Innovazione

Ah, chi siete voi, bellissimi spacciatori francesi?

7 Giugno 2024

Oggi vi farò ragionare un pochettino. Questo ragionamento ha un lato esilarante e un lato inquietante. Il lato esilarante è il prodotto di fruizione immediata che vi proporrò. Le implicazioni inquietanti le esamineremo alla fine.

Tutto è nato da un amico che mi suggerisce:

«Prova a cercare il testo di “ ’E spingule francese” e chiedere a Google di tradurlo in italiano. E poi leggi.»

‘’E spingule francese” è una deliziosa e antica canzone napoletana, originaria di Pomigliano d’Arco, ripresa da Salvatore Di Giacomo ed Enrico De Leva, tra i massimi autori della canzone partenopea, la quale, nel secolo scorso, è stata interpretata dai più grandi esecutori del genere e arrangiata perfino da compositori come Ennio Morricone, che ne ha fatto un brano in uno stile simile a quello di Gioachino Rossini.

È la storia di un venditore ambulante di spille da balia, dette spille francesi, che, a seconda dell’acquirente, chiede soldi o baci. Una bella guagliona gli chiede da un uscio quante spille le dà per un tornese, moneta del Regno di Napoli, all’epoca. E qui comincia una schermaglia amorosa tra i due. Chi conosce il napoletano si beerà dell’esecuzione di Miranda Martino che canta sopra l’arrangiamento di Morricone qui di seguito (solo due strofe anziché tre).

 

 

Ma torniamo alla traduzione di Google, consigliatami dall’amico. Cerco il testo e clicco su “traduzione”.

Ecco il risultato:

 

Mi butta fuori di casa ogni giorno

Nu juorno me ne jette da la casa

Jenno vennenno spinule francesi

Jenno vennenno spingule francese

Mia figlia mi chiama: “Disegna, disegna

Me chiamma ‘na figliola: “Trase, trase

Quante spinte mi dai quando mi giro?”

Quanta spingule dai pe’ nu turnese?”

Ed io che sogno non poco vezioso

E io che songo nu poco veziuso

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘this house

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘sta casa

Ah, chi siete voi, bellissimi spacciatori francesi?

Ah, chi vo’ belli spingule francese?

Ah, chi siete, bellissimi spacciatori, ah, chi siete?

Ah, chi vo’ belli spingule, ah, chi vo’?

Dico: “Se mi dai tre o quattro vasi

Dico io: “Si tu me dai tre o quatto vase

Non fai tutti gli speroni francesi

Te dong’ tutte ‘e spingule francese

Pizze e vasi non fanno porto

Pizzeche e vase nun fanno pertose

E puoi inginocchiarti e spingere il Paese

E puo’ ghienchere ‘e spingule ‘o paese

E puoi inginocchiarti e spingere il Paese”

E puo’ ghienchere ‘e spingule ‘o paese”

Ed io che sogno non poco vezioso

E io che songo nu poco veziuso

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘this house

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘sta casa

Ah, chi siete voi, bellissimi spacciatori francesi?

Ah, chi vo’ belli spingule francese?

Ah, chi siete, bellissimi spacciatori, ah, chi siete?

Ah, chi vo’ belli spingule, ah, chi vo’?

Ed io che sogno non poco vezioso

E io che songo nu poco veziuso

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘this house

Subbeto me ‘mmuccaje dint’ a ‘sta casa

Ah, chi siete voi, bellissimi spacciatori francesi?

Ah, chi vo’ belli spingule francese?

Ah, chi siete, bellissimi spacciatori, ah, chi siete?

Ah, chi vo’ belli spingule, ah, chi vo’?

Ha detto: “Il mio cuore, questo paese”.

Dicette “Core mio, chist’ è ‘o paese

Ca se te prore ‘o naso mor’ acciso

Ca si te prore ‘o naso mor’ acciso

Ha detto: “Il mio cuore, questo paese”.

Dicette “Core mio, chist’ è ‘o paese

Ca se te prore ‘o naso mor’ acciso

Ca si te prore ‘o naso mor’ acciso

E lui mi ha risposto “abbi pazienza, scusa

E ij rispunnette “agge pacienza, scusa

Sono innamorato di lei e di questo paese

‘A tengo ‘a ‘nnammurata e sta ‘o paese

E lui mi ha risposto “abbi pazienza, scusa

E ij rispunnette “agge pacienza, scusa

Sono innamorato di lei e di questo paese

‘A tengo ‘a ‘nnammurata e sta ‘o paese

“Sono innamorato di lei e lei è in campagna”

‘A tengo ‘a ‘nnammurata e sta ‘o paese”

E mantieni il tuo viso come una rosa

E tene ‘a faccia comme ‘e ffronne ‘e rosa

E mantieni la voce come una ciliegia

E tene ‘a vocca comm’ a ‘na cerasa

Ah, chi siete voi, bellissimi spacciatori francesi?

Ah, chi vo’ belli spingule francese?

Ah, chi siete, bellissimi spacciatori, ah, chi siete?

Ah, chi vo’ belli spingule, ah, chi vo’?

 

È esilarante, perché non c’è un solo verso che non sia completamente travisato dall’occulta intelligenza artificiale che si occupa della traduzione di Google. Chi si occupa di lingue straniere sa benissimo che il traduttore online è assolutamente inaffidabile perché travisa tutto, in quanto non coglie i nessi tra le parole ma fa operazioni di assemblaggio seguendo oscuri criteri per addivenire a risultati assai dubbi.

Alcuni versi sono rimasti in napoletano perché l’AI non ha trovato corrispettivi possibili, altri termini sono un misto d’italiano e inglese, con sincretismi idiomatici, tipici degli emigranti che poi, dopo un po’ di tempo di permanenza in terra straniera, fondevano la lingua d’origine con quella del luogo d’accoglienza.

Quante spinte mi dai quando mi giro?”

Quanta spingule dai pe’ nu turnese?”

Ne è un tipico esempio: “quando mi giro” è basato sull’inglese “turn” (da “turnese”) che significa girare e, per costruire qualcosa con un senso, il diabolico traduttore automatico s’inventa una frase che potrebbe avere perfino un doppio senso erotico!

Molti politici, giornalisti, autori, sceneggiatori, scrittori, manager d’azienda e tante altre persone, usano quotidianamente il traduttore di Google e molte traduzioni che noi leggiamo (e non comprendiamo) nei libretti d’istruzione di oggetti che compriamo sono fatti proprio così. I traduttori, quelli veri, in carne e ossa, fanno un lavoro difficilissimo, che è quello di mettere in connessione la lingua di partenza con quella d’arrivo, con tutte le implicazioni che ciò può avere, e studiano anni e anni per raggiungere quei risultati. E, ovviamente, costano. Google non costa niente, cosa fondamentale oggi, in nome del massimo profitto, è una divinità onnipresente, onnisciente, incorruttibile e, soprattutto, gratuita. Apparentemente. Anche la campagna pubblicitaria del ministero del turismo attuale, Open to meraviglia, per vari errori che ci sono sembrerebbe ispirata al traduttore Google, così come le pagine del sito web del Twiga, altra creatura della ministra indagata per truffa allo Stato che ha una certa repulsione a pagare i dipendenti. Figuriamoci i traduttori, persone inutili.

Le persone meno attrezzate di utensili intellettuali si affidano ai traduttori online, pensando che siano infallibili. La traduzione della canzone napoletana è la dimostrazione del contrario.

Infatti, spesso, non capiamo cosa significhino le cose che leggiamo. Anche alcuni articoli giornalistici, tradotti in italiano, che ci capita di leggere nella rassegna mattutina sul telefono, sono tradotti attraverso Google e si vede. Nella traduzione di un libretto d’istruzioni di una valigia Echolac, prodotta da qualche parte in oriente, mi capitò di leggere come bisognava pulirla dalla “gleba”, nel caso quest’ultima la sporcasse. La gleba! Ma basandosi su quale dizionario avranno fatto le traduzioni in quel paese orientale? Sul Tommaseo, dizionario di riferimento per l’Ottocento? Chissà i risultati nelle altre lingue. Ma ricordo ancora un altro caso eclatante, oltre vent’anni fa, quando lessi un articolo sugli Abba, tradotto dall’inglese, dove i fan degli Abba erano diventati i VENTILATORI degli Abba!

Ci torneremo più tardi. Al momento occupiamoci della canzone napoletana.

I risultati sono veramente comici. I protagonisti non sono più il venditore di spille e la ragazza ma fantomatici “bellissimi spacciatori francesi”, che vengono ripetutamente invocati: “Ah, chi siete, bellissimi spacciatori, ah, chi siete?” Che proviene da:

“Ah, chi vo’ belli spingule francese, ah, chi vo’?” che invece significherebbe “Ah, chi vuole le belle spille alla francese? Chi le vuole?”.

Il fraintendimento totale dei versi provoca risate a crepapelle di chi conosce la canzone e la lingua napoletana. Ma chi non la conosce e legge la traduzione avrà qualche problemino nella comprensione. La canzone diventa quasi un testo futurista, forse, meglio, dadaista, totalmente senza senso.

Ma il meglio viene adesso.

A me piace condividere le mie scoperte con amici e amiche che, in genere, si sbellicano dalle risate se la cosa è ridicola, o s’indignano insieme a me se l’affare è degno d’indignazione.

In questo caso, soprattutto i miei amici partenopei sono scoppiati a ridere per l’assurdità di quella traduzione. Sbellicandosi, giustamente, ai “bellissimi spacciatori francesi”, forse una sorta di contrabbandieri da passo di montagna, però affascinantissimi, belli e tenebrosi, che spacciavano questi oggetti oscuri, detti “speroni francesi”.

Bene, uno di questi amici, che di mestiere fa il chimico ma che conserva una verve siciliana e che scova sulla rete tutte le ultime diavolerie che la tecnologia s’inventa ogni giorno che Dio mette in terra, dopo aver partecipato alle risate generali, mi dice:

«Ne vuoi fare una canzone?»

«Spiegati.» gli faccio io.

«Ora ti faccio vedere. Ripuliscimi il testo dal napoletano e mantieni solo la traduzione di Google. Poi dimmi in che stile la vorresti.»

«Ma sicuramente in napoletano!»

«Napoletano neomelodico?»

«Napoletano neomelodico va benissimo.»

Dopo un’oretta ne arrivano ben quattro versioni, due in neomelodico, cantate da voci maschili, e due in house music, eseguite da voci femminili. Tutto fatto attraverso un’app che crea canzoni negli stili più vari, opera lirica compresa, da un testo qualsiasi.

Io non mi tengo più dal ridere. Diffondo subito anche quelli e, come me, pure gli altri ascoltatori ne vengono colpiti.

Condivido con voi queste quattro versioni, qui di seguito, perché sono veramente oltre ogni immaginazione: i bellissimi spacciatori francesi, variamente invocati dai cantanti inesistenti, non vi faranno più fermare dalle convulsioni.

Cantanti inesistenti, avete capito benissimo. E pure bravissimi, intonati, in stile, con estensioni pazzesche, e pure con interpretazione appropriata. Se confrontate il risultato colle canzoni dell’ultimo festival di Sanremo o Eurofestival non c’è molta differenza, anzi sicuramente, al di là dei testi surreali e comici, cogli spacciatori francesi resi protagonisti, vi chiederete se per caso molte canzoni non siano state composte proprio coll’aiuto dell’AI. Tutto è finto, in queste canzoni, gli strumenti, le voci, il testo.

Ed è facilissimo. Basta un’app e premere un tasto.

E questa è la parte inquietante.

Perché a questo punto, se siamo rimasti ingannati da una canzone napoletana mal tradotta ma trattata come se fosse un brano reale, di cosa possiamo fidarci, nell’enorme mole di cose che guardiamo e ascoltiamo? Quanti brani, quanti filmati, quante voci registrate che ci raccontano questo o quello corrisponderanno alla realtà?

Quanto siamo manipolabili? E quanto lo sono i giovanissimi, che sono nati con tutto questo già in atto, dandolo per scontato? Per loro è un gioco, danno un testo all’app e compongono la serenata da dedicare alla compagna di scuola, senza possedere alcun talento musicale. Poi magari riescono, in qualche modo, anche a depositarlo e a prenderci su dei diritti se diventa un hit, senza aver mai studiato una sola lezione di solfeggio.

Ma quando una voce simile a quella di qualcuno di autorevole che conosciamo ci dice che nel mondo sono accadute delle cose e non altre, quanto possiamo accorgerci che quello è un fake, che è falso, che ci stanno manipolando, o che la traduzione di quello che stanno dicendo dei politici cinesi o arabi sia vera o fatta con Google? I corrispondenti dei bellissimi spacciatori francesi, nella narrazione di una guerra o di qualcos’altro, che cosa saranno? Putin è veramente Putin o è una sua immagine artificiale e anche la sua voce lo è? La sindrome di Cushing, terribile, di cui Putin soffrirebbe lo ha già consumato degenerando nel tumore irreversibile e noi stiamo vedendo solo cose che crediamo che siano Putin? Ormai l’AI è in grado di alterare la realtà e di farci credere cose che non esistono, fermo restando che esistono da un bel po’ anche i sosia e i trucchi cinematografici che sono in grado di riprodurre l’aspetto fisico di chiunque.

Nel suo saggio rivoluzionario, Le parole e le cose, che data ormai quasi sessant’anni, Michel Foucault ci fa fare un viaggio nel tempo e nello spazio sulle ali delle parole e della conoscenza. Fino al Rinascimento, nel Quattro-Cinquecento, dice, l’episteme, ossia la scienza universale, quella riconosciuta da tutti e non l’opinione del singolo, è ancora caratterizzata dal fatto che i saperi e le teorie si fondano sul principio di similitudine. Conoscenza significa interpretare il linguaggio dei testi e i fenomeni della natura, rimescolati e riuniti in una sola realtà, riconoscendo e valorizzando le somiglianze nelle loro varie forme, attraverso i segni che ce le indicano.

Ma, a un certo punto, a Rinascimento maturo e terminato, arriva Don Chisciotte, l’antieroe, e cambia la prospettiva: “Don Chisciotte – scrive Michel Foucault – delinea il negativo, l’aspetto contrario, del mondo del Rinascimento; la scrittura ha smesso di essere la narrazione del mondo; le similitudini e i segni hanno rotto la loro antica alleanza; le somiglianze disilludono, ci portano all’allucinazione e al delirio; le cose restano caparbiamente nella loro ironica identità: sono solo ciò che sono; le parole errano all’avventura, ormai prive del loro contenuto, prive di una somiglianza che le colmi di significato; non distinguono più le cose; dormono tra le pagine dei libri nella polvere… La scrittura e le cose non si somigliano più. Tra esse, Don Chisciotte vaga all’avventura”. Don Chisciotte, l’uomo che mette in dubbio la percezione della realtà attraverso la denominazione delle cose.

Proviamo a rapportare ciò che dice Foucault al traduttore di Google, il Don Chisciotte cibernetico, creato dall’uomo stesso, che stravolge la realtà ma in versione malefica e ci immette nel delirio idiomatico e nel fraintendimento che domina sempre di più le nostre menti.

Riuscite a immaginare, nelle mani sbagliate, un simile strumento di dissimulazione? A parte il fatto che, restando nel campo artistico, in fondo molto più innocuo di altri campi, sarebbe la morte della creatività e della competenza?

Alla fine, è davvero un progresso?

Io terrei alta la guardia e auspicherei una presenza più massiccia di intellettuali del calibro di Foucault, buonanima, o almeno una ricerca instancabile di persone di qualità, nella politica progressista di oggi, per aprire gli occhi alle persone, per spingerle a non fermarsi alla prima lettura della realtà e a combattere l’oscurantismo in perenne agguato.

Che, poi, sarà la realtà?

 

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