Musica
Auguri, Luciano Ligabue!
Caro Luciano,
credo che la maggior parte dei compleanni degli altri non ci interessino: li dimentichiamo, confondiamo le date, facciamo gli auguri solo in nome della buona educazione, perché, dobbiamo ammetterlo, di molte esistenze non ci importa un granché.
Alcune date, invece, sono monoliti fatti da numeri, pietre miliari che si radicano dentro il calendario della nostra vita; e non abbiamo bisogno di appuntarcele o fare suonare il promemoria del cellulare, perché loro ci richiamano da dentro a prescindere.
Ecco: per me, da quando ho quattordici anni, il 13 marzo è una di quelle date.
Ti ho scoperto dalla chitarra di mio cugino, che la sera di Natale, nella tradizionale visita ai parenti, suonava e cantava le tue canzoni; mi sono piaciute subito in maniera viscerale, in un modo che, avrei capito solo più avanti, mi capita con le cose – rarissime – di cui mi innamoro e che non lascio più.
Lui mi porta al mio primo concerto che è un tuo concerto, dentro il palazzetto Pianella di Cantù, quando ancora si fumava al chiuso e di cui, infatti, ricordo nubi grigie sopra le nostre teste. Sapevo cinque o sei canzoni quando sono arrivata; da quella sera, nel giro di pochi mesi, tutte. Essendo sempre stata bulimica di conoscenza, ho imparato di ognuna testo, significato e la collocazione esatta nell’album, di cui avevo cd originale e cd masterizzato, per paura che i troppi ascolti potessero rovinare il primo. La mia camera diventa un altare a te dedicato tra poster, cartelloni homemade, fasce dei concerti successivi (circa venticinque), tuoi libri, dvd dei tuoi film e gadget di ogni tipo a te dedicati. Sul telefono, per molto tempo, gli amici mi salvano come “Ale Liga” e, neanche a dirlo, immagina il mio orgoglio. Riesco a trasmettere questo folle amore per te a mia sorella, di sette anni più piccola, che diviene, ufficialmente, la mia compagna di trasferte, anche per tutti gli eventi dove suonano tribute band in tuo onore.
Dai miei quindici ai miei diciotto, ogni anno, per il tuo compleanno, scrivo una lettera a mano dove ti dico quanto sei importante per me. Fortunatamente, poi, non ne ho mai spedita nessuna; sono qui con me e ogni tanto le rileggo, per non dimenticarmi la differenza tra ricordarsi di avere avuto sedici anni e averli avuti davvero. Qualche tempo fa ho letto un articolo di una qualche università americana che diceva che nella prima adolescenza formiamo i nostri gusti musicali perché, in quel periodo, tendiamo ad ascoltare di tutto, come se avessimo orecchie-spugna capaci di metabolizzare qualsiasi tipo di suono. Quelli che sopravvivono, quelli che perdurano oltre quel tempo strano, diventano la nostra musica.
Io, che tendo a stancarmi di tutto molto presto, mi domando sempre come possa averti ascoltato così tanto e ogni volta con la stessa intensità. Mi sono risposta che, semplicemente, ho scelto te come mio mito e cioè figura senza spazio, senza tempo, incolume ed esente dai tristi processi di cambiamento e fine a cui siamo sottoposti in quanto esseri umani. Ti ho sottratto alla finitudine delle cose, tenendoti con cura in mezzo all’infinito. Per questo non ho mai cercato di incontrarti e quando i miei amici musicisti, che ti avevano conosciuto, volevano raccontarmi aneddoti, li bloccavo, perché di te volevo solo il mio pensiero di te.
Al tuo primo Campovolo ero ovviamente presente e avevo quasi diciassette anni; l’emozione di quella serata è una delle cose più belle che la vita mi ha regalato; quando il concerto si era concluso ero tornata in camper e prima di addormentarmi, dalla finestrella, avevo dato un ultimo sguardo al cielo che era pieno di stelle e mi sembrava di riuscire a ingoiarle tutte, di poterle contenere una per una. Non avevo ancora conosciuto il dolore, né la morte, né la malattia quella sera e nemmeno mi ero mai innamorata: ero pura, come la gioventù, come le tue canzoni. Tu dicevi che nonostante tutto, nonostante le difficoltà private e del mondo, bisognava tenere botta, resistere, mantenendosi quello che si era, con la propria faccia, il proprio credo, senza mai scegliere se dovere essere troia o sposa. Tu cantavi che avere qualcosa di grande a cui appigliarsi sarebbe stato fondamentale, così come trovarsi un bar dove starsene leggeri e vivi; che i consigli e i pareri degli altri era bene ascoltarli ma mai troppo, perché nasciamo e andiamo da soli. Però stringerci, stringerci di più era il fatto, quello con la effe maiuscola, quello da preservare al di là di tutto.
Sei tra i tatuaggi di mia sorella, nelle notti in autostrada, nei pianti, nei grandi salti, nella mia resistenza al mondo, nella rivoluzione che ogni giorno provo a fare. Sei nei miei anni. Sei i miei anni.
Allora, tanti auguri Luciano e grazie per questa vita insieme che, davvero, non poteva essere meglio di così.
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