Musica
Beatrice Quinta pubblica il primo ep: “Devota racconta finalmente chi sono”
È stata una delle rivelazioni di X Factor 2022, seconda alla finale vinta dai Santi Francesi ma non per talento. Beatrice Quinta, palermitana, classe 1998, dopo il successo di Sesso, hit presentata proprio ad X Factor, ha pubblicato un paio di singoli, tra cui Manette con il rapper VillaBanks, e nell’estate 2023 ha portato in tour la sua musica. Ora pubblica un nuovo Ep, intitolato Devota, accompagnato anche da un visual dallo stesso titolo. Beatrice usa liberamente il corpo come strumento per il racconto ma l’anima da magnetica performer lascia spazio all’autrice sicura delle sue fragilità.
Com’è stato questo anno e mezzo, dopo la partecipazione ad X Factor?
Molto più faticoso di X Factor. È stato stressante e molto solitario ma anche stimolante.
La sensazione che davi ad X Factor era quella di essere già pronta per il palco, una performer vera…
È stato molto divertente, diventa però una droga… Quel tipo di palco ti abitua a una determinata cassa di risonanza e sai che ogni giovedì puoi rifarti perché hai uno spazio per poterlo fare. Nel mondo reale, invece, ti scende l’adrenalina dell’esibizione in quei palchi giganti con 24.000 persone che ti girano attorno. Già alla finale del programma ti arriva la botta della vita vera. Io in quel momento sono un pò crollata, stavo molto più comoda in tv che nella vita vera.
In un video su Instagram, in questi giorni, hai mostrato una conversazione con il tuo manager, seguita al rifiuto di Sanremo. Dicevi che forse era arrivato il momento di dire la verità. Come mai? Sentivi in quell’anno e mezzo di non essere stata veramente te stessa, di non avere proposto delle cose che ti rappresentavano?
Ho fatto delle esibizioni carine ma a livello di scrittura non sentivo di aver fatto capire chi sono. Se fossi capitata sul mio profilo Spotify e non fossi stata me stessa, avrei detto “beh, carina, ma niente di che, qual è la sua cifra stilistica a livello di scrittura?”. Sentivo un un vuoto da quel punto di vista perché mi sembrava di non avere fatto vedere chi sono ne avere detto davvero chi voglio essere, cosa mi è successo. L’autostima è una cosa che si impara, non ci nasci e secondo me era un pò dannoso sotto certi aspetti il messaggio che a volte davo, il “siate forti, siate sempre orgogliose di voi stesse”… perché non davo spazio alla realtà poi, ovvero che anche chi lo dice, tipo me, poi ci sono giorni in cui oggettivamente non si piace, giorni in cui non si sente brava, giorni in cui si fa schifo. Non c’era un racconto per cui io riuscissi a essere fragile e a mio agio nella mia fragilità, quello mi mancava come passaggio nella musica.
Quando hai iniziato a scrivere?
Ero piccolissima, avevo forse undici, dodici anni. Scrivevo piccoli racconti e poi siccome avevo il pianoforte a casa ho iniziato con le canzoni. Però ero già il tipo di autrice che penalizzava la melodia per far entrare dodici chilometri di testo. Ho iniziato a scrivere, poi è venuto tutto il resto. Non mi sono mai considerata una cantante, una performer sì ma a casa mia. La vera chiave però per cui ho iniziato era pianoforte e parole, quindi mi sembrava che non mi conoscesse davvero nessuno. Entravo in ogni sessione in studio sperando che mi prendessero sul serio e capissero che non ero la bambolina messa là, ma facevo pure io il loro lavoro e lo potevo fare bene. Da X-Factor ne sono uscita bene, ho fatto il mio percorso senza inciampare troppo e quando sono inciampata sono andata bene proprio per quello, però l’immagine che avevo dato di me, non mi faceva stare a mio agio nel mio sfogo artistico. Odio quando mi guardano come se fossi un manichino. Il percorso post X-Factor era dire a me stessa soprattutto “fai il tuo senza avere l’ansia di non sembrare abbastanza agli occhi degli altri”.
Quindi è arrivato il momento di raccontarti davvero…
Prima di XFactor avevo veramente uno spazio piccolo. Dopo X-Factor i follower crescono, hai più persone che sono disposte a lavorare con te e quindi hai una cassa di risonanza più grande. Già questo è un grande risultato. Soltanto che poi nasce quel bisogno interno di dimostrare altre cose. Sento e ho sempre sentito in tutta la mia vita di dover dimostrare continuamente, quindi questo è il momento in cui vorrei dimostrare che ho una penna e posso dire la mia. So da quando ero piccola, da sempre che desideravo fare questo lavoro, non ho mai avuto dubbi e quando li ho avuti ho avuto la fortuna di avere la mia famiglia che mi spronava nel seguire il mio obiettivo. Il palco è il posto in cui mi sento più me stessa. A volte penso che sarebbe molto più facile riuscire a essere felice pure facendo qualcos’altro ma non è il mio caso, proprio non ce la faccio.
È uscito il tuo nuovo EP, Devota. Mixa diversi generi e c’è molta dance.
È il “piangere sotto cassa”.
Cosa ti premeva tanto raccontare?
Volevo mettermi a nudo sul serio. Ho detto tante cose di me che non sapevano neanche i miei amici. Alcuni mi chiedevano cosa ci fosse di reale. Ho tirato fuori tante cose del mio passato che non avevo neanche processato, in Pelle soprattutto. Mi premeva il fatto di fare qualcosa di cui fossi orgogliosa e in cui mi potessi riconoscere. Pensavo “se domani Spotify crashasse, se non ci fosse più niente”. “Quindi quello che hai fatto è il tuo ultimo lavoro. Se questo è il tuo ultimo lavoro cosa vuoi dire?”. Quindi ci ho messo un tipo di cura diversa. Sono stata molto più sincera rispetto ad altre canzoni che ho fatto uscire. Volevo fare qualcosa che mi descrivesse come persona, secondo me Devota descrive le mie contraddizioni e le mie fragilità.
C’è anche molto sesso in questo EP e la relazione che hai con il sesso. Perché?
Perché gran parte dei traumi che mi hanno segnata sono legati al sesso, sono sempre stata un pò ossessionata dal sesso sotto certi aspetti perché da adolescente vivevo il sesso come potere non come piacere. Quasi tutte le persone non sono interessate al tuo piacere, vogliono che tu le faccia sentire bene, faccia stare bene il loro ego e il sesso diventa una performance. Dai vent’anni in poi è iniziata la mia ricerca verso il piacere. E ancora adesso è difficilissimo perché è quasi impossibile per me uscire dalla mia testa, quindi non lo vivo bene. Ne parlo perché fondamentalmente è un problema sotto certi aspetti nella mia vita. Forse ne parlerò di meno quando invece raggiungerò un equilibrio sessuale che dici vabbè, è sana questa cosa e parlerò di altro.
Guardandoti vedo una persona libera…
Per questo dovevo fare Devota. Come sono arrivata ad esserlo o a cercare di esserlo? Mancava tutta la parte di racconto in cui dicevo che anche io sono stata fragilissima. Mi sono successe determinate cose e provo rabbia per questo, quindi è stato il mio modo di cicatrizzare le ultime ferite. Mi ricordo che in una chiamata mi avevano detto “ma metti alcuni pezzi magari un pochettino più pop, perché lo stai facendo questo EP” e la mia risposta è stata “perché sono incazzata nera e non mi va bene pensare di dover essere incazzata per altri anni”, perché se non le butti fuori le cose ti marciscono dentro. Era un mio modo per usarla di nuovo come terapia la musica.
Cosa ti ha influenzata di più musicalmente in questi anni?
L’Urban mi ha influenzata. Ero super fan di Gaga quando ero piccola, però allo stesso tempo il mio album preferito era Mister Simpatia di Fibra. Quindi avevo questi due mondi che si intersecavano tra pop e rap, con Fibra, Eminem. Questi due mondi hanno sempre convissuto in me soltanto che non avevo mai avuto il coraggio. Perché si tratta del coraggio. Un pezzo come Pure le streghe non ti aspetti che abbia chissà quale riscontro, perché non rispetta il paradigma di un pezzo pop italiano. Ci sono talmente tante cose in Devota che è difficile digerirle. Mi rendo conto che facendolo ascoltare a qualcuno prima di farlo uscire lo ha considerato pop fino a un certo punto. Siamo un pò troppo chiusi nel nostro modo di definire il pop che poi letteralmente è popolare. Quindi non è una cassa dritta che mi fa dire che appartieni al genere. C’è tutto un concetto che ti fa essere pop e tra l’altro credo che veramente ci siano pochi artisti in Italia a non esserlo. Siamo praticamente tutti pop. Per me questo è un buon incrocio tra il pop che voglio fare e il pop che che in questomomento mi sento di fare.
C’è un pezzo in questo EP a cui sei particolarmente legata?
Pelle e forse Pure le streghe ma più Pelle. Non avevo mai fatto uscire un pezzo del genere, invece come dicevo prima io parto da lì, con un pianoforte e la mia voce. E poi perché c’è una frase che mi fa male ogni volta che la dico che è “copro il viso quando vengo perché non reggo neanche un momento onesto”. Mi fa male ogni volta che la canto, perché quel pezzo è un livello di realtà che mi fa stare a disagio. Io amo essere a disagio perché ho sempre paura che se sei troppo a tuo agio in quello che fai significa che non stai facendo un cazzo, cioè non ti sei mosso dal tuo. Invece, il mio obiettivo è salire su ogni palco e scrivere ogni pezzo pensando “ho esagerato?”. Preferisco chiedermi “ohmio Dio, lo odieranno” che “sono sicura che lo ameranno”. Preferisco essere odiata che rimanere indifferente.
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Immagine di copertina: Beatrice Quinta, foto di Fabrizio Milazzo
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