Letteratura
Zero K – La luna sottoterra
A volte, quando si recensisce un romanzo, non si sa da cosa iniziare. Inutile fare uno schema, una scaletta, cercare di riordinare i pensieri: ci sono libri che, per poterli recensire, necessitano di una resa preliminare. Questo quindi sarà solo un tentativo di recensione di un libro di fronte al quale il lettore si deve arrendere.
Perché con Zero K De Lillo ha messo la luna sotto terra.
In uno scenario straniante, ma troppo intriso del nostro quotidiano per risultare fantascientifico, si muovono i personaggi di Ross Lockhart, miliardario sulla sessantina, della sua giovane compagna Artis, archeologa colpita da una malattia degenerativa, e Jeffrey Lockhart, figlio e figliastro. La vita ordinaria di Jeffrey, plasmata come controcanto dell’epica ascesa professionale e sociale di un uomo, suo padre, disposto a cambiare nome pur di realizzare un progetto per sé e su di sé modellato, viene scossa dalla richiesta, proprio da parte del padre, di essere al suo fianco nel percorso che accompagnerà Artis, ormai terminale, verso una nuova “vita”. La donna ha deciso di non attendere la morte, ma di scegliere il “momento di passaggio” che la condurrà verso il domani, in un gesto di estrema speranza segnato da un atto di fede nei confronti della scienza, quella scienza che attraverso la crioconservazione le ha promesso di traghettarla in una nuova era.
Vita e morte, scienza e fede si mescolano nella narrazione, affiancandosi ad un’intensa riflessione sui rapporti familiari, sui legami “ancestrali” – l’origine e la fine – e su un futuro che, per poter combattere il richiamo della morte, ultima soluzione, deve fare appello a tutta la forza inconsciamente riposta nel recupero di un passato felice. Il domani per Artis è un’etera riaffermazione della condizione precedente la malattia, un estremo tentativo di difesa della propria dignità, animato dalla stessa volontà di affermazione del sé – in extremis – dei suicidi. Ma il suicida si sottrae alla vita per difendere l’ultimo spazio d’integrità rimasto. Artis si sottrae alla morte affrontandola prima del tempo in un atto di controllo, recupero e “salvaguardia” di quel sé logorato dal male. O almeno questo è ciò che viene narrato da Ross e, in modo corale, da quelle figure, tanto simili a spiriti psicopompi, che animano la clinica dove Artis attenderà il tempo della rinascita.
Lo spazio degli eventi, claustrofobico e situato in un altrove dai contorni indefiniti, mescola spunti fantascientifici con chiari richiami all’universo iconografico delle sette, agli spazi atemporali dei seminari. Non è un caso che nei corridoi, popolati da figure evanescenti e immagini che somigliano a miraggi, si aggiri un monaco, il cui ruolo però appare agli occhi del giovane Lockhart irrilevante in un universo che ha messo al bando la morte. Non è un caso che sia proprio questo personaggio, così vicino all’esperienza di formazione di De Lillo presso i gesuiti, a fungere da perno per permette la rotazione del punto di vista di Jeffrey. Non è un caso che, in fondo, questa figura non abbia da offrire nessuna verità o risposta certa, solo il parziale conforto di una voce nel silenzio asettico della clinica. Estrema pulizia degli spazi, minimalismo descrittivo e un’immersione nella luce di alcuni film dai toni “acidi” di David Lynch. La prosa chirurgica incide la narrazione modellandola su brevi tratti.
La paratassi procede a braccetto con la descrizione di passioni contenute.
Il lettore non assiste ad alcuna tragedia e il dramma, se davvero esiste, si gioca fuori scena. La sofferenza, la speranza, la bontà dei sinceri legami affettivi traspaiono più da un articolato gioco di descrizioni d’ambiente che da un’esplicita dichiarazione. La morte è sempre presente, ma non la vediamo mai. E non possiamo nemmeno esser certi del suo passaggio. Gl’inserti dell’io narrante di Artis, allucinati, distanti, sono reali? In quale dimensione si gioca il piano di realtà? Siamo di fronte all’Apocalisse o a una nuova era? De Lillo non si esprime. Su questo universo a parte, futuristicamente ricreato, ma così vicino e possibile, lo scrittore non propone un giudizio critico netto. Visioni alternative vengono giustapposte con l’umiltà di chi, di fronte alla morte e all’illusione consolatrice di un suo possibile superamento, risponde che “si fa ciò che ci è possibile”. Con atteggiamento fallibile, con ripensamenti, crisi interiori, vacillando. Così come il monaco che, per mantenere fede al suo ruolo di accompagnatore di anime, abbraccia un relativismo che lo rende eremita dentro sé stesso. La tecnologia non annulla insomma paura e dubbio, ma sembra amplificarli. La domanda di fondo rimane ed è la vera domanda di questi anni: dove stiamo andando? In un’epoca che ha superato i “post”, che ha abbandonato i vecchi miti per ritrovarsi alla disperata ricerca di nuovi, che crede di poter governare mezzi e fenomeni sui quali invece sta perdendo sempre di più il controllo, la narrativa cerca di dare una risposta. Un fil rouge lega così gli ultimi scritti di Dave Eggers a questo romanzo. Tecnica e scienza che progressivamente sostituiscono la coscienza, l’avanzamento della tecnologia che pare svilupparsi in modo inverso all’avanzamento della conoscenza, il progressivo venir meno di punti di riferimento sostituiti da “piattaforme” d’appoggio. Il Cerchio parla di una vita la cui fine – o non fine – potrebbe essere quella rappresentata da Zero K. I migliori del Cerchio salvati, o condannati, dalla crioconservazione. E le stanze sotterranee che segnano, con l’avanzare porta dopo porta, non solo la progressione della narrazione, ma anche l’avanzamento di un processo di “passaggio”, l’avvicinamento a una possibile risposta, non possono forse richiamare gli edifici nei quali si sviluppa il lungo racconto de I vostri padri dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?
Ciò che è certo è che la parte migliore della narrativa americana contemporanea sta ponendo una domanda di senso. Sulla vita, sul progresso, sullo “spirito” che guida il nostro tempo. La risposta non è univoca. Ma nessuna profezia in fondo lo è mai stata.
Don De Lillo, Zero K, Torino, Einaudi, 2016.
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