Musica

CINQUE DISCHI JAZZ PER I GIORNI DELLA MERLA

30 Gennaio 2015

Tradizione vuole che la fine di gennaio sia considerata il periodo più freddo dell’anno, denominato dalle leggende di differenti regioni italiane, “i giorni della merla”.

Ecco quindi cinque dischi jazz (appena usciti o appena ristampati) per riscaldare il cuore e le mani in queste giornate, una sorta di caminetto sonoro  al cui fuoco illuminare le ombre di un inverno giunto al suo cuore più profondo.

 

Buddy De Franco – Wholly Cats / I Hear Benny Goodman & Artie Shaw (Phono Records/Egea)

 

Prima segnalazione per due belle ristampe dedicate al clarinetto di Buddy De Franco, elegante specialista dello strumento, spentosi la scorsa vigilia di Natale a 91 anni.

 

Si tratta di 3 cd che raccolgono una serie di sedute registrate tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1957, dedicate al repertorio di “colleghi” illustri quali Artie Shaw e Benny Goodman.

 

 

Con ottimi compagni di avventura come i trombettisti Don Fagerquist e Ray Linn, il chitarrista Barney Kessel  o il vibrafonista Victor Feldman, l’eloquio fantasioso di De Franco accarezza temi conosciuti e altri da riscoprire, con un pizzico di nostalgia retrò.

 

Mattia Cigalini & Enrico Zanisi / Right Now (CamJazz)

 

Si incontrano due dei più talentuosi giovani del jazz italiano, il sassofonista Mattia Cigalini e il pianista Enrico Zanisi. La coppia ha qualità da vendere e una maturità quasi sospetta per  avere più di cinquant’anni in due.

 

Prevale un clima melodico arioso che si appoggia a volte a trame rarefatte (come Too Buth), altre volte a quadri che si aprono uno dentro l’altro (Elisir), disegnando un percorso musicale di grande attenzione espressiva. Chi si aspetta qualche intemperanza giovanile rimarrà probabilmente deluso ma non infastidito. C’è il calore giusto, la voglia di osare qualcosa di più verrà (forse) col tempo.

 

Daniele Cavallanti & The Milano Contemporary Art Ensemble / Sounds Of Hope (Rudi Records)

 

Si sarebbe tentati di fare un discorso ala rovescia per Daniele Cavallanti e i suoi compagni di avventura in questa bella orchestra . Attivo dagli anni Settanta, il sassofonista milanese è un irriducibile della visione “creativa” dell’universo afroamericano e continua a condividerla con vecchi e nuovi colleghi, come in questo disco.

 

Oltre ai brani originali, ci sono la rilettura di Chief Crazy Horse di Wayne Shorter e la ripresa di due classici “sudafricani” di Mongezi Feza, sempre più gettonati: le meravigliose You Ain’t Gonna Know Me…  e Sonia.

 

 

Si sarebbe tentati di fare un discorso speculare rispetto a Cigalini e Zanisi dicevo, anche se non si può non registrare che anche l’afflato collettivo post-coltraniano di Cavallanti e soci (qui oltre all’immancabile Tiziano Tononi citiamo Riccardo Luppi, Paolo Botti, Beppe Caruso e interessanti innesti di generazioni successive) è qualcosa di ormai saldamente codificato e metabolizzato dagli ascoltatori.

 

Resta un disco pieno di colori e di cuore. Il caminetto è invaso da fiamme altissime!

 

Christine Jensen Jazz Orchestra / Habitat (Justin Time/Ird)

 

Sempre in tema di big-band, mi piace segnalare un disco uscito da qualche mese, ma molto intenso, con l’orchestra capitanata dalla canadese Christine Jensen.

 

In Italia siamo così poco abituati a sentire dal vivo grandi orchestre di jazz (per evidenti motivi economici in primis, ma si sa che con il cachet di qualche grande nome di casa nostra si potrebbero portare sul palco almeno un paio di buone orchestre…) che la pastosità del suono collettivo è sempre qualcosa che intriga e colpisce l’ascoltatore.

 

 

Nel solco del lavoro della bravissima Maria Schneider (con cui la Jensen, che è anche sassofonista, ha suonato), impreziosito dai lucidi interventi solisti di nomi magari poco noti qui, come Joel Miller (sax tenore) o Richard Irwin (batteria).  Da scoprire.

 

Anouar Brahem / Souvenance (Ecm/Ducale)

 

Chiudiamo il nostro mazzetto di dischi per scaldare cuore e mani in questi giorni con Anouar Brahem, apprezzato specialista di oud. Doppio disco, con Franҫois Couturier al piano, Klaus Gesing al clarinetto basso e Björn Meyer al contrabbasso, con l’aggiunta degli archi dell’Orchestra della Svizzera Italiana diretti da Pietro Mianiti.

 

Una musica dai tratti ipnotici e suadenti, come è nella cifra del musicista tunisino, una sorta di esotismo dell’attesa e della malinconia, che magari contrasta parecchio con i fiocchi di neve che potreste vedere dalla finestra o le raffiche di vento.

 

 

Dal forte impatto cinematografico, la musica di Brahem evoca storie e stati d’animo che sembrano baluginare come riflessi nella memoria. Se si entra nel gioco, la cosa funziona.

 

Buoni giorni della merla a tutti!

 

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