Musica

Andrea Appino è in coda sul Grande Raccordo Animale

6 Giugno 2015

Le sue confessioni alla vigilia del MI AMI. Il suo secondo album da solista, il rapporto con i genitori, le droghe, i soldi e le donne, le sue psoriasi, l’astinenza dal sesso (lunga 3 anni) e dal cesso (lunga 11 giorni). E sul perché adesso si senta molto più uomo. Foto: Giorgio Serinelli.

Questa intervista è cominciata due anni fa, dopo l’uscita di Canzoni contro la natura degli Zen Circus. Avevamo preso accordi per farla, poi però lui è sparito. Telefonate, messaggi sul cellulare, email: nessuna risposta, scomparso, eclissato. «Era un periodo di merda forte, ero andato in depressione. Sai le cagate dell’amore, per cui diventi completamente scemo?». Ora Appino mostra l’incisivo storto e se la ride. Ha 37 anni, il chiodo, i capelli lunghi, la collanina con un diavolo che tiene in mano una boccia, il logo di un amaro francese. Siamo nello studio de Labrutepoque in zona Piola a Milano. Alla fine della serata avremo fatto fuori 19 birre, tre canne, tre pacchetti di centos turche e tre pizze. Alla fine della serata avremo parlato di tutto lo scibile umano ma soprattutto: del suo secondo album da solista, Grande Raccordo Animale, del suo rapporto con le donne, i genitori, le droghe, della sua stitichezza, delle sue psoriasi e dei suoi lunghissimi quattro anni di astinenza dal sesso. Però, all’inizio di tutto, alla birra numero uno, Appino se ne esce fuori con questa frase: «Ragazzi, son già briao». E ride. E mostra il dente storto. Appino parla il pisano, o meglio: un misto di pisano e livornese. Perché a Livorno ci vive.

Eppure pisani e i livornesi si odiano.


Aspira la centos, si appoggia al bancone. «Premio per la pace 2016, vero? Sai, quando mi son mollato dopo una relazione di 4 anni ho detto: vado a Milano a fare il gagarone, come si dice a Pisa, però poi, che ti devo dì, a Livorno ho 120 metri quadri, due bagni con Jacuzzi, due terrazzi di cui uno con la piscinetta di plastica e la vista mare. Del mare ne ho bisogno: scendo in ciabatte, mi tuffo e torno su…E poi sono un provincialotto, amo la provincia».

Però il disco l’hai registrato a New York.

«Oh, io la pensavo come una mecca dei fighetti invece ho preso una botta incredibile. E lo sai perché? È proprio un cazzo di porto. Uno non ci pensa ma New York è una città di mare».

Questo, per chi ti conosce, è un album strano…

«Lo so, l’ho fatto apposta. Infatti lo vuoi sapere qual è il mio pezzo preferito? La volpe e l’elefante… Perché a New York mi sono intrippato con tutta la scena afrorock e sta canzone è quella che mi ricorda quelle sonorità, la più libera dalle paranoie e dai condizionamenti musicali che ho avuto per 18 anni».

Sembra l’inizio di un nuovo percorso, come se ti stessi rendendo conto che sei diventato un uomo e non sei più un ragazzo.

Allarga le braccia. «Ragazzi, tocca prima o poi»…

La sensibilità a volte m’ammazza, vorrei non avercela. A volte vorrei fermarmi e respirare il meno possibile. La musica per me è un modo per scappare da un certo tipo di fragilità

In cosa stai realizzando che sei un uomo?

«In una certa serenità… Prima sentivo la voglia di spaccare e basta, adesso prima di aggredire una cosa ci penso cinque minuti. Poi l’aggredisco lo stesso, però con senno, non a caso. Per me l’aggressività è stata vitale per non finire nella merda, però mi son detto che non potevo essere sempre quello di Figlio di puttana e Andate tutti a fanculo. Guarda qua (si tira su le maniche del chiodo fino ai gomiti): a farmi girare i coglioni c’ho la psoriasi da tutte le parti, ce l’ho pure sul culo».

Son segnali evidenti…


«Segnali evidenti che c’è qualcosa che non va. Come dico in Rockstar, ero portato a trattarmi male per potermi lamentare. Per esempio, io non bevo più superalcolici da anni. Lo sai perchè? Perché se li bevo comincio a sparare minchiate, mi sento Gesù per un paio d’ore e il giorno dopo non capisco un cazzo e voglio morire e mi metto a piangere per nulla. Eppure mi garbano eh, lo shottino di vodka mi manca proprio…».

Ci sono altre cose che ti mancano?


«Ti dico una cosa: non riesco più e seguire la politica italiana per mancanza di dialettica. Mi manca la verbosità e la magniloquenza degli anni Settanta».

Tu in Tropico del Cancro parli di Berlinguer e Pasolini. E quando l’ho sentita mi sono detto: ma dai, ancora loro?

«Infatti sono ironico. Quella canzone nasce a Miami, ero a una cena con delle persone di una ricchezza ben oltre il normale, non mi chiedere perché ci sono finito ma ci sono finito ed è stato divertentissimo. Io diplomato in ragioneria con 36/60 a parlare di politica su un’isola privata con 4-5 americani ricchi, di cui uno che ne sapeva a pacchi di politica estera. A un certo punto mi son visto dall’esterno che mangiavo roba da miliardi a fare il Guccini de sto cazzo e mi son detto: ma sai cosa?, qui si sta proprio bene. C’ho messo cinque minuti ad abituarmi alla spiaggia privata, all’autista privato, al concierge che ti mette l’ombrellone dove lo vuoi tu, qui no, un po’ più in là, anzi no, un po’ più in qua. E alla fine della cena ho detto: pago tutto io!».

Hai fatto il brillante.

«Solo che alla cassa ho tirato fuori il Banco Posta».

A Miami? Il Banco Posta?

«Sììì… Ovviamente ho fatto una figura di merda perché non me l’hanno accettato… Ma dov’è che si piscia in questo fantastico luogo?».

Va in bagno e mentre si lava le mani canta ad alta voce: «AAAAA CHI?». Quando ritorna ordiniamo le pizze.

Ora sono un libertino consapevole.
Che ti devo di? La topa profuma di paradiso.

In una canzone canti: «Io credo nell’uomo»…


«Ci credo di brutto. Questa visione del mondo che gli esseri umani sono cattivi e invece gli animali sono i buoni mi sta troppo sui coglioni. Alla fine noi ci comportiamo come avrebbe fatto qualsiasi altra specie che avrebbe vinto la sfida evolutiva. Io delle persone mi innamoro. Non voglio fare lo splendido però per la strada mi capita di commuovermi guardando le persone. Tipo la canzone Grande Raccordo Animale è stata scritta perché ero sul grande raccordo anulare a Roma, nel traffico di merda, e pioveva e ascoltavo Oliver Man, un australiano che fa una roba tristissima, io guardavo la gente nelle altre macchine, poi dal nulla è uscito il sole e lì ho percepito un moto di verità. Mi son venuti i lucciconi, il magone».

Si chiama sensibilità.

«A volte m’ammazza, vorrei non avercela. A volte vorrei fermarmi e respirare il meno possibile. La musica per me è un modo per scappare da un certo tipo di fragilità. Per anni mi ha portato a tirar fuori un lato di me che non esiste, perché io finito il concerto ritorno il cretinetti che sono sempre… Soprattutto con le donne».

Ma che dici, dai. Scoperai tantissimo.

«Secondo te perché ho fatto una carriera sulle parolacce? Perché i grandi mi mettevano la testa nel cesso e le fie non mi caavano, quindi a un certo punto ho detto: budello di tu ma’, io faccio il rockettaro almeno trombo».

Vuoi dire che le donne non ti consideravano?


«Ma sei scemo? Io finché non ho iniziato ad avere un nome come musicista non trombavo mai, io non ho scopato per 3 anni nei miei 20 anni. Tre anni… Dai 23 ai 26, ti rendi conto?».

E come ti mantenevi?

«Sessualmente? Mi facevo delle grandi seghe, ero effeminatissimo. Tuttora quando mi scatta il lato sessuale divento figa, pensa che quando ho un orgasmo per qualche minuto mi vengono delle specie di crisi epilettiche».

Quattro anni sono infiniti.


«Perché non so baccagliare. E poi son sempre stato un po’ particolare: o una mi piace proprio tanto oppure non mi interessa. Ora invece, dopo alcune relazioni importanti e difficili devo dire che sono un libertino consapevole. Che ti devo dì? La topa profuma di paradiso, di solito. Ma non so quanto durerà, sono schiavo d’amore – come dice sempre Ufo degli Zen – e quindi prima o poi mi capiterà di nuovo di perdere la testa, non lo cerco ma so che succederà».

Il rapporto con tua madre com’è?

«Lei ha veramente fatto una vita difficile, la mi mamma è una donna che ha tirato fuori le palle in una maniera impressionante. E che oggi ha quasi più vitalità di me. L’ammiro moltissimo e le devo tanto, quasi tutto».

Il Grande Raccordo Animale mi è venuta mentre ero sul grande raccordo anulare a Roma fermo nel traffico. Pioveva, io guardavo la gente nelle altre macchine, poi dal nulla è uscito il sole. E lì ho percepito un moto di verità

A lei riesci ad esprimere i tuoi sentimenti, a dirle ti voglio bene?


«Ora sì, ed è un altro motivo per cui mi sento un po’ più ometto, prima avevamo un rapporto difficilissimo».

E a tuo padre?

«Con lui è stato più difficile, per mille motivi avrei potuto anche mandarlo a fanculo… Poi ho capito che non avevo bisogno di uno da mandare in culo ma di un complice, di un padre da amare».

Arrivano le pizze. Ci mettiamo intorno a un tavolino e le mangiamo quasi in silenzio. 
Dopo un po’ chiedo: ti fa paura il silenzio?


«Un’altra cosa per cui adesso mi sento un ometto è che sto imparando a conviverci. Sai io sono figlio unico, ho sempre dovuto urlare (e urla sul serio): CI SONO ANCH’IOOOO! Ho sempre avuto bisogno delle attenzioni».

Come va con le droghe?


«Provate tutte tranne la chetamina perché dei miei amici hanno avuto delle storie orrende di dislocazione sensoriale e mi faceva una paura boia. Ora solo sigarette e birre».

Credi in Dio?

«Il mio unico Dio è Madre natura, il mondo delle cose fisiche, un ecosistema incredibile che potrebbe far pensare a uno sguardo ben più alto di quello animale o umano, quindi capisco l’idea di Dio e la posso anche concepire, però ciò non toglie che questo ecosistema ha in sé una serie di contraddizioni, di violenze e soprusi che annullano il bene e il male. Alla fine il bene e il male e la morale sono concetti umani. In natura non esistono. Io son convintissimo di questa cosa qua».

Qual è il tuo rapporto con i soldi?


«Brutto. Anale ritentivo».

Anale che?

«Hai presente quando i bambini non si puliscono il culo e tendono a non cagare perché gli piace?».

E che c’entra coi soldi?

«Pare, e io confermo, che chi non ha superato la parte anale ritentiva tenda a essere stitico e a non vivere benissimo il fatto di liberarsi della propria merda, considerandola una parte di sé. Sembra una cazzata, ma spesso i tirchi sono persone che non hanno mai superato troppo bene la fase della propria liberazione corporea».

Ergo sei tirchio.


«Se ci son da fare spese oculate e strutturate sì, se c’è da scialacquare tutto in una cena, una sbronza o una chitarra allora ho le mani bucate».

Ed ergo sei stitico.

«Ora molto meno, ma lo sono stato da star male. Io ho collezionato un record di 11 giorni».

Che sofferenza…


«Dai ora è passata. Più che altro ora vado avanti a Gaviscon, mi sono tolto la cistifellea e mi son fatto 4 mesi che avevo le coliche anche se mangiavo un’oliva. Il fatto è che se hai la gastrite non puoi bere né fumare, e chi ha voglia di soffrire così tanto? Quindi vai di gastroprotettori».

Sai cosa diceva Cesare Pavese?


«No, che diceva?».

Soffrire non serve a niente.


«C’ha ragione lui, però il problema è che lo capisci quando stai per morire».

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