Musica
About Blank ci racconta il suo nuovo sorprendente album
Indie folk per cuori nostalgici, non in senso musicale, ma di fotografie di vita. Momenti passati a cui ri-pensare camminando nella natura, nel verde. Il nuovo album, omonimo, di About Blank sembra rimandare alla vibes invernali ma in realtà la sua vena elettronica lo rende leggero nel suono tanto da essere perfetto anche per le passeggiate estive, meditando su sé stessi e il senso che abbiamo qui e ora, rispetto al passato e al futuro. Argomenti alti e aulici ma che alla fine, seguendo il filo musicale, tornano a terra, fissi e concreti. Questo è il viaggio che ho percepito.
Ho quindi voluto scrivere alcune domande a Gabriele (About Blank) per conoscere e rendere ancora più tridimensionale questo lavoro, una piacevole sorpresa nella musica underground italiana che critica tanto magari le mode del momento ma si dimentica di dare lavori come il suddetto, capace di far drizzare le antenne per la pasta sonora e contenutistica di qualità.
About Blank è uscito per l’etichetta Beautiful Losers ed è ascoltabile qui.
1) Iniziamo con un classico: che mood e storie hanno influenzato questo album? A feeling ascoltandolo evoca molte immagini e per questo ho pensato che tu per primo le abbia messe in musica.
È senz’altro così, ho cercato di tradurre immagini, storie, sensazioni in musica. Le canzoni nascono dal mio essere per indole una persona che osserva molto e ingloba in sé suggestioni e sensazioni frutto appunto dell’osservazione; il passo che non mi aspettavo è stato rimescolare tutto ciò in musica.
2) Graceless risulta la canzone più “classic” dell’album, una ballad delicata e toccante, che storia racconta e come è nata?
Resta a mio avviso il brano più sfuggente dell’album, ogni volta che lo suono e canto cerco di comprenderlo sempre di più, per questo rimane il mio preferito. È stato il brano scritto in minor tempo, musica la mattina e testo il pomeriggio stesso. Penso provenga da angoli nascosti della mente, dal subconscio; è un brano in cui immagini, anche diverse tra loro, si accostano per formare un mosaico; il verso “I found leaves further on the street, a branch on the ground, it’s not time for spring” penso possa offrirne una chiave di lettura.
Dal punto di vista musicale ho lavorato a strati verticali più che in orizzontale, non c’è ad esempio un vero e proprio ritornello come può esserci in Chosen ma in compenso ci sono molti layers, strati ottenuti mischiando chitarre riverberate, slide, ebow, corni francesi, tromboni ecc: una maniera di lavorare sugli arrangiamenti che mi piace particolarmente.
3) A livello di struttura dei brani, Million Miles Away verso la fine ha una pausa dove c’è unicamente la tua voce “distorta” dall’autotune. Perché la scelta peculiare di questo passaggio sonoro, dove la voce diventa quasi uno strumento?
Manipolare la voce mi ha sempre incuriosito, autotune e vocoder, usati nel brano, sono due modi per farlo. Mi piace che l’effetto che ne derivi sia estremo, lo vedo come un mezzo per spingere al di là le potenzialità della voce, suonare uno strumento che in più ha la capacità delle parole; due perfetti esempi a cui il brano si ispira sono Hide and Seek di Imogen Heap e Woods di Bon Iver.
4) Come hai lavorato con Andrea Liuzza – fondatore dell’etichetta per esce il disco, Beautiful Losers – alla produzione di questo disco?
Con Andrea abbiamo diviso il lavoro in più parti, una fase di pre-produzione a distanza in cui ci rimbalzavamo continuamente idee, demo, premix, suoni e tracce, alcune delle quali sono rimaste sul disco, come ad esempio quello strano piano elettrico glitchato di Million Miles Away o l’arrangiamento di fiati di Graceless; poi c’è stata una fase di recording condensata in 3 giorni e un’ultima tranche in cui ci siamo visti per registrazioni e produzioni addizionali e per mixare l’album. Il lavoro di Andrea è stato prezioso perché in molti casi mi ha aiutato a vedere i brani non come entità a sé ma connessi tra di loro e da produttore mi ha aiutato a chiuderne strutture e arrangiamenti; su questo aspetto ho imparato molto perché fino ad allora tendevo a vedere le canzoni come in continua evoluzione e sempre soggette a cambiamento.
5) La foto della copertina da dove deriva, ovvero dove è stata scattata?
L’ho scattata in treno da qualche parte in Veneto mentre andavo a registrare l’album. È il genere di foto che immortala uno stato d’animo nostalgico e allo stesso tempo la guardi e vedi immagini scorrere e viaggi con la mente, un po’ come mi è successo per tutto il processo creativo che ha portato all’album. Dopo averla scattata non l’ho neanche riguardata perché sapevo di aver appunto fotografato un istante ricco di tante cose e potevo rievocare quel momento grazie alla foto; riguardarla a distanza di tempo mi ha fatto capire che doveva essere la copertina dell’album. Con Andrea abbiamo poi deciso di renderla una cartolina con una didascalia, i versi di apertura dell’album.
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