ e zio di quel Raoul che diventerà l’indiscusso ‘Re del Liscio’ portando avanti la tradizione di famiglia, si trovava a Milano per una delle due incisioni annuali presso La Voce del Padrone e Columbia. Costretto a fare una sostituzione nei brani, Casadei – che ne ha sempre due o tre di riserva – tira fuori un valzer che tiene da qualche tempo nel cassetto per ogni evenienza: ‘Casetta mia’. Che, su consiglio del direttore artistico della casa discografica, Dino Olivieri, diventa ‘Romagna mia’, conoscendo l’amore del musicista di Gatteo per la sua terra. La canzone incontra subito l’apprezzamento del pubblico. Suonata alla radio, dal vivo o in un juke box non c’è turista italiano o straniero che, soggiornando sulla riviera romagnola, manchi di acquistare il disco e metterlo in valigia. Il brano di Casadei, portato al successo nazionale e planetario dal nipote Raoul è stato poi inciso da tanti cantanti, tra cui Claudio Villa, Narciso Parigi, Nilla Pizzi, Orietta Berti, Rosanna Fratello, Giorgio Consolini e da vari complessi. Tradotto in russo, giapponese e argentino ed in seguito in tutte le lingue del mondo. Anche Francesco Guccini, Gigi Proietti, Fiorello, Iva Zanicchi, Spagna, Jovanotti e i Nomadi l’hanno cantato nei loro concerti, Luciano Pavarotti lo cantava con gli amici durante le cene e Papa Giovanni Paolo II, che aveva una grande simpatia per questa canzone si univa al coro dei gruppi romagnoli alle udienze in San Pietro, ma come aveva dichiarato in alcune sue interviste sui giornali, la ‘canticchiava’ anche da solo nei momenti meno impegnativi e
spesso modificava il testo cantando ‘Polonia mia’. Nel 1998 la star della disco-music Gloria Gaynor l’ha reinterpretata da par suo incidendola insieme all’Orchestra di Raoul Casadei. Nel 2012 ‘Romagna mia’ è stata cantata al Festival di Sanremo da Samuele Bersani con Goran Bregovic, in una versione gitana; nel 2013 è stata proposta al prestigioso ‘Ravenna Festival’ con un arrangiamento sinfonico eseguito dall’Orchestra Giovanile ‘Luigi Cherubini’ del Maestro Riccardo Muti. Lo scorso giugno aprendo a Rimini con la data ‘zero’, il suo ultimo tour anche Vasco Rossi l’ha cantata dal palco ricordando gli ‘Angeli del fango’ o ‘I burdel de paciug’ che hanno spalato per giorni la fanghiglia sulle strade di tante cittadine romagnole colpite dall’alluvione intonando il motivo di Casadei. Un classico del repertorio folk e di quel Liscio o ‘Lissio’ come dialetto vuole che ora, da un’idea del cantautore ‘Morgan’, si cerca di innalzare a patrimonio dell’Unesco con l’appoggio e il beneplacito della Regione. “La candidatura del Liscio alla Lista Unesco del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanita’ sta già dando i suoi frutti – osservava alla presentazione dell’iniziativa ‘Vai Liscio’ lo scorso ottobre l’assessore regionale emiliano-romagnolo alla Cultura, Mauro Felicori – con festival e concerti in tutta la regione: si guarda con più attenzione alle orchestre storiche da ballo, nascono nuovi gruppi di musicisti giovani, si sperimentano inediti incroci con musicisti di altri generi”. Inoltre, argomentava Felicori, “abbiamo fiducia che la candidatura del Liscio affiancherà e porterà bene alla sfida lanciata da Rimini per essere nominata Capitale italiana della cultura 2026, con un progetto in cui il Popolare si fonde con la cultura cosiddetta Alta e che unisce la città dei Malatesta con tutti i comuni alluvionati della Romagna, con lo spirito – concludeva l’assessore – di chi cerca una riscossa proprio a partire dalla promozione culturale”.
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