Musei

Mettete dei fiori nei vostri musei

24 Aprile 2018

L’idea non è male. Finita la #designweek di Milano, tutti in Riviera per il ponte: tutti a vedere il festival delle aiuole ai Parchi di Nervi.

I Parchi, o quel che ne è scampato alla tromba d’aria di ottobre 2016 che abbatté quasi duecento alberi ed esodò gli scoiattoli, ospitano fino al 6 maggio Euroflora, la ex-fiera dell’ortovivaismo a sua volta scampata alla crisi, che riprende dopo sette anni di silenzio in questa nuova sede en plein air e con questa nuova formula expo.

Se siete fioristi o agricoltori non sperate di trovare produttori di attrezzi, serre o sementi.
Se siete appassionati di botanica non sperate di trovare piante rare e insolite, incroci arditi o rari cultivar.

Se invece vi piace passeggiare sotto il solleone insieme ad altre ventimila persone, farvi selfie di fronte a finte casette liguri o a gozzi imbottiti di erbe aromatiche, godervi un’ora di coda per un pezzo di focaccia ma soprattutto se siete appassionati di aiuole: questo è il posto per voi.

Ce ne sono venticinquemila metri quadri, di aiuole. Realizzate da vivai privati e da enti pubblici che hanno ricoperto l’erba del parco con scenografie provvisorie, mimetizzate tra le piante vere e autoctone e gli alberi secolari. Creano scritte e forme con colori di fiori, creano finti laghetti di ninfee (ma ci sono le calle perché le ninfee non hanno germogliato in tempo), finti sentieri nel bosco, finti muretti a secco, finte fontane, finti pennelli su finte tavolozze, persino finte talpe, finti merli e cinguettii registrati. L’unico lupo vero, ahilui, è imbalsamato.

Tutto è provvisorio perché l’organizzazione ha imposto di non scavare e non piantare nulla (ma che peccato: studiandolo bene, si poteva imporre a ogni espositore un intervento di ripristino del parco). Tutte le piante apparentemente radicate sono state posate in vasi di plastica creativamente nascosti e su teloni di plastica coperti di ghiaino o terriccio.

L’organizzazione ha acquistato 15mila metri quadri di tappeto erboso, posato in piastrelle precoltivate sull’erba esistente. Quello resterà – sempre se riuscirà ad attecchire, calpestato da ventimila visitatori al giorno – negli spazi lasciati tra un’aiuola e l’altra. Cosa resterà togliendo la plastica, lo vedremo.

I Parchi resteranno dove sono sempre stati, beninteso. E una volta finita la manifestazione ricominceranno a portarvi dentro e fuori la splendida passeggiata a picco sul mare. Anche quella c’è sempre, eh.

Se vi piacciono le aiuole, dicevamo, portatevi un drone perché molte si possono capire bene solo dall’alto, come quella non troppo originale dell’Anci che rappresenta guardacaso la Liguria, o quella fin troppo originale di Roma Capitale, ispirata all’Hortus Inconclusus di Athanasius Kircher (un concetto e un autore di certo notissimi alla maggior parte dei visitatori), che rappresenta un soggetto misterioso visibile per l’appunto solo dall’alto.

A me è piaciuto molto uno scatolone a specchio con dentro un sentiero di erbette, una fontana e un laghetto: tutto formato roulotte. E anche certe piantine grasse nascoste in un’aiuola tutta di pietra.

E una collezione di ulivi così belli e così arrabbiati di essere lì, con le radici rinchiuse in mastelli di polietilene, che sembrano leoni in gabbia.

E la casa dei bonsai, che ospita non solo quei pezzi facili commerciali che si trovano in negozio ma anche delle opere d’arte in cui il vuoto vince sul pieno e lo storto sul dritto. C’è anche qualche esempio di suiseki, le pietre scolpite dalla natura e semplicemente colte dall’uomo.

Poi, io che sono velista e ventosa non potevo che perdermi a naso in su nel labirinto dei papaveri del cacciatore di aquiloni Alain Micquiaux (non a caso, un bretone). Il quadro ondeggiante è ispirato al mito di Demetra ma io – chissà perché – continuavo a sentirmi nata paperina, che cosa ci vuoi far.

Così sono andata a nascondermi, un po’ a riposarmi, al fresco di un museo, la Galleria di Arte Moderna in cui mi avevano spiegato che avrei trovato i fiori recisi, dal momento che certo non avrebbero resistito all’insopportabile caldo esterno.

E oh, meraviglia! oltre alla frescura e malgrado il profumo un po’ funebre delle composizioni, nella Gam ho trovato il posto più bello della giornata. Intanto non c’era nessuno e i bagni erano puliti. E poi c’erano Depero, Casorati, Guttuso, De Pisis, Rubaldo Merello (quello dell’invito «alzate il culo, venite a vederlo» del presidente di Palazzo Ducale, Luca Bizzarri), Francesco Messina e Arturo Martini.

E intorno a loro fiori, fiori, fiori allestiti come sculture, in perfetta e azzeccatissima corrispondenza di forme e colori e significati.
Un albero slanciato vicino a una figura crocifissa, rami intrecciati di fronte a forme dinamiche, un elleboro candido in dialogo coi marmi, strelizie impazzite al cospetto dei futuristi, aspidistre lucide come vasi.

A villa Grimaldi Fassio le opere ottocentesche e della Belle Epoque sono associate a grandi bouquet sospesi: un ambiente più nuziale ma non senza ironia, come nel grande cuscino sopra la vasca da bagno rosa o nell’omaggio a Kounellis, così mi è parso, di una pioggia di fialette lungo le scale.

Infine, nella mirabile raccolta di oggetti d’arte decorativa donata dal mecenate contemporaneo Mitchell Wolfson jr non potevano che trionfare calle e aralie curvate in forme liberty in un gioco di ispirazione reciproca. Ecco, invece che portare la gente coi pullman a fare le code: mettete dei fiori nei vostri musei, usateli per spiegare l’arte. La composizione, la scelta dei colori, i rapporti di forze, forme, prospettive. Le metafore. I piani di senso. I punti di fuga.

Ero così contenta quando sono uscita che non ho neppure inveito contro il bambino che, arrampicato su una yucca, ne strappava le foglie a una a una. M’ama, non m’ama.

 

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