Musica
Ci vediamo, Eddie!
E se ne è andato anche Eddie Van Halen.
Che lo vogliate o no, uno dopo l’altro se ne vanno tutti. È il segno che i tempi cambiano, che i suoni cambiano, che il rock cambia e con esso si dileguano gli eroi che conoscevamo come tali e come tali vezzeggiavamo e imitavamo alla stregua di divinità omeriche di altri mondi e cosmogonie.
Ci ricorderemo degli anni ’80 anche grazie ai Van Halen, a quella sfrontatezza dirompente di cui si erano macchiati con la loro esuberante posa scenica e quel sorriso che rompeva gli schermi impossessandosi delle comuni esistenze di giovani brufolosi attratti dal loro essere eroi.
Eddie Van Halen era un dio della chitarra. Lo si può benissimo collocare assieme a Page, Hendrix, Beck, Clapton, ciascuno figlio della propria era e ciascuno portatore dei vessilli della propria sensibilità e del proprio background culturale e sociale.
In un panorama estremamente pop, i Van Halen hanno saputo edulcorare la pillola dell’edonismo reaganiano proponendo libertà senza confini a giovani di tutto il mondo. Questo si è verificato grazie ad un leader sfrontato e inarrestabile come David Lee Roth e con i riff, le scale, i Tapping esagerati di Eddie alla chitarra e un reparto ritmico rilevante.
Sulla copertina del loro primo disco, i Van Halen si presentavano come figure inarrivabili del rock, poetici nelle loro pose dissacranti e piene di energia, aprivano la loro carriera discografica con un brano come Runnin’ with the Devil e proseguivano con una cavalcata elettrica come Eruption, in cui Eddie esprimeva tutto quello che poteva esprimere da un punto di vista creativo, forte della sfacciataggine di un giovane che stava registrando uno dei dischi più importanti dell’hard rock statunitense e non solo. È dal primo disco che conosciamo Eddie van Halen come il Guitar God che sarebbe stato. È abile, eccentrico, un virtuoso, ma privo di velleità che lo portano a distanziarsi dal resto del gruppo.
Dal suo debutto, del 1978, la band pubblica quasi un disco ogni anno e trova, molto probabilmente il suo apice in 1984, album di grande successo commerciale che contiene pezzi come Jump, Panama, Hot for Teacher, segnando la fine della prima fase, quella con David Lee Roth alla voce che ha contraddistinto la prima metà degli anni ’80.
Tutti i Van Halen hanno continuato a fare musica, con alti e bassi, perseguendo la propria strada, allontanandosi e poi riunendosi, come accade nelle famiglie di una volta.
Non c’era nulla da nascondere, tutti sapevano che Eddie era un cavallo di razza, aveva inventato un suono, estremizzando le tecniche canoniche della chitarra, girando al limite le manopole di pedaliere di metallo, era uno dei più grandi. Di tutti i tempi.
Di recente però Eddie si era ammalato. E di recente intendiamo negli ultimi 10 anni. Non aveva fatto mistero della sua diagnosi, un cancro che lo aveva portato a viaggiare spesso tra America e Germania alla ricerca di cure che potessero salvarlo. Certo, la sua vita è stata davvero vissuta al limite e Eddie non si rassegnava al fatto che un tumore potesse far spegnere la sua luce. Invece, anno dopo anno, quel male si è impossessato di lui, colpendolo in più parti, sino a farlo desistere.
Oggi, come accade ogni volta che qualcuno di importante se ne va, rimaniamo un po’ più soli. Ma sappiamo anche che la musica di Eddie non avrà mai una data di scadenza o non potrà mai essere scalfita da alcuna malattia. Torniamo con la mente al 7 febbraio 1978, quando uscì il primo disco della band, mettiamo la seconda traccia e premiamo play. Le note di Eruption non hanno bisogno di descrizione. Sono 1:42 in cui è racchiuso il suono di una generazione, nella diteggiatura di un eroe che travalicherà i tempi.
Buon viaggio Eddie.
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