Letteratura

Vladimir Majakovskij poeta e rivoluzionario

31 Ottobre 2017

Nel centenario della Rivoluzione russa uno studio ricognitivo sul poeta Majakovskij in compagnia di Vittorio Strada e Roman Jakobson.

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L’eredità e la fortuna della poesia di Majakovskij
Se la memoria e la fortuna critica di Evgenij Zamjatin  sono legate a un romanzo, Noi, ove molti hanno visto, nelle forme di un romanzo distopico,  una  critica feroce degli esiti ultimi della società comunista, come affrontare un autore quale  Vladimir Majakovskij che invece agli eroici furori della rivoluzione russa e al suo successivo fallimento è intimamente legato?

È questa anche la domanda che si pone Vittorio Strada nella prefazione alle Poesie di Majakovskij  a cura di Giovanna Spendel. La rivoluzione russa che il Poeta ha accompagnato con i suoi versi infuocati nella costruzione  del comunismo, è  andata in rovina a causa della «precarietà dei materiali e dell’erroneità del progetto[1]». La sua fortuna di poeta è perciò legata da una parte all’ammirazione di chi ha esaltato la rivoluzione;  di contro, la sua caduta in un cono d’ombra se non nell’oblio, è addebitata al fatto che «ha esaltato una rivoluzione criminosa  che, tra innumerevoli altri, uccise e tormentò tanti poeti» e a cui «spetta una meritata oscurità: essa giace nella polvere, sotto la mole della mastodontica  costruzione comunista , assieme a tanti altri simulacri dello stesso stampo ideologico[2]».

Ciononostante la poesia di Majakovskij persiste e resiste. La voce del poeta, liberata dai richiami politici, si fa ancora ascoltare.  Come? Si tentano due vie dice Strada: la prima separare il poeta politico da quello amoroso, ma è difficile, perché  i due aspetti sono congiunti nel suo organismo poetico; la seconda  è quella di separare Majakovskij dalla rivoluzione, evidenziare che più che un cantore  della rivoluzione fu una vittima, non « un poeta di corte della nuova autocrazia bolscevica ma un paradossale smascheratore dei miti rivoluzionari[3]».

Ma anche questa ricostruzione della sua personalità non regge. La vita del poeta verrebbe schematizzata troppo e non darebbe la drammatica  complessità del suo destino.  Per altro verso, invece, la convinzione  di Marina  Cvetaeva, in tema, è molto precisa e pungente. Anch’essa viene ripresa da Vittorio Strada nella sua brillante introduzione. Secondo la Cvetaeva Majakovskij si sarebbe pentito di aver appoggiato la rivoluzione e  «per dodici anni di seguito l’uomo Majakovskij ha ucciso dentro di sé il Majakovskij poeta, al tredicesimo il poeta si è levato ed ha ucciso l’uomo. Se c’è in questa vita un suicidio, esso non è là dove lo vedono, ed è durato non l’attimo della pressione del grilletto, ma dodici anni di vita [4]».

Da quanto sopra detto appare evidente che l’opera di Majakovskij è davvero indivisibile, e la cosa più errata sarebbe contrapporre il Majakovskij lirico al Majakovskij epico, il Majakovskij poeta d’amore al Majakovskij poeta della rivoluzione.

Majakovskij  futurista
Majakovskij ˗  è fin troppo ovvio riaffermarlo ˗  fu un poeta innanzi tutto futurista[5]. Questa indicazione, nonostante possa parere scontata, ci permette tuttavia , a scanso di equivoci,  di separarlo dall’opinione degli ideologi sovietici che vollero attaccare sul poeta  l’etichetta dell’aedo della rivoluzione su schemi di realismo socialista addirittura. La poesia a Lenin o la devozione che Majakovskij tributò alla polizia cekista, un’ammirazione devota che ˗ ancora Strada  ˗ «oggi in particolare stupisce  e ripugna», furono certamente atti dell’uomo e del poeta che vanno tuttavia inquadrati, anche alla luce di  plateali infatuazioni ideologiche  di altri poeti e scrittori che nel passato Novecento si confrontarono anch’essi con i totalitarismi, seppur alcuni di segno politico opposto. Si ricorda spesso il caso di Ezra Pound che si dichiarò fascista fino all’internamento, o Céline che si lasciò ammaliare addirittura dal nazismo, ma anche un Bertolt Brecht che con il comunismo realizzato della Germania dell’Est strinse un patto di fedeltà per tutta la sua vita di poeta e di drammaturgo. Molti poeti pagarono con la vita l’adesione a una ideologia politica antifascista, è il caso di Garcìa Lorca per esempio. Il Novecento fu una fornace ideologica che sacrificò molte esistenze, di uomini comuni e di delicati poeti.

Il Majakovskij futurista va tuttavia meglio precisato. Fra i quattro filoni del futurismo russo[6], ossia la Hylaea dall’antico nome greco della regione del governatorato di Chersòn (in russo Giléja)  che faceva capo ai fratelli Burljuk;  il cubofuturismo, evoluzione della Giléja che avrà in Chlébnikov il capofila e Mosca come scenario;  l’egofuturismo con la personalità dominante di Igor’ Severjánin e scenario pietroburghese; Centrifúga, un manipolo di giovani poeti guidati da Ju.P. Anísimov, che però ebbe tra i suoi componenti Pasternák, ebbene, tra questi quattro gruppi, Majakovskij seguì Giléja e il cubofuturismo.

I tributi alla dottrina futurista furono da Majakovskij debitamente pagati  come accade a chiunque aderisca a una precisa scuola letteraria. I poeti del Novecento amarono iscriversi a partiti politici e a scuole poetiche. Majakovskij non fu da meno. Ma, come sempre accade, il grande poeta eccede i limiti che si è volontariamente scelto, la sua voce si fa sentire al di là degli schemi autoimposti.

Il debutto di Majakovskij è del 1912 sull’almanacco futurista Schiaffo al gusto corrente (Poščečina obščestevennomu  vkusu). Del gruppo letterario a cui aderisce sposa il programma nei suoi punti sintomatici: a) arricchimento del dizionario nel suo insieme mediante vocaboli arbitrari e derivati; b) odio della lingua ereditata dalla tradizione letteraria; c) ripudio di una facile gloria letteraria; d) il restare saldi nel programma collettivo («rimanere saldi sullo scoglio della parola “noi” anche in mezzo a una marea di fischi e di indignazione [7]»).

Il pronome “noi” che qui designa il collettivo poetico fa trasalire un poco chi ha letto il  Noi  di Zamjatin. Infatti i vantaggi dell’adesione, anche a una ideologia poetica come questa di Majakovskij,  comportano i rischi di un annullamento della personalità, della libera espressione poetica come  della libera espressione  politica che Zamjatin aveva ampiamente investigato nel suo romanzo distopico.

Non saranno certamente estranei a Majakovskij i procedimenti tipici della poetica e della metodica futurista. Innanzi tutto quello che Marinetti (dal quale i futuristi russi tentarono di distinguersi ma al quale furono in verità fortemente debitori) chiama il paroliberismo, le parole in libertà. Marinetti aveva teorizzato i «lirismi multilinei», «l’immaginazione senza fili», le «parole in libertà» appunto. Majakovskij fu fedele pertanto alla traduzione russa di queste trovate marinettiane, la prima di esse è innanzitutto quella dello zaúmnyj  jazýk  detto sinteticamente  záum ossia la lingua transmentale, metalogica o alogica addirittura. Questa tecnica, che si avvantaggiava di un intervento pesante sulla parola, attraverso prefissazione e suffissazione, spezzatura e alterazione anche grafica dei termini e altri espedienti, fu inizialmente elaborata da Chlébnikov e soprattutto da Cručënych (che Majakovskij definì “il gesuita della parola”) e tendeva a straniare i termini, a percuoterli al fine di farne esplodere  la pienezza di significato implicitamente poetico contenuto nei termini, nelle singole sillabe, ma oscurato  dall’uso corrente delle parole. La poesia rendeva così nuove le parole. Lev Trockij, nel suo saggio su Majakovskij dirà che «come il greco era antropomorfista e assomigliava ingenuamente a sé le forze della natura, così il poeta è  majakomorfo e popola di sé tutte le piazze, le vie e i campi della rivoluzione[8]».

Nella genealogia della poesia di Majakovskij, secondo Vittorio Strada[9],  non potranno mancare pertanto i legami con il simbolismo,  in particolare con Andrej Belyj e Aleksandr Blok, le frequentazioni dei poeti satirici facenti capo al settimanale “Satirikon”, le aderenze con  la poesia russa folklorica e classica (Lermontov, Nekrasov), i debiti contratti con i poètes maudits francesi e con Walt Whitman. Tutte queste influenze  trovano nel crogiolo majakovskijano un esito memorabile. Nei suoi più famosi componimenti, solo per dirne alcuni,  La nuvola in calzoni [Oblako v štanach, 1925], Il flauto di vertebre [Flejta-pozvonočnik, 1916], La guerra e l’universo [Vojna i mir, 1917],  150.000.000,   Amo [Ljublju, 1921], Di questo [Pro eto, 1923] Bene! [ Chorošo, 1927], Vladimir  Il’ič Lenin [1925],  si manifesta  «una straordinaria sintesi epico-lirica, una inconsueta facoltà di dilatazione creativa dell’io poetante a dimensioni e significazioni storico-universali e metafisico-cosmiche[10]» .

Roman Jakobson  interprete dell’opera di Majakovskij
Nel librino Una generazione che ha dissipato i suoi poeti – Il problema Majakovskij [11] Roman  Jakobson dà una interpretazione dell’opera di Majakovskij che farà scuola. Essa ha il merito di sottrarre l’opera del poeta all’interpretazione ufficiale sovietica (del «tamburino della rivoluzione di ottobre [12]», del  poeta tutto pubblico e tutto rivoluzionario, più epico che lirico), e si sofferma su questi punti sintomatici:

– Contrariamente ai Chlebnikov Majakovskij ha incarnato in sé l’elemento lirico della sua generazione. Le «vaste tele epiche» gli erano profondamente estranee e inaccettabili. Anche quanto tenta la «sanguinosa Iliade delle rivoluzioni» e «l’Odissea degli anni di fame» invece dell’epopea nasce soltanto una lirica eroica  di un diapason immenso: a «piena voce».

– Majakovskij fa parte di una generazione tragica. Una lunga catena di morti   (Gumilëv fucilato nel ’21;  Blok morto di depressione nel ’21; Chlebnikov di inedia e malnutrizione nel ’22; per meditato suicidio Esenin nel ’25 e Majakovskij nel ‘30) annienta  nel corso degli anni Venti gli ispiratori di una generazione, tutti tra i trenta e i quarant’anni.

– La creazione poetica di Majakovskij, dai primi versi nella Poščečina obščestevennomu  vkusu fino alle ultime righe, è una e indivisibile. Sviluppo dialettico di un unico tema. Unità straordinaria di una simbolica. Con rimandi interni (Pro eto rimanda a Čelovek [13]) o rimodulazioni di registro: un motivo svolto drammaticamente in un componimento è ripreso comicamente in un altro. Non si tratta di oltraggio alla fede di ieri, ma di due piani di una unità simbolica, quello tragico e quello comico, come si faceva nel Medioevo.

– È rintracciabile nell’opera del Poeta una sorta di mitologia consapevole, una auto-mitologia. La prima opera di Majakovskij reca il titolo (Ja) (Io), Majakovskij[14] stesso è anche l’eroe della sua prima opera teatrale (Vladimir Majakovskij, e il titolo dell’ultima sua opera si intitola Sebe ljubimomu (All’amato se stesso). Jakobson riporta qui l’osservazione di Trockij di cui discutevamo sopra sul Nostro poeta  “majakomorfo”. Nelle minute del poema 150.000.000 (di uomini) questo io emerge in modo ancora più palese nella ripetizione ossessiva, ben 7 volte, del pronome Io. L’Io del poeta è un ariete che rimbomba contro un Futuro proibito.

– Ma allo slancio verso il futuro è contrapposto il ristagno nel quotidiano, nel marciume della vita di ogni giorno, il cosiddetto byt, termine intraducibile, che non ha corrispondenza nelle lingue europee, e che designa il ristagno, il torpore, il “sempre uguale” atavico della Russia statica, la “morta stagnazione” secolare. Questa “vita quotidiana senza movimento”  che trova in Majakovskij un feroce avversario. Da qui la forza percussiva dell’Io, i colpi di ariete contro l’ostile e roccioso quotidiano contro cui la fantasia del poeta trova mille forme espressive: «Resta sempre per secoli com’era. Se non la picchiamo, non si muove la giumenta della vita quotidiana»; «Lo stagno dell’esistenza quotidiana s’è riempito di fanghiglia e s’è coperto delle erbe palustri della monotonia»; «La vitaccia quotidiana penetra in tutte le fessure»; «Provate a far cantare la vita quotidiana blaterona»; «All’ordine del giorno mettete il problema della vita quotidiana», ecc. ecc. «È una gigantesca opposizione tra Io e Non-Io. Non si può trovare un nome più adeguato per il nemico», chiosa Jakobson. (pp.9-11).

– La comunione intima tra la poesia di Majakovskij e il tema della rivoluzione è stata notata più volte, com’è ovvio. Ma è passata inosservata un’altra indissolubile congiunzione: quella della rivoluzione e della morte del poeta. Sembra che il poeta capti il futuro con l’orecchio insaziabile, ma a lui non è dato di entrare nella terra promessa.

-Il motivo dell’affermazione dell’irrazionale è presente, in Majakovskij, in molteplici aspetti. Come il tema della scomparsa del poeta e della poesia viene affrontato in termini ironici e parodici. Si noti sempre un tono istrionesco nell’intonazione del Poeta, tono a cui  in Italia s’è prestata con esiti indimenticabili la voce e la recitazione di un artista come Carmelo Bene. Alcuni esempi: « Per quel che concerne il pane, la cosa è chiara, e per quel che concerne la pace anche. Ma la questione cardinale della primavera va risolta, ad ogni costo», « Se il cuore è tutto, perché, perché allora vi ho ammucchiato, carissimi soldi?».  p. 16. Ma il principale tema irrazionale per Majakovskij è l’amore. Un tema che si vendica crudelmente di chi ha osato dimenticarlo, disperde come una burrasca uomini e cose e mette in secondo piano tutto il resto.

– C’è un tema che collega Majakovskij a Noi di  Zamjatin secondo Jakobson (p.17) ed è quello della razionalizzazione della produzione, della costruzione pianificata, dell’alto livello della tecnica. Secondo Majakovskij, che trova anche qui il suo tono ironico e sarcastico, la tecnica più grandiosa si trasformerà nell’«apparato più perfetto del provincialismo e del pettegolezzo su scala mondiale» (Moë otkrytie Ameriki, La mia scoperta dell’America). Di questo provincialismo planetario è intrisa la vita del 1970 (una ucronia come 1984 di Orwell) nel Klop (La cimice). I personaggi di Klop hanno molta somiglianza con quelli di My (Noi) di Zamjatin, solo che, dice Jakobson, questa rivolta della comunità razionale utopica è derisa mentre Zamjatin la idealizza, p. 18.

– La dottrina majakovskiana della poesia. La poesia non è una sovrastruttura meccanica che si aggiunge all’edificio compiuto dell’essere. Il poeta supera e sprona il tempo. « I fiacchi segnano il passo e aspettano che l’evento trascorra per rifletterlo, i forti corrono avanti altrettanto per rimorchiare il tempo che hanno compreso». Secondo Jakobson Majakovskij previde lucidamente la rivoluzione, data compresa. (p. 26). Biografia e poesia sono intimamente legati. Diceva Majakovskij che perfino il vestito del poeta, perfino le sue conversazioni domestiche con la moglie devono essere determinate da tutta la sua produzione poetica. Majakovskij comprendeva  con chiarezza la profonda efficacia vitale della congiunzione tra biografia e poesia.  p.30. E i fatti della vita di un poeta diventano interessanti «solo se si sono decantati in parole».

– Il motivo del suicidio. Il motivo del suicidio è completamente estraneo alla poetica del futurismo e del LEF (“ЛЕФ ) acronimo  di Levyi Front Iskusstva, Левый фронт искусств “Fronte di Sinistra delle Arti”). Non in Majakovskij. Il suicidio appare fin nei primi scritti dove dei pazzi si impiccano nella lotta impari con la vita. Nella sceneggiatura  Come sta? dove la notizia della morte per suicidio di una ragazza riempie di orrore il poeta. Parlando di un giovane comunista che si era sparato Majakovskij commenterà: « Come mi assomiglia! È spaventoso!». Egli misura su se stesso tutte le varianti del suicidio. p. 27. Il biglietto con il quale si congedò dal mondo recava queste parole: «Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi, non è questo il modo (agli altri non lo consiglio), ma non avevo vie di uscita».

Era pronto da tempo, asserisce  Jakobson. Questo tema con il passare del tempo diventa sempre più ossessivo. I  componimenti L’uomo (1916) e Quella cosa (1923) ne sono pervasi. In quest’ultimo componimento si può leggere: « Io non darò la gioia di vedere che da solo con una pallottola mi sono fatto tacere». Il culmine del ciclo sono i versi A Sergej Esenin (1926), poeta suicida.

Il poeta Majakovskij sente che il quotidiano ha trionfato su di lui. Il Leitmotiv è: «La barca dell’amore si è spezzata contro la vita quotidiana» (verso dalla lettera d’addio).

Le considerazioni finali di Jakobson sono tutte tese a spiegare la forza della poesia russa. Egli dice che la Russia è all’ordine del giorno in Occidente per l’icona, il film, il romanzo dell’Ottocento, la musica del Novecento, i balletti. Ma forse la più grande delle arti russe, la poesia, non è ancora diventata oggetto di esportazione. Essa è troppo intima e indissolubilmente legata alla lingua russa per sostenere le avversità della traduzione.

La poesia russa ha conosciuto due momenti di fulgore: l’inizio del XIX secolo e quello attuale, l’inizio del XX. In cima alla schiera di giovani poeti del nostro tempo, Majakovskij giganteggia: sicuramente «uno dei più grandi poeti russi», p. 38.

Il testo di Jakobson reca la data 5 giugno 1930. Majakovskij s’era ucciso il 14 aprile 1930.

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Bella la chiusa del testo di Jakobson: « Neppure il futuro ci appartiene. Tra qualche decennio ci affibbieranno duramente il titolo di “uomini dello scorso millennio”. Avevamo soltanto canzoni affascinanti che ci parlavano del futuro, e d’un tratto queste canzoni da dinamica del presente  sono trasformate in fatto storico-letterario. Quando i cantori sono uccisi, e le canzoni trascinate al museo e attaccate con uno spillo al passato, ancora più deserta, derelitta e desolata diventa questa generazione, nullatenente nel più autentico senso della parola». p.42

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NOTE al testo

[1] V. Strada, Prefazione a V. Majakovskij, Poesie, a cura di G. Spendel, Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 2004, p. V.
[2] Ibidem
[3] V. Strada, Prefazione a V. Majakovskij, Poesie, cit., p. VI
[4] V. Strada, Prefazione a V. Majakovskij, Poesie, cit., p. IX
[5] Significativa però la puntualizzazione critica  di Stefano Garzonio  nell’introduzione a Vladimir V. Majakovskij, Poesie, BUR, Milano 2008, p.20 : « Formatosi nello slancio innovativo della ricerca della forma in quanto tale e della parola in quanto tale, Majakovskij mostrò tuttavia subito un atteggiamento diverso da quello dei suoi compagni futuristi tendendo a privilegiare comunque il tema, il contenuto poetico».
[6] Cfr. M. Colucci, D. Ricci, Il futurismo, in “Storia della civiltà letteraria russa”, Vol. II, UTET, Torino 1997, pp.139- 146
[7] Cfr. M. Colucci, D. Ricci, Il futurismo, in “Storia della civiltà letteraria russa”, Vol. II, UTET, Torino 1997, p. 140. V. anche l’introduzione di Stefano Garzonio a Vladimir V. Majakovskij, Poesie, BUR, Milano 2008, p.15.
[8] Cfr. la voce Poesie di Majakovskij a cura di Vittorio Strada in “Dizionario delle opere e dei personaggi” Bompiani, Milano 2005, vol. 7, p. 7182. Vedi anche: R. Jakobson, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti, Einaudi, Torino 1975, p.7.
[9] Ibidem
[10]Ibidem
[11] Opera che leggo nell’edizione Einaudi, 1975, con prefazione di Vittorio Strada. Da ora in poi i punti sottoesposti sono una sintesi o una parafrasi del testo jakobsoniano.
[12] Ivi, p. 33.
[13] Rispettivamente Quella cosa, L’uomo.
[14] V. il testo teatrale citato in Poesie di V.Majakovskij, a cura di Guido Carpi, Rizzoli, Milano 2008, p. 419.
[15] Vedi queste eclatanti recitazioni di Carmelo Bene di All’amato me stesso e Lquello tragico e quello comico”8con dei tagli)  nelle traduzioni di Guido Carpi.

 

 

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