Musica
Chet Baker, la musica della libertà
Lo Stato italiano, fra le tante altre responsabilità che si è preso, ha anche quella di aver privato il mondo per quasi un anno e mezzo di uno dei suoi talenti musicali più grandi, peraltro nel periodo di suo massimo splendore: Chet Baker, morto il 13 maggio 1988, trent’anni fa.
E’ l’agosto del 1960: Chet Baker è già considerato una leggenda vivente del jazz. Chet entra nel bagno di una stazione di servizio sulla strada che da Lucca porta a Viareggio e ai locali della Versilia e si spara in vena una fiala di Palfium, un analgesico allora vietato in Italia. Il proprietario non lo vede uscire e dopo un’ora chiama la polizia che sfonda la porta e lo trova con un ago infilato nella vena. Lo arrestano e lo portano in carcere a Lucca dove rimarrà rinchiuso per 16 mesi.
A Lucca, però, c’erano numerosi giovani appassionatissimi di quella musica che arrivava dall’America. Giovani colti, di buona famiglia. Fra loro anche il figlio del direttore del carcere di San Giorgio che convinse il padre che sarebbe stato un sacrilegio non permettere a Chet Baker di suonare. Gli fecero avere una tromba e lo autorizzarono a esercitarsi per pochi minuti al giorno.
In quei minuti lunghi e brevi nel carcere di Lucca, dove tutti si rivolgevano a Chet chiamandolo maestro, non volava una mosca. E sotto alle finestre del carcere, che si affacciava sulle mura, c’era un pubblico sempre più numeroso di persone che, ogni sera, poteva godersi i cinque minuti di musica più intensi, più struggenti e più incazzati che Chet Baker avesse mai suonato.
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