Musica
Ama Festival day #3 – Un Mac DeMarco senza freni
Eccomi per il terzo giorno dell’Ama Festival di Asolo, di cui avevo scritto già qui, e buona occasione per mandare tutto “in vacca”, come si suole dire in quel del Veneto. Inutile affermare come il protagonista assoluto, nel bene e nel male, sia Mac DeMarco, songwriter canadese ma con la cifra stilistica dell’appassionato della musica e dei pub più marci londinesi. In un eloquente commento sul gruppo Diesagiowave ironizzeranno con un perfetto “Get the London look” sulla sua performance di fine concerto, dove facendosi tenere in alto le gambe con la mani schiacciate allo stage, cercherà di cantare. Mentre colui che terrà le redini dei piedi, giocherà con i gioielli di famiglia.
A voler fare il “purista del cazzo” e a voler essere ligneo come il massello di cui fanno i mobili, l’esibizione mi sta lasciando in buona parte contrariato, deluso e latentemente emozionato. Cioè, capiamoci: è evidente la polistrumentalizzazione della sua musica, una bravura tecnica nemmeno tanto di fondo, e la passione per una finezza la quale fa deviare il suono spesso e volentieri verso zone jazzose, lounge, ma, senza tirare in ballo generi ad cazzum, in aree chill out, ove rilassatezza ed estensione della percezione la fanno da padrona. Ed è forse qui la parte più interessante del lotto DeMarchiano. Questo contrasto fra uno stile indie, pop, tecnicamente apprezzabile ma estremamente dispersivo, alternato ai dei divertenti siparietti che lo elevano ad alpha-clown della serata.
La gente qui sotto vuole un circo musicale, un intrattenimento sonoro-visivo e lo sta avendo. Penso quindi che non sia qua per le canzoni e basta. Stanno usando Mac come anestetico per la melanconia dilagante da noia social, da mancanza di veri stimoli. In sunto: vedere uno che fa così l’ “amabile coglione”, l’ “amabile canaglia” ridesta la realtà persa. Nel senso ovattato generato dalle bolle digitali moderne Lui è l’ultimo vero romantico, l’ultimo che sale sul palco e nella bellezza della goffaggine continua sovverte le regole. Entra, parla, fuma, beve del vino condiviso, e suona. Fa quello che spesso fa chi fa chi si trova sulla scalinata del Portello a Padova: condivide “cose”, canta con la chitarra canzoni senza beneamarsi per nulla del passare del tempo. In sunto #due: Mac può non piacere per dei versi ma per altri è la rappresentazione a cento dell’essere giovani oggi. Ed è più concreto di tanti altri.
Il canadese suona dalle 21.15 alle 23.20, e mi duole non aprire questo articolo con il commento a chi l’ha preceduto: Miss Chain and the Broken Heels sono stati forse quelli che più mi sono piaciuti, grazie al loro mix di rock, country e surf music, capitalizzati dal carisma di Miss Chain, la quale svettava sopra il palco con la sua indomita chitarra rossa, fiammante. Era impossibile stare fermi.
Di Colombre ho avuto finalmente la prova, tangibile, che si può benissimo discostare dalla moda calcuttiana che attraversa la penisola. E’ fresco, è bravo a scrivere testi e melodie e il suo spettacolo scivola via bene come il tramonto sereno e arancio sul borgo asolano. Lo vedi, lì, immortalato sullo stage fatto solamente dalla camicia gialla indossata.
La polvere che ho masticato
Ho ancora tra i denti i pulviscoli
E troppi giorni ho passato
Tra l’indolenza e le solitudini
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In questi due giorni Ama è stato contesto di buona musica e rilassata atmosfera, è stato divertente far quadrare sé stessi e la propria timeline, per alcune ore, con questa passione. Festival da frequentare, anche il prossimo anno!
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