Famiglia
Addio a John Miles
È morto domenica 5 dicembre, aveva 72 anni, ed al di fuori dell’Inghilterra, purtroppo, lo avevano dimenticato tutti. O quasi. La Germania lo ha amato a prescindere dal successo che aveva avuto, ed è per questo che, per celebrare John Miles, ho scelto una versione del suo capolavoro “Music” suonata in un flashmob a Landau, un paesino turistico a pochi chilometri dal Reno e dal confine francese, poco prima che morisse. Di cosa, non lo sappiamo. Eileen, la moglie, non ha voluto dirlo, la famiglia ha voluto salutarlo in modo del tutto privato.
Un modo consono a questo ragazzo di campagna, cresciuto ai confini scozzesi, dove ha fatto tanta gavetta con musicisti che, per la maggior parte, sono poi divenuti famosi suonando brani popolari e tradizionali. John invece appartiene alla generazione che, all’inizio degli anni 70, aveva scoperto i collegamenti tra il rock e la musica classica, amante della complessità, con poca voglia di scrivere brani di tre minuti per la hit parade.
Eileen racconta: “Non è nato per avere successo. A lui piaceva andare allo stadio a vedere il Newcastle senza essere riconosciuto, andare in un pub ad ascoltare degli sconosciuti senza essere additato, ed i suoi anni più felici li ha passati suonando nella band di Tina Turner, di Alan Parsons o in quella di Joe Cocker, come gregario, con la libertà di riarrangiare, che è sempre stato ciò che gli piaceva di più”.
Il successo è arrivato perché in quella stagione, tra il 1972 ed il 1975, le case discografiche cercavano artisti che pubblicassero opere lunghe e in parte sinfoniche, come Meat Loaf, Jim Steinman, i Genesis e, in parte, i Queen. Quando è uscito “Music”, che durava otto minuti, è stata la prima volta che un pezzo così lungo è stato venduto in milioni di copie in tutto il mondo senza essere selvaggiamente accorciato, come era successo ai Doors, agli Iron Butterfly ed agli altri epigoni del prog di quell’epoca.
L’onda è durata circa tre anni, dopodiché John, come dice la moglie, ha suonato per altri, anche se nell’Europa continentale lo hanno chiamato, per oltre 30 anni, a suonare e risuonare sempre lo stesso brano in grandi eventi televisivi e di piazza per nostalgici della musica leggera degli anni 70. Ha continuato a comporre, ma per il teatro, o riarrangiando i brani altrui per i musical.
Elton John ha iniziato a portarlo con sé nei tour in America, e la cosa è andata talmente bene che poi, negli anni successivi, anche i Rolling Stones, i Jethro Tull e gli Aerosmith hanno fatto lo stesso. Elton John racconta: “Un amico silenzioso, sempre sorridente, che durante il soundcheck magari ti veniva alle spalle e ti dava un suggerimento per un accordo diverso. Uno solo in un’intera canzone. Un musicista pignolo in modo amabile, un grande compagno di viaggio, una persona intelligente e sempre allegra”.
Anche lui se ne è andato. Parlando al telefono con Piero Brega ed Oretta Orengo, appena tornati dal palco di Sanremo e dal Premio Luigi Tenco, ci siamo trovati a ripetere per l’ennesima volta che abbiamo il dovere di testimoniare in ogni modo gli anni più meravigliosi che la musica abbia mai conosciuto, fatta non solo da discoli disperati ed impasticcati, ma anche da seri artigiani che, la sera, invece di sfasciare stanze d’albergo, tornavano a casa da una famiglia che amavano, e con cui sono rimasti per oltre mezzo secolo.
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