Musica

Attandara – Studio sulle canzoni anarchiche

8 Maggio 2015

“Attandara” significa “te ne accorgerai”. Viene dal dialetto di Villa Minozzo (Reggio Emilia) e suona come un monito per coloro che, nell’indifferenza quotidiana, lasciano che le cose scorrano, vadano avanti per inerzia, dimenticando il passato, ignorando il futuro, tutti compresi in un eterno presente.
Attandara è anche il titolo dell’ultimo lavoro di Mara Redeghieri, cantante e performer reggiana, che con questo studio ha voluto, insieme ai musicisti Nicola Bonacini (contrabbasso) e Lorenzo Valdesalici (chitarre), indagare e ricostruire uno spaccato del composito mondo degli stornelli anarchici, delle canzoni di rivolta che, fra tardo Ottocento e primi decenni del Novecento, hanno costituito la colonna sonora della storia degli ultimi.

Un lavoro di carattere storico, un’operazione creativa di rivisitazione del patrimonio musicale popolare, ma al contempo un percorso di riflessione e d’impegno.

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La performance canora è infatti accompagnata dalla voce narrante di Diego Rosa che – chiosando e rendendo intellegibili al pubblico i testi (alcuni, come El me gat, dialettali) – realizza continui parallelismi fra passato e presente, fra un’epoca di prevaricazione popolata da padroni e sfruttati e un’attualità dove quotidianamente i precari combatto la loro guerra fra poveri.
Citando Chomsky e il suo principio della rana bollita, Rosa rivolge al pubblico il suo personale “attandara”: quando ci accorgeremo che questi racconti, apparentemente riconducibili a mera testimonianza storica, patrimonio casomai del folklore musicale italiano, parlano in realtà del nostro tempo?
Lo spettacolo, costruito attorno a veri e propri “classici” della tradizione socialista ed anarchica, come l’Inno dei malfattori, Bella ciao delle mondine, Gorizia, recupera e sottrae all’oblio le voci degli umili, di coloro che misero in versi la fame, i patimenti sul luogo di lavoro, gli orrori di guerre combattute per il beneficio di pochi, la miseria, ma anche le speranze per un domani diverso, fatto di libertà, dignità, diritti ed eguaglianza.

Voci capaci di esprimere una durissima critica verso un presente vessatorio ed ingiusto, ma – al contempo – di guardare avanti, di sognare e progettare un futuro diverso per sé, ma soprattutto per la comunità.

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Quello che emerge dalle loro parole, così ben espresso nella dimensione corale di un canto che si fa – durante alcuni brani dello spettacolo – momento di condivisione con il pubblico, è appunto il senso di comunità, di vicinanza solidale fra umili. Il canto di rivolta non esprime il solitario sconforto dei singolo, il suo dolore esistenziale, ma da voce a quello che Nuto Revelli chiamava Il mondo dei vinti. Forse questo ci affascina tanto, forse questo è il senso di Attandara: in un presente dove difficilmente le difficoltà individuali si “parlano” creando i presupposti per una critica condivisa, per un’identità capace di essere sostegno e, pur parziale, conforto rispetto ai problemi quotidiani, queste canzoni ci riportano ad una dimensione sociale del malessere e del sogno, della sofferenza e della speranza. In poche parole ci ricordano il senso di parole come solidarietà e fratellanza.
Attandara viene da lontano: figlio del progetto Dio Valzer (che nel 2010 aveva trovato forma nell’omonimo cd), completa idealmente la raccolta ampliando il repertorio e offrendo agli spettatori uno spettacolo tutto nuovo, anche grazie all’importante contributo artistico di Valdesalici e Bonacini. Per la prima volta in scena al Teatro Europa di Parma nella serata di ieri, la performance ha riscosso un buon successo di pubblico, promettendo di diventare un appuntamento itinerante imprescindibile per chi non vuole dimenticare, ma soprattutto per chi vuole “accorgersene” nel presente.

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