Musica

CHI È DAVVERO LORENZO JOVANOTTI?

18 Aprile 2015

Per alcuni è un profeta o un illuminato, per altri fa parte del lato oscuro della musica italiana. Il suo nome è Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Video Art Direction: Toni Thorimbert – Art Direction: Marco Rosella. Intervista di Nur Al Habash ed Emilio Perfiferico.

Jovanotti è per definizione un personaggio positivo, sempre pieno di energia: in trent’anni di carriera non abbiamo mai visto il Jovanotti preso male. Immaginiamo ti accada, però. Perché scegli di non far mai trasparire questo lato?

Scompaio, come i gatti e come i cani. Non mi piace mostrarmi nei momenti down, scompaio dagli amici, mi chiudo un po’. L’ho sempre fatto, fin da bambino. Io sono un esperto dell’arte della fuga, sono uno che sa abbastanza defilarsi nel momento in cui sente di non poter aggiungere niente, di mettere inquietudine. Poi ho degli sparring partner nella vita che sono come dei punchball, per cui c’è della gente che agisce da cuscinetto. A volte capita anche nel mio lavoro che prenda di mira qualcuno. Perché lì è una questione di feeling: esiste un feeling per fare l’amore, ma deve esistere un feeling anche per litigare. Secondo me ci vogliono le persone giuste, è un grande sfogo. Per questo certi miei stati di nervosismo li indirizzo quasi sempre verso le stesse persone, salvando le altre. Non ti sto dicendo una roba molto bella, però è così che va.

Poi a un certo punto quando diventi un cantante, quando diventi Jovanotti, te lo lasciano anche un po’ più fare. Perché comunque anche questo fa parte dell’onda che magari può generare dei momenti creativi. I momenti creativi prendono vita nel silenzio, si nutrono di solitudine, anche di senso di scoraggiamento. Tutte quelle cose lì, nell’esperienza di tanti anni, cominci a capire che sono quasi un riflesso condizionato. Sai che ai grandi picchi seguiranno dei momenti in cui dici ma basta, smetto.

In quali momenti nella tua carriera hai pensato di smettere, di non avere più niente da dire?

Sono passaggi che non si presentano mai in un momento prevedibile. Penso che siano quasi delle “rincorse” necessarie, ma comunque viverli da dentro, per quanto uno possa per esperienza sapere che passeranno, è sempre scuro. Non ho mai pensato di avere molto da dire e nemmeno ho mai pensato di avere cose importanti o fondamentali da dire, la mia è sempre stata (e continua ad essere) un’esigenza che sento io. Non credo che gli altri abbiano “bisogno” della mia musica, al massimo ne traggono piacere o emozione. Ne ho bisogno io però, perché nella mia musica trovo un equilibrio che altrimenti non avrei.

Nei tuoi pezzi ci sono sempre dei piccoli messaggi subliminali, delle frasi che aprono varchi su mondi completamente diversi rispetto a quelli che si è abituati ad associare a te: il passato, la malinconia, la paura…

Io spero quasi che se ne accorgano in pochi. Il disco nuovo si chiude con un verso che forse è uno dei più scuri che abbia mai scritto: “non è vero che si cambia, si peggiora casomai, si induriscono le arterie e si sciolgono i ghiacciai”. L’ho scritta questa roba, di fronte a queste cose che scrivo mi rendo conto che le ho scritte, sono lì, e lì devono rimanere. Un po’ come quando nel 1994 scrissi quella frase incriminata “credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa…” Quella frase io l’avevo scritta, mi piaceva e l’ho scritta. Poi ero il primo a non essere d’accordo, o meglio a trovare il tutto inquietante e discutibile, ma proprio quella era la sua forza. Quella frase è uscita e mi rappresenta, rappresenta il momento in cui l’ho scritta. Il fatto è che registra una verità, che può essere anche sbagliata. Le verità non sono mica giuste, sono verità. E quindi la lasciai. Mi dicevano “ti romperanno il cazzo per San Patrignano” e io dicevo “ma sì ma è una rima! Sennò Vaticano con che la faccio rimare?

E così anche ghiacciai fa rima con casomai e se quella è la parola che mi è venuta (potevo mettere anche un passato remoto alla prima persona), va bene così. Poi è una bella immagine da mettere in un pezzo, è un po’ apocalittica. Nella musica è importante accettare le proprie contraddizioni, le proprie controversie interiori. Io non ci riesco ad essere così controverso come certi artisti, tipo Eminem, che riesce a dire nelle canzoni delle cose molto forti… probabilmente sono cose che lui ha vissuto e io no, sennò magari ci riuscirei anch’io.

Questo quindi fa parte di una serie di aspetti che non vengono percepiti subito dall’ascoltatore, magari perché sei il primo a non volere che siano così manifesti.

No, tanto lo sono. Cioè, passano in qualche in modo. Poi io ho una specie di fiducia rispetto all’arte della canzone. Ovvero penso che il microfono becchi sempre, becchi tutto. Il microfono registra una verità. Per questo ci sono cantanti che hanno successo e cantanti che non hanno successo. Perché il microfono registra una verità, e la verità non è saper cantare, la verità è chi sei. La verità di chi sei, la verità dell’essere umano. E spesso il canto è un modo per camuffarla, questa cosa qua. Però più riesci a togliere questa maschera e a presentarti per quello che sei, e più secondo me riesci a comunicare col pubblico. Una cosa che poi coincide con degli effetti enormi di popolarità, di affetto per le canzoni. Perché evidentemente è passato qualcosa che fa pensare all’ascoltatore “ok, lui sta provando una cosa che provo anch’io, per questo mi piace questa canzone, perché io quella sensazione la conosco e lui me l’hai resa, gli ha dato forma”.

Poi noi non ci occupiamo di contenuti, noi ci occupiamo di forma. Gli artisti fanno le cose, il contenuto è un fantasma, noi diamo forma alle cose. Fare una canzone è costruire una forma. Diciamo che la dialettica tra forma e contenuto non sta né in cielo né in terra, perché la forma è sempre il contenuto. Non esiste un contenuto buono in una forma sbagliata. Esiste solo la forma.

Parlando di contenuti, ne “Il mondo è tuo” canti «paura di non farcela, paura di deludere, ma dimmi solo una parola e io mi sento esplodere». Chi hai paura di deludere?

Il me stesso bambino, quello che ha investito tutto sul tavolo dell’esistenza senza aspettarsi mai nulla dagli altri ma credendo in modo ossessivo e un po’ colpevole di doversi conquistare ogni spazio, ogni sguardo, ogni sorriso e ogni occasione e anche ogni disgrazia. È sempre con noi stessi che ci giochiamo la vita. La vita va vissuta, è tutto qui. Non sono un buddhista, per me il desiderio è una forza positiva, e il desiderio mette in atto processi pericolosi, ma è nel pericolo che ci si diverte davvero.

Parli di verità, del pubblico che si ritrova nei testi delle tue canzoni, di buddhismo. Tra due anni compirai 50 anni, non hai paura che andando avanti con gli anni, e magari avendo meno energie da spendere sul palco, quello che rimanga di te sia solo un messaggio da guru?

No. Perché non è così, rimarranno solo le canzoni. Forse, qualcuna. No, devo dire che purtroppo non c’è un’altra parola per dirlo… la parola energia è una parola che io uso spesso, ma non ne ho un’altra. Quella c’è. E quindi magari qualcuno gli dà un significato religioso a questa roba qua, quasi un po’ panteista, quasi un po’ new age, no? Ma io odio la new age, è la cosa che odio di più al mondo. L’idea olistica che ci vende (che poi è un mercato, chiaramente) mi lascia totalmente freddo, la trovo stupida.

Ti affidi a un tipo di spiritualità più concreta?

Non mi affido a niente, non so a cosa affidarmi. Mi affido al padre eterno. Se devo scegliere, preferisco una religione, preferisco andare alla messa che andare a saltellare con gli incensi, preferisco confessarmi da un parroco, invece che da uno che mi vende delle tisane. Questo se devo scegliere. Poi a me vanno bene anche le tisane, le bevo anche, fan digerire (ride, NdR). È chiaro che poi la gente ti proietta addosso delle cose.

Però tu incarni proprio quel genere di cose lì. Ne sei consapevole?

Sì ma succede un po’ con tutti i cantanti, anche con Renato Zero in qualche modo, anche con Vasco Rossi. I cantanti generano delle proiezioni, gli si proiettano addosso delle cose, a me m’è toccata questa anche perché un po’ me la son fatta toccare. Perché ho questo difetto, che a me interessa tutto. A volte affermo anche in maniera oltraggiosa che a me mi piace tutto, perché poi in effetti è così, ho scritto anche un libro che si chiama “Viva tutto”. Per cui affermo la necessità di tutto, tutto serve, tutto fa. Mi piace l’arte buona come quella cattiva. Mi piace il cibo buono, ma ogni tanto anche quello cattivo.

Ti piace aggiungere sempre, quasi mai togliere. Con quanto caos sei in grado di fare i conti? Con quanta abbondanza sei in grado di lavorare, senza perderti?

Con tutta quella che mi serve per perdermi. Perdermi è esattamente quello che cerco, uscire dalla “comfort zone”. Avere due pensieri opposti contemporaneamente, anche tre o quattro, è ciò che mi interessa. Le mie opinioni non sono un valore a cui tengo, lo spirito è più importante e il caos lo mette alla prova in continuazione.

Hai detto che John Lennon all’apice della sua carriera si è fatto fotografare nudo per affermare la propria invincibilità. Invece sulla copertina di “Lorenzo 2015 CC” ti sei fatto fotografare con una sorta di armatura, come a dire che hai bisogno di protezione. Di cosa hai paura?

Non mi fan paura cose della mia carriera, mi fan paura le solite cose. Ammalarmi, per esempio. Quest’estate m’è venuta una polmonite, all’inizio non sapevo cos’era ed ero molto preoccupato. C’erano tutti i valori del sangue sballati e pensavo di aver qualcosa di tremendo, pensavo di morire. Quella cosa lì mi fa paura, non so come potrei reagire alle malattie. Ho una bimba, una moglie.

Non è proprio una bimba, eh

No però per me è una bimba sempre, anche a 90 anni sarà bimba.

Ma lei per esempio non si lamenta del fatto che tu faccia troppo il giovane? Insomma hai quasi 50 anni e il tuo aspetto è sempre molto giovanile, hai tempestato il retro della copertina del disco con le emoticons di Whatsapp.

Ma le emoticon le usa anche mia zia! Anzi secondo me quelle robe beccano prima di tutto quelli più grandi, la tecnologia è proprio una cosa assurda… a mio padre con Facebook gli è svoltata l’esistenza

Perché, cosa fa?

Perché sta lì su Facebook con i cugini, con i nipoti. Ha tre pagine, tre profili, ne ha uno anche per i miei fan. Sai ha 80 anni, per cui si diverte con queste cose, a parlare con gli altri. È un modo di passare un po’ di tempo, come al bar. Alla fine Facebook è un grande bar, no?

Tornando al discorso della paura, cosa ti fa paura?

La parola paura non va bene, perché la paura un po’ mi attrae, mi piace. Mi piace il motocross, mi piacciono le moto, mi piace il rischio, tutti gli sport che in qualche modo ti mettono in pericolo. In qualche modo la paura è anche bella. Quello di cui stiamo parlando invece è l’impotenza, è quello, è il senso di non poter fare nulla, di fronte alla malattia di un altro, di fronte a un dolore, e anche di fronte alle cose che non puoi controllare. Per esempio io non mi sono mai drogato nella mia vita, perché quella cosa mi fa paura: la perdita di controllo. È per quello che forse poi la gente ha proiettato in me quel tipo di figura new age di cui parlavamo prima, perché io ho sempre dichiarato che non mi sono mai drogato, non fumo, bevo anche un bicchiere di vino, ma non sono uno che si stordisce.

Sei un razionale, vuoi rimanere attaccato alla realtà.

Sì, perché nella realtà io trovo elementi fantasiosi, mi piace la realtà. A me sembra sempre di essere dentro qualcosa di fantastico, c’è sempre un po’ di psichedelia, è come se le cose avessero sempre tanti aspetti. Chi si fa dei viaggi con gli acidi ti dice che questo televisore a un certo punto si muove, e diventa un cane che ti parla. E a me mi fa un po’ così, da sobrio.

Torniamo un attimo su tua figlia Teresa, l’hai presentata al mondo dopo tantissimi anni tramite una foto su Instagram.

Sì, è stato un po’ come un ballo delle debuttanti

Com’è essere figli di Jovanotti? Oppure chissà com’è essere il fidanzato di una bimba così e andare a cena a Natale e trovarsi Jovanotti di fronte

Ma dovreste chiederlo a lei, io non vi so dire! Ma non lo farebbe mai, la Teresa è una ragazza un po’ fatta così… poi è lei che ora mi insegna un sacco di robe tecnologiche, di applicazioni.

C’è qualcosa del suo universo culturale e tecnologico che tu non capisci?

Tantissima roba, ma soprattutto gli youtuber, quelli non li capisco. Cioè non è che non li capisco, è che sono proprio vecchio. Quando vedo Favij o Matano mi sento proprio anziano, lei invece impazzisce, le piace un sacco. Magari non questi due in particolare, però segue molto gli youtuber, sono il suo mondo di riferimento. Come per tutti i suoi coetanei, immagino. Mi rivedo negli youtuber, quando avevo quell’età lì facevo DeeJay Television, Radio Deejay. Ovviamente adesso non mi interessa più fare quelle cose, però ecco lì sento che c’è stato lo scatto generazionale, perché il loro linguaggio è diverso dal mio, parlano di cose diverse, presentano la loro vita in un altro modo, hanno dimestichezza con il mezzo… io la prima volta che mi si è accesa una telecamera davanti mi sentivo come quando a mia nonna hanno acceso la televisione, capisci? Invece oggi i nostri figli crescono con dei tempi narrativi pazzeschi, con una dimestichezza di fronte ai media pazzesca – li vedi già dentro i talent show, questi ragazzetti che sono già super scafati… e il mondo da quel punto di vista è cambiato, io sono di un’altra generazione. Poi con Teresa abbiamo anche un universo culturale in comune abbastanza grande. Tutti i cartoni animati (che comunque piacciono anche a me), specialmente tutti i giapponesi, la letteratura…

Le passi i libri?

Sì le passo i libri, i film, ci vediamo tanti film insieme. A lei piace vedere film, quindi le faccio vedere quelli che secondo me le potrebbero piacere, sia i grandi film sia le cazzate, tutto “Rocky” per esempio. Non si può non aver visto tutto “Rocky”, ma anche quelli brutti, anche il 3, anche il 4 (ride, NdR).

Come dicevamo poco fa, ti avvicini ai 50 anni. Ricordiamo un’intervista vecchissima di Ligabue in cui diceva che cominciava a preoccuparsi già da giovane per la sua carriera, perché non ci si vedeva a 50 anni a cantare “Balliamo sul mondo”. Ti poni mai questo problema? Tra 10 o 15 anni ti ci vedi a saltare in mezzo uno stadio, a cantare “ragazzo fortunato” a 60 anni?

Ma forse sì, non lo so. Forse sì. Boh! Non lo so. Me lo domando, però so anche che ormai il rocker anziano è una realtà, 20 anni fa non lo era. Oggi è una realtà perché sono tutti anziani, sono loro quelli che durano. Se tu vedi la classifica è così: i gruppi vengono su, fanno un disco e vanno via, perché c’è tanta pressione e esplodono facilmente. Per cui chi è che rimane nel tempo? Di solito sono tutti quelli più anziani, oppure altri… per esempio son sicuro che una come Lady Gaga rimarrà, perché è brava. Ora sta facendo robe con Tony Bennett, fa il jazz, poi fa un film, poi un disco solamente con il pianoforte… non sarà più la Lady Gaga che ti deve stupire a tutti i costi, però in quei casi il talento fa la differenza.

Quindi ti ci vedi a fare i video in salotto con la webcam come Vasco Rossi?

Sì penso di sì, non c’è niente di sbagliato in quello, anche perché il mio pubblico cresce con me – anche se negli ultimi dieci anni ho guadagnato un sacco di pubblico nuovo e ai miei concerti ho visto un sacco di facce giovani, quindi non ho un pubblico generazionale. Insomma non ho una generazione di persone, ne ho tre. C’è gente di 16 anni ai miei concerti, “Sabato” è un pezzo che ha spaccato tra i ragazzini. Pensa a certi dj, ce ne sono certi che a 60 anni sono ancora in giro. Guetta ha la mia età e anche i Daft Punk, Pharrell non è più un pischello, anche se fa finta di esserlo. È la ricerca artistica. Quello che io vorrei continuare a fare è parlare ai ragazzi. È una cosa che fa un po’ la differenza. Quando vado a un concerto e vedo un pubblico o di soli bambini o di soli anziani, c’è qualcosa che non va. Mi piace invece questa cosa della musica popolare, che piace a tutti. È una sfida. Questa non è una risposta, nel senso che non so se sarà così. Però ci spero. Anzi non solo ci spero, ci lavoro anche.

Hai scritto canzoni d’amore bellissime, e immaginiamo tu sia consapevole del fatto che per molte donne, ragazze (e anche sedicenni) sei un punto di riferimento. Se sei un romantico, la frase che almeno una volta nella vita una donna ti ha detto è “mi ricordi Jovanotti”. Se invece non lo sei, almeno una volta nella vita una donna ti ha rinfacciato di non averle mai detto certe frasi che tu canti con tanta disinvoltura…

Ti voglio fare un po’ di nomi di gente che per me è come San Giuseppe e Sant’Antonio e i santini del mio tabernacolo: Marley. Marley ha cantato canzoni d’amore pazzesche, “Wait in vain” è un pezzo pazzesco, pensa a Lennon e alle canzoni d’amore che ha cantato, i Beatles… le canzoni d’amore sono il sale della musica

…però noi volevamo chiederti come vivi quest’attenzione da parte delle donne

A me piace (ride, NdR). Mi piace, mi piace, è una cosa bella. È una cosa bellissima, per me, anzi è quasi un’ossessione riuscire a fare una canzone che sia come un mazzo di fiori. E questa è un’immagine precisa: una canzone non deve essere un anello ma un mazzo di fiori, qualcosa che può anche appassire nel tempo. C’è qualcosa di sbagliato in questo? C’è forse l’essenza del nostro mestiere, sennò facevo il politico, facevo un’altra roba. Faccio il cantante perché fondamentalmente mi piace anche piacere. C’è un gran bisogno di amore.

Non ne ricevi abbastanza da chi ti sta intorno?

No, questo è un altro tipo di amore. È il bisogno di essere riconosciuti, di affermarsi. Cose che secondo me nascono nell’adolescenza o nell’infanzia, quando magari hai qualche problema a inserirti…

A volte in queste canzoni d’amore sembra quasi che tu dica più del dovuto, sembra che tu debba dimostrare qualcosa, sempre alla ricerca della “frase d’amore totale”.

Non lo so, le canzoni sono quello che sono. Non è che se io ti regalo un mazzo di fiori si può fare l’esegesi del mazzo di fiori: è un mazzo di fiori, e se non ti piace è un problema tuo. I fiori sono una cosa bella, ma se tu volevi dei diamanti non ci troveremo mai. Non posso tener conto delle aspettative di tutti, sennò non mi alzerei nemmeno dal letto la mattina.

Io dico sempre più del dovuto. Il silenzio non avrebbe bisogno di nulla, e quello che aggiungi è sempre un di più che magari a qualcuno può fare piacere.

Le canzoni non sono necessarie, per questo mi piacciono e per questo mi ci danno sopra. 

Sei a un livello di popolarità altissimo, al punto che quello che fai viene quasi apprezzato a priori. C’è ancora qualcuno con cui puoi confrontarti, qualcuno che magari ti stronchi? Quanto ne hai bisogno, e quanto gli dai retta?

C’è, ne ho bisogno e gli do retta, se quel qualcuno mi dice delle cose intelligenti. È importantissimo: in studio di registrazione, col mio produttore, con mia moglie che mi dice sempre quello che pensa, perché non è una fan. Poi comunque io leggo sempre le critiche. Certo esiste l’hater – di cui non mi frega un cazzo, il troll, tutte queste persone che ci sono da sempre, anche prima che internet desse loro un nome. Poi c’è anche quella cosa che è tipo un termometro interiore. Tu comunque lo sai, quello che stai facendo. Poi magari speri che non ti becchino. Una volta Bono a cena mi disse “noi facciamo canzoni e non ci possiamo fermare: siano belle canzoni o brutte canzoni, pezzi che vengono bene o che vengono male. Tu buttale fuori, quelle brutte ti serviranno tanto quanto quelle belle”. A dire queste cose mi sento un po’ come se fossi nel governo Renzi, ma il punto è che è fondamentale fare. Fare e finire le cose. Anche le cagate. Perché sennò entriamo in un circolo di chiacchiere. Fai, finisci una cosa e buttala fuori. A qualcuno piacerà, a qualcun altro farà schifo, però quella roba lì poi ti insegnerà, ti porterà da un’altra parte… 

Tua moglie è convinta di tutte le 30 tracce del disco?

No, lei ne voleva 13. Me l’ha detto, me l’ha scritto. 

Quindi non le hai dato retta.

No, perché avevo una spiegazione mia interiore per cui era necessario che ci fossero tutte e 30. Forse il pubblico non ne aveva bisogno, ma io sì. 

Tu di hater ne hai molti e in qualche modo avrai trovato un modo per gestirli. Qual è l’argomento tipico dell’hater di Jovanotti?

Ho pochissimi hater in realtà, e quei pochi sono una spezia che insaporisce la mia roba. I miei hater poi non volano particolarmente alto, ma del resto volare basso è una delle caratteristiche di chi sceglie di dedicare parte del suo tempo a rompere i coglioni a uno come me che come potete vedere non si è lasciato molto condizionare. Faccio la mia roba senza tenerne gran conto. Gli hater sono come le scuregge, fanno prima di tutto ridere e poi non lasciano grosse tracce.

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