Musica
Ah che sarà, che sarà: ballata d’amore, libertà e rivoluzione
“Ah che sarà, che sarà
che vanno sospirando nelle alcove”.
Verso più affascinante e sontuoso non poteva darsi per descrivere il soffio vitale dell’amore, il gemito ed il conato di eros: perché nell’alcova Eros non ha confini, e nella lussuria dell’intreccio dei corpi ci scivola sopra, scherza, sorride e rende libere le anime dalla gabbia e dalle tristezze della vita, alla ricerca forsennata del piacere: “voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta“, dirà Neruda.
Eros, scrive Georges Bataille, considerato gravemente, tragicamente, rappresenta un capovolgimento totale, provoca la scissione, la perdita di sé, sino all’ultimo singulto irrorato dal piacere.
Scuote l’anima mia Eros – dirà Saffo – dolce, amara, indomabile belva, che con passo misterioso, tremando, penetra il nostro desiderio.
“Ah che sarà, che sarà
che vive nell’idea di questi amanti”.
Gli amanti sono eletti di Dio, hanno l’animo cortese, paiono al vento esser leggeri, dice Dante nel V Canto di Paolo e Francesca, perché volano nell’infinito e nell’altrove e superano gli affanni e le angosce.
Forse l’idea degli amanti è di separarsi dalle difficoltà e vincere la paura: nulla è più forte dell’amore che abbatte il dolore del mondo.
“Spegnete la luce dei lampioni – grida un dissacrante poeta Majakovskj, giullare tragico – ed amatevi sotto il cielo delle bettole.
Urlerò a squarciagola il mio amore e le comete torceranno le braccia fiammeggianti, gettandosi a capofitto sulla malinconia.
Passerò trascinando il mio enorme amore in quale notte delirante e malaticcia?”.
“Ah che sarà, che sarà
che cantano I poeti più deliranti,
che giurano I profeti ubriacati”.
La poesia è capace di rendere il linguaggio del cuore, tradurre la bellezza dell’universo, non cerca seguaci, ma amanti, canta Garcia Lorca.
È misteriosa: nessuno sa cosa gli sia stato concesso di scrivere.
I poeti sono essere speciali, deliranti.
La poesia è una casa senza porte, tutti possono entrare; vede il mondo con occhi nuovi, per reiventarlo e dà colore ai sogni.
Provoca lo smarrimento, perché in essa sovvien l’eterno– riflette il giovane favoloso, Leopardi.
I profeti che cantano l’amore sono ubriachi, perché Dioniso li sconvolge, inocula il piacere nei viandanti di notte che rompono la monotonia e la ripetitività dei nostri gesti ed amano la rivoluzione e l’eresia.
Somministra, questo Dio, la bevanda magica, il filtro dell’amore che supera il lamento dell’oblio e porta alla passione del delirio.
“Ah che sarà che sarà
che vanno combinando in fondo al buio,
che gira nelle teste e nelle parole,
che accende candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni.
E grida nei mercati che non c’è certezza
Sta nella natura nella bellezza.
Che fa dire alle meretrici dai dai.
Che persino il Padreterno da così lontano guardando quell’inferno dovrà benedire”.
Il piacere è vivere di notte, parlare del cambiamento, ordito al buio, perché all’indomani il giorno deve essere scompaginato, rivoltato.
La notte è degli ubriachi di felicità, che raccontano nuove storie che preconizzano un’alba radiosa, perché il dolore già si è consumato sino all’ultima stille di lacrime.
È delle meretrici che vendono il loro corpo, per dare gioia a poveri cristi, pieni di malinconia.
È degli infelici che vanno a letto senza più nulla da inventare, nella speranza almeno di non essere derubati dei loro sogni: ogni sera anelano che, al di sopra dei loro tetti, risplenda una stella.
Chi vuole la rivoluzione grida forte la voglia di mutare vita, nelle piazze, nei portoni, nei mercati, a Dio nelle processioni, perché dia una vita migliore a tutti, affinché si abbia il culto della bellezza che sta nella natura delle cose, basta solo cercarla, diceva Pasolini, la trovi per strada.
Perché la rivoluzione è di quelli che vogliono superare il tragico della Ragione, quando si compiono delitti inspiegabili, contro i bambini inermi al cospetto di mostruosi pedofili ( anche preti inetti e spergiuri ) che moriranno negli abissi del mare con un macigno legato al collo o per opera di quei maschi bruti, che offendono la bellezza gentile delle donne, rose schiacciate da calcagni nodosi di uomini barbari.
Il Padre Eterno non si potrà perdonare quando si è dimenticato dei campi di concentramento o di dittature bieche che uccidono chi vuole libere le anime.
“Ah che sarà che sarà
che tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare,
quel che non ha governo ne mai ce l’avrà, quel che non ha giudizio, quel che non ha misura”.
Non si può ibernare il pensiero che, come i pesci, non lo puoi bloccare, recintare, canta Dalla in “Come è profondo il mare”.
Chi ama la libertà sfida il potere che è greve e triste, nessun avviso ferma chi vuole sovvertire la stantia e drammatica condizione di un comando truffaldino, se recide il dissenso: cosi si spiega allora il canto della Marsigliese del matematico napoletano Caccioppoli contro i nazisti nella birreria Löwenbräu nel maggio del 1938, quando Hitler e Mussolini vennero a Napoli.
E lo stesso canto di libertà si ricorda anche nel film Casablanca, con Humphrey Bogart ed Ingrid Bergman.
Ma è Sam che suona il pianoforte mentre il tempo passa, che inneggia all’amore che sfregerà il potere nazista.
La libertà viene scolpita a colpi di martello sull’incudine del dissenso.
I rintocchi delle campane devono solo annunciarla, per bandire e smascherare l’ipocrisia, coperta dal consenso formale di una squallida liturgia di potere, che va svillaneggiato, come faceva il nipote di Rameau, proponendo satira e sfottendo i potenti, troppo volgari.
Ma forse non saremo presenti a noi stessi, se la decenza e la ragione non concepiranno il limite e la misura, necessaria in tutte le cose della vita.
(libera interpretazione della canzone Ah, che sarà, che sarà, di Francisco “Chico” Barque, riadattata da Ivan Fossati.
La foto è tratta dal film “Casablanca”).
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