Musica
Alta marea in teatro per l’inaugurazione della Fenice
Invertendo Mann: Venezia morta. Poi però Venezia salva e così via, macabro pendolo sul rischio di annegamento urbano del leone lagunare. È questo il monito di Aquagranda, opera inaugurale della Fenice per ricordare la devastante alluvione del ’66, parallela a Firenze ma un po’ trascurata nonostante i quasi due metri di marea. Musica affidata a Filippo Perocco con le cure sceniche di Damiano Michieletto e Paolo Fantin.
Dunque cinquant’anni esatti dal naufragio di Venezia, da quella notte senza luna in cui l’Adriatico sfidò i murazzi, fragili difese contro il mare che subito si scansarono. E Pellestrina fu lasciata inerme, litorale di pescatori esperti di maree, diffidenti proprio per questo, perché l’acqua sa essere «permalosa» e «dispettosa».
Prima di Michieletto, a teatro era Ronconi l’esperto di allagamenti. In Venezia salva da Simone Weil toccò al Carignano inzupparsi, ma con la sua vulcanica e un po’ sadica fantasia il regista aveva puntato anche il Teatro Studio per Le donne gelose, raro Goldoni dialettale in finale di partita con la commedia dell’arte. Progetto ripreso e ridimensionato dopo la scomparsa del maestro da Giorgio Sangati, che gli ha costruito un bell’omaggio dark come il Fassbinder de La bottega del caffè – già ripreso per due stagioni con meritato successo di pubblico. In questa produzione l’indimenticabile Arlecchino di Fausto Cabra chiude la commedia dietro a un sipario d’acqua.
Michieletto e Fantin fanno qualcosa di simile in Aquagranda, con una parete liquida che sale a poco a poco e che fa a volte da schermo altre da doccia per gli sventurati abitanti di Pellestrina. Poi il palco si allaga e tutti zuppi si gioca a schizzarsi per festeggiare lo scampato pericolo – fino a un certo punto: ci furono vittime e danni per miliardi. Un filo rosso da parche o norne segna il livello delle maree: un po’ sale e un po’ scende, «la cresse», «la cala». Se sale troppo non lascia scampo e si ritira ricordando a tutti che potrà sempre ritornare. Ma ci sarà sempre un marinaio più scaltro degli altri a cui ovviamente nessuno crederà, come una Cassandra di laguna. Stavolta è Fortunato, protagonista di questa lugubre operina molto ben scritta da Perocco, che non cerca impressionismi e riesce ad inquietare con una partitura pervasiva e a volte gonfissima. I personaggi sono poco visibili: baricentro in effetti è il coro, disposto sui lati del palco a celebrare i funerali anticipati della città. Efficace la vocalità concitata del canto, qui sempre tagliente espressione di panico.
Caducità umana e malumori dei flutti sono i temi di questo Requiem per Venezia, un oratorio meteorologico in fondo privo di spunti teatrali ma che proprio per questo si presta alle efficaci soluzioni visive di Michieletto. Un’opera per cui il regista non si deve preoccupare di cambiare la storia come al solito – tanto la storia non c’è – e non deve nemmeno pensare alla psicologia dei personaggi: davvero ci sguazza. Battutaccia, ma lo straordinario spirito d’insieme di Michieletto, il suo procedere per visionari accostamenti funziona magnificamente in questa performance d’altissimo livello che accompagna la cronaca musicale dell’alluvione. Ottimo il cast su cui spicca Giulia Bolcato, regina di questa notte di maree. Direzione coinvolgente e avvolgente di Marco Angius.
Photo ©Michele Crosera
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