Musica

Cinque dischi jazz per la fine dell’estate

4 Settembre 2015

Se la frase “l’estate sta finendo” vi evoca immediatamente i Righeira, tutto è sotto controllo.

 

Se la stessa frase vi getta nella più profonda malinconia, è anche questo, tutto sommato, fisiologico.

 

L’estate e il jazz alla fine si amano e si odiano, tra la sbornia di festival e concerti in ogni piazza e magari il desiderio di un approccio più superficiale e danzereccio ai suoni della stagione.

 

Così, quando settembre (il lunedì dei mesi, come è stato definito) inizia e la calura si allontana, c’è magari il tempo di riprendere gli ascolti con più tranquillità.

 

Noi ci siamo incuriositi a Cécile McLorin Salvant, cantante che negli ultimi anni sembra essere particolarmente amata da critica e pubblico. Il suo nuovo disco, «For One To Love» (Mack Avenue, distr. Egea) la vede in un assetto classico, accompagnata da un trio composto da pianoforte (Aaron Diehl), contrabbasso (Paul Sikivie) e batteria (Lawrence Leathers).

 

Alcuni temi originali si alternano a canzoni di Burt Bacharach (una Wives and Lovers riletta con ironia), o tratte dal repertorio di Bessie Smith o di Blanche Calloway (Growling Dan, affrontata con mirabile mimetismo vocale).

 

 

E’ brava Cécile McLorin Salvant. Molto. Non c’è dubbio. Il suo approccio, che è certamente fresco, tecnicamente notevole e anche piuttosto profondo storicamente, ma sostanzialmente conservatore e del tutto privo di qualsiasi guizzo innovativo, non  induce a eccessivi entusiasmi, ma il disco si fa ascoltare con grande piacevolezza e con quel pizzico di nostalgia che è tipico del periodo.

 

 

È tipica del periodo anche la ritrovata introspezione e un disco adatto è certamente «In The Morning – The Music of Alec Wilder» (ECM, distr. Ducale) del trio del pianista Stefano Battaglia. Con lui ci sono gli ormai fidati Salvatore Maiore al contrabbasso e Roberto Dani alla batteria, musicisti di grande sensibilità coloristica.

 

«In The Morning – The Music of Alec Wilder»

 

Si tratta della registrazione del concerto al Festival di Torino nel 2014, un programma, come dice il titolo, dedicato alle composizioni di Wilder, autore non solo di alcune canzoni che sono entrate nel repertorio del jazz come Moon and Sand o While We’re Young, ma anche di interessanti lavori di musica da camera cui Battaglia ha fatto riferimento per evocare la capacità, tutta americana, del compositore, di muoversi tra terreni differenti.

 

Il pianista è denso e rapsodico, non fa mistero della forte ispirazione jarrettiana del suo gesto esecutivo e improvvisativo, che è spesso ipnotico e danzante e in grado di costruire un racconto in grado di coinvolgere liricamente. Molto ECM, non c’è che dire.

 

 

Decisamente altro tipo di pianismo quello della svizzera Irène Schweizer, veterana della scena improvvisativa europea che ha trovato in questa fase matura della propria carriera una bella sintesi tra le intemperanze dell’avanguardia, le suggestioni ritmiche che i jazzisti sudafricani portarono nel Vecchio Continente negli anni Sessanta e un più appagato rapporto con la tradizione.

 

Da sempre attratta dalla formula del duo con la batteria (che ha praticato con colleghi come Louis Moholo, Andrew Cyrille, Pierre Favre e altri), la Schweizer torna a duettare con il fantastico batterista olandese Han Bennink nel disco «Welcome Back» (Intakt Records).

 

«Welcome Back» (Intakt Records)

 

Energia da vendere per due ultrasettantenni, che sembrano divertirsi un mondo a dialogare, swingare, ostinarsi su accordi e ritmi, giocare con temi di Monk o di Johnny Dyani, rinnovare un legame che è quello tra due grandi improvvisatori, tra la tradizione e l’innovazione, tra il gesto esecutivo e la necessità della fantasia. Bentornati.

 

 

Quante donne in queste scelte settembrine! Me ne accorgo mentre scrivo, quindi non è una cosa studiata, ma è certamente benvenuta. La prossima è Nicole Willis & The Soul Investigators che pubblica in queste settimane «Happiness in Every Style» (Timmion, distr. Goodfellas).

 

Il jazz è solo un elemento (forse nemmeno il preponderante) del linguaggio della Willis, che fonde, alla testa di un nutrito gruppo di musicisti finlandesi tra cui il marito Jimi Tenor, soul e R&B, corposi blocchi di fiati e un incessante senso del groove.

 

 

Come nel caso della McLorin Salvant, anche qui una certa nostalgia la fa da padrona, ma la classe vocale della Willis e il piglio danzereccio fanno sì che una volta messo su il disco, sia difficile toglierlo dal lettore. Scampoli d’estate e sensualità da primo autunno…

 

 

Chiudiamo la cinquina con una bella novità di jazz italiano: il nuovo disco dei Travelers, quartetto italo francese guidato dal contrabbassista Matteo Bortone e completato dal chitarrista Francesco Diodati (recentemente entrato nel nuovo gruppo di Enrico Rava), il sassofonista e clarinettista Antonin-Tri Hoang e dal batterista Ariel Tessier.

 

Quella di «Time Images» (Auand, distr. jazzos.com) è musica che guarda ai rapporti tra jazz contemporaneo e rock, tra acustico e elettrico, tra composizione e improvvisazione, tutte aree in cui i jazzisti giovani stanno cercando di plasmare un proprio linguaggio.

 

 

Quello del quartetto di Bortone è convincente e fresco, grazie alla capacità di tutti i musicisti di dare peso alla propria pratica strumentale attraverso una stretta dialettica con gli altri (sembra scontato, non lo è) e una sempre equilibrata musicalità. Da provare.

E ora potete tornare ai Righeira!

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