Letteratura
Volersi bene di notte
Renzo era salito in camera da letto sbadigliando, sciabattando. Anna l’aveva preceduto, e se ne stava sdraiata, boccheggiante per il caldo, in canottiera e mutande, con il lenzuolo arrotolato che le copriva solo i piedi. Aprì appena gli occhi, per guardare il marito sulla soglia della porta, fermo a petto nudo, con addosso solo i boxer azzurrini che gli aveva comprato la settimana prima.
“Eccoti, finalmente”, mugugnò. “Ti mancavo?” chiese ironico lui, allungandosi sul materasso alla sua sinistra. “Come no?” ridacchiò lei. “Anzi, speravo che tardavi ancora un po’, per stare più fresca. Non respirarmi addosso, eh! E non appiccicarti”. “Chi si appiccica? Mica voglio che ci mescoliamo il sudore”. “Sì, ci vorrebbe anche. Che ore sono?” “Bah, quasi le undici, credo”. “Tra mezz’ora partono i fuochi. Ci sarà gente, in piazza”.
Tutti e due pensarono la stessa cosa, senza dirselo. Che ci voleva buon tempo e buona volontà, per mettersi in strada a ferragosto, tra la folla, a guardare lo spettacolo di botti e luci che si ripeteva uguale ogni anno. Con l’asfalto che bolliva, e l’umido della notte a trentacinque gradi, poi. “Allora sarà difficile addormentarsi, con il fracasso che faranno”. “Anche restassero muti, chi dorme con quest’afa?” Anna sbuffava, irritata contro l’estate e il tepore che traspirava dal corpo del marito, ad aumentare il caldo della stanza. “Scostati, dai!” protestò impaziente. “E dove vado? Vuoi che mi metta sulla poltrona?” “Ma no! Dicevo solo che potresti non starmi attaccato”. “Mi sposto sull’orlo del materasso? E se cado dal letto?” A lei scappò una risatina. “Ecco, bravo. Così ti rompi il femore, atleta come sei”. “Già, che bel risultato. Sai che tortura, con la gamba ingessata”. “Eh! chissà quanti ce ne sono, in ospedale. Col gesso, con le bende, col catetere, con le trasfusioni…”. “Ma cosa ti viene in mente, adesso? Mi togli il fiato, con questi discorsi”.
Renzo soffriva. Si sentiva formicolare le mani, le gambe. Avrebbe voluto sgranchirsi le giunture con qualche movimento di ginnastica, ma temeva di infastidire la moglie. “Quasi quasi torno giù in cucina. Mangio una fetta di anguria, bevo una birretta. O magari mi faccio un’altra doccia”. “Ma no, stai qui. Resta a letto con me. Ci facciamo compagnia, parliamo di qualcosa”. “Di che? Dei ragazzi? Sempre loro, tutti i giorni, a tutte le ore… Stanno bene, saranno in spiaggia, o a cena fuori. A ballare, magari”. “Ah, certo. Senz’altro non pensano a noi”. “Com’è giusto. Quindi, lasciamoci in pace a vicenda”. “Guarda che non mi mancano, sai. Anzi, mi sento sollevata, in questi giorni. Lavoro di meno, non stiro, non preparo pranzi speciali. Noi due ci accontentiamo di poco, vero?” “Come no? Siamo in luna di miele. Ti ho tutta per me”. Anna rise ancora. “Fidanzatini” disse, sfiorandogli la spalla. “Ci stai provando? Sembra quasi una proposta” ammorbidì la voce, Renzo. “Scemo”, sollevandosi sul gomito a guardarlo in faccia, nel semibuio della notte. “Sei ancora un bell’uomo, però. Un bel vecchio. A ottobre sono sessantasei, vero?” “Tu ti sei mantenuta meglio di me. Con questa frangetta sembri una ragazzina”. Le accarezzò leggero i capelli, grigi ormai, ma di un grigio giovane, vivace. “Ti sei arrotondata. Non stai male, con qualche chilo in più”. “Dieci. Pesavo cinquantacinque, quando ci siamo sposati”. “Va bene, più morbida nei punti giusti. Seno, fianchi, sedere”.
Con due dita le scostò la spallina della canottiera, scoprendo l’areola brunita del capezzolo. “Cosa fai, cosa vuoi fare, adesso, con questa calura”, protestò appena lei. “Da quanto tempo non ci guardiamo nudi?” “Non siamo più molto attraenti”. “Mi piaci ancora, dopo trent’anni”. “Che storia lunga. Chissà se arriveremo alle nozze d’oro”. Anna si coprì il petto con la mano. “Ti ho amato sempre”. “Non sempre”, abbassò la voce lei. “Ci eravamo promessi che non ne avemmo più fatto cenno. Non roviniamoci la serata”. “Però il pensiero mi torna lì anche se non voglio”. “Scaccialo. Ricorda solo le cose belle”. Si appoggiò con la testa al ventre di lei. “Ne perdi ancora molti, di capelli. Sulle tempie, soprattutto”. “Ho detto che dovremmo parlare solo di cose belle”. Con le labbra le diede brevi baci intorno all’ombelico. “Hai la faccia sudata”. “Lo so. Sono tutto sudato. Ma vorrei comunque”. “Domattina, giuro. Sarà più fresco. E resteremo soli ancora per una settimana”.
Dalla finestra spalancata arrivava la voce stentorea dell’altoparlante: il sindaco, forse, che augurava al paese buon ferragosto, e dava inizio alla festa. Si sentivano applausi, qualche urlo qua e là tra la folla, di gente che si cercava. Poi i primi scoppiettanti gorgoglii dei fuochi d’artificio, salutati da echi di stupita ammirazione del pubblico. Nel nero del cielo, inquadrati all’interno delle tende chiare, esplodevano i colori a cascata, a razzo, a fontanelle, con fragori improvvisi e crepitii rantolanti. Renzo e Anna si alzarono dal letto. Si affacciarono a guardare dall’alto le persone ammassate in piazza, e più su l’incendio di scintille luminose che a grappolo rischiaravano l’aria. “Sempre uguali e sempre belli”, commentò lei. “Come noi” sottolineò il marito. “E non dirmi che sono retorico”. “Non lo dico. Lo sei”. Renzo le posò il braccio intorno alle spalle. “Retorico e sudato. Però, mi vuoi bene lo stesso”.
Renzo era salito in camera da letto sbadigliando, sciabattando. Anna l’aveva preceduto, e se ne stava sdraiata, boccheggiante per il caldo, in canottiera e mutande, con il lenzuolo arrotolato che le copriva solo i piedi. Aprì appena gli occhi, per guardare il marito sulla soglia della porta, fermo a petto nudo, con addosso solo i boxer azzurrini che gli aveva comprato la settimana prima. “Eccoti, finalmente”, mugugnò. “Ti mancavo?” chiese ironico lui, allungandosi sul materasso alla sua sinistra. “Come no?” ridacchiò lei. “Anzi, speravo che tardavi ancora un po’, per stare più fresca. Non respirarmi addosso, eh! E non appiccicarti”. “Chi si appiccica? Mica voglio che ci mescoliamo il sudore”. “Sì, ci vorrebbe anche. Che ore sono?” “Bah, quasi le undici, credo”. “Tra mezz’ora partono i fuochi. Ci sarà gente, in piazza”.
Tutti e due pensarono la stessa cosa, senza dirselo. Che ci voleva buon tempo e buona volontà, per mettersi in strada a ferragosto, tra la folla, a guardare lo spettacolo di botti e luci che si ripeteva uguale ogni anno. Con l’asfalto che bolliva, e l’umido della notte a trentacinque gradi, poi. “Allora sarà difficile addormentarsi, con il fracasso che faranno”. “Anche restassero muti, chi dorme con quest’afa?” Anna sbuffava, irritata contro l’estate e il tepore che traspirava dal corpo del marito, ad aumentare il caldo della stanza. “Scostati, dai!” protestò impaziente. “E dove vado? Vuoi che mi metta sulla poltrona?” “Ma no! Dicevo solo che potresti non starmi attaccato”. “Mi sposto sull’orlo del materasso? E se cado dal letto?”
A lei scappò una risatina. “Ecco, bravo. Così ti rompi il femore, atleta come sei”. “Già, che bel risultato. Sai che tortura, con la gamba ingessata”. “Eh! chissà quanti ce ne sono, in ospedale. Col gesso, con le bende, col catetere, con le trasfusioni…”. “Ma cosa ti viene in mente, adesso? Mi togli il fiato, con questi discorsi”. Renzo soffriva. Si sentiva formicolare le mani, le gambe. Avrebbe voluto sgranchirsi le giunture con qualche movimento di ginnastica, ma temeva di infastidire la moglie. “Quasi quasi torno giù in cucina. Mangio una fetta di anguria, bevo una birretta. O magari mi faccio un’altra doccia”. “Ma no, stai qui. Resta a letto con me. Ci facciamo compagnia, parliamo di qualcosa”. “Di che? Dei ragazzi? Sempre loro, tutti i giorni, a tutte le ore… Stanno bene, saranno in spiaggia, o a cena fuori. A ballare, magari”. “Ah, certo. Senz’altro non pensano a noi”. “Com’è giusto. Quindi, lasciamoci in pace a vicenda”. “Guarda che non mi mancano, sai. Anzi, mi sento sollevata, in questi giorni. Lavoro di meno, non stiro, non preparo pranzi speciali. Noi due ci accontentiamo di poco, vero?” “Come no? Siamo in luna di miele. Ti ho tutta per me”. Anna rise ancora. “Fidanzatini” disse, sfiorandogli la spalla. “Ci stai provando? Sembra quasi una proposta” ammorbidì la voce, Renzo. “Scemo”, sollevandosi sul gomito a guardarlo in faccia, nel semibuio della notte. “Sei ancora un bell’uomo, però. Un bel vecchio. A ottobre sono sessantasei, vero?” “Tu ti sei mantenuta meglio di me. Con questa frangetta sembri una ragazzina”.
Le accarezzò leggero i capelli, grigi ormai, ma di un grigio giovane, vivace. “Ti sei arrotondata. Non stai male, con qualche chilo in più”. “Dieci. Pesavo cinquantacinque, quando ci siamo sposati”. “Va bene, più morbida nei punti giusti. Seno, fianchi, sedere”. Con due dita le scostò la spallina della canottiera, scoprendo l’areola brunita del capezzolo. “Cosa fai, cosa vuoi fare, adesso, con questa calura”, protestò appena lei. “Da quanto tempo non ci guardiamo nudi?” “Non siamo più molto attraenti”. “Mi piaci ancora, dopo trent’anni”. “Che storia lunga. Chissà se arriveremo alle nozze d’oro”. Anna si coprì il petto con la mano. “Ti ho amato sempre”. “Non sempre”, abbassò la voce lei. “Ci eravamo promessi che non ne avemmo più fatto cenno. Non roviniamoci la serata”. “Però il pensiero mi torna lì anche se non voglio”. “Scaccialo. Ricorda solo le cose belle”.
Si appoggiò con la testa al ventre di lei. “Ne perdi ancora molti, di capelli. Sulle tempie, soprattutto”. “Ho detto che dovremmo parlare solo di cose belle”. Con le labbra le diede brevi baci intorno all’ombelico. “Hai la faccia sudata”. “Lo so. Sono tutto sudato. Ma vorrei comunque”. “Domattina, giuro. Sarà più fresco. E resteremo soli ancora per una settimana”.
Dalla finestra spalancata arrivava la voce stentorea dell’altoparlante: il sindaco, forse, che augurava al paese buon ferragosto, e dava inizio alla festa. Si sentivano applausi, qualche urlo qua e là tra la folla, di gente che si cercava. Poi i primi scoppiettanti gorgoglii dei fuochi d’artificio, salutati da echi di stupita ammirazione del pubblico. Nel nero del cielo, inquadrati all’interno delle tende chiare, esplodevano i colori a cascata, a razzo, a fontanelle, con fragori improvvisi e crepitii rantolanti. Renzo e Anna si alzarono dal letto. Si affacciarono a guardare dall’alto le persone ammassate in piazza, e più su l’incendio di scintille luminose che a grappolo rischiaravano l’aria.
“Sempre uguali e sempre belli”, commentò lei. “Come noi” sottolineò il marito. “E non dirmi che sono retorico”. “Non lo dico. Lo sei”. Renzo le posò il braccio intorno alle spalle. “Retorico e sudato. Però, mi vuoi bene lo stesso”.
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