Musica
Questo ragazzo ha 70 anni, si chiama Neil Young e farà strada
Joni Mitchell in Case of You cantava ”I drew a map of Canada / Oh Canada”, e a voler ben guardare la mappa del Canada musicale è piuttosto ricca: non compare solo la cantautrice da Fort Macleod – nel sud-ovest canadese – tra le fila della musica made in Canada, ma anche Leonard Cohen, gli Arcade Fire, Caribou, Feist, si passa per nomi più mainstream come Alanis Morrisette e Bryan Adams, fino alla contemporaneità più alternative di progetti come Godspeed You! Black Emperor e Majical Cloudz. Però c’è Neil Young, e con le dovute precauzioni quasi tutto il resto a confronto sembra un soffio di vento caldo. La produzione di Neil Young è immensa e sconfinata, e posso immaginarmelo a 70 anni che fissa il tempo come se fosse passato troppo in fretta, una lamiera che ti si conficca nel costato e urla, ti ricordi di Woodstock? Ti ricordi dei Buffalo Springfield e di David Crosby, ti ricordi del corpo inerme di Danny Whitten, della notte furiosa in cui hai iniziato a comporre The Needle and the Damage Done avendo in testa solo lui, e di come oggi Donald Trump usi le tue canzoni senza chiederti neanche il permesso?
Non si può scrivere di Neil Young senza correre il rischio di aver poco da dire in confronto a quello che si potrebbe lasciare ascoltare, che si tratti dei Crazy Horse, di Crosby, Stills, Nash, Young, o della sua attitudine da loner solitario, facciamo i conti con un songwriter a tratti oscuro e a tratti inneggiante e rabbioso, perduto tra il grido al rock che non deve morire e mai morirà e l’intimismo di album come On The Beach che si rifugiano in radici lontane da tutto e tutti. Il cuore della faccenda è proprio in questa doppia natura o schizofrenia, una sfumatura che va colta solo a forza di ascoltarlo. Eppure si può essere Neil Young, uno dei più grandi, anche desiderando di raggiungere le vette di qualcun altro a quanto pare, come in una recente intervista al Time Magazine ha confessato lui stesso. Indovinate chi è l’altro in questione? ”Bob Dylan, io non sarò mai Bob Dylan. Lui è il migliore. Se dovessi essere qualcun altro sceglierei lui. È un grandioso scrittore, ha scritto alcune delle migliori poesie e le ha messe in musica in un modo che riesce a toccarmi dentro”.
Non esiste una rivalità né una vera sfida tra i due grandi cantautori americani, si sono sempre e solo fatti compagnia attraverso il Novecento con l’unico stile di buttar fuori grande musica. Qualcuno ha incoronato Young come l’eterno secondo, di poco sotto solo a sua maestà Dylan, ma cosa conta chi è più su di poco quando hai raccontato e segnato la storia della musica con le tue canzoni, i tuoi mostri, le tue parole. After The Gold Rush del 1970 è qualcosa da cui continueremo a non prescindere, un piccolo prontuario che non ci stancheremo mai di ascoltare.
Quella voce che somiglia quasi a un falsetto e continua ad accarezzarci nelle vecchie registrazioni resta viva, nonostante i 70 anni di Young, il tempo che passa, e l’out of the blue and into the black. Si farà strada, così tanta che ancora non la immaginiamo, tra i secoli. E questo nonostante abbia scelto di tirarsi fuori dalla gran baldoria della musica in streaming oggi. (Al contrario del suo Master, però, lo trovate ancora su Youtube)
https://www.youtube.com/watch?v=aPL9MQHfIx8
Foto: Neil Young, Norwegian Wood 2009 (NRK P3, Flickr)
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