Letteratura

Vivere a Venezia

28 Settembre 2018

Affacciandosi al balcone del suo piccolo appartamento delle Zattere, Giorgio si accorse che era una di quelle giornate radiose nelle quali è possibile, a Venezia, scorgere distintamente, a centinaia di chilometri di distanza, il profilo delle montagne. Una di quelle giornate in cui Piazza S.Marco, affogata fra quelle cime, sembrerebbe, se non fosse cosi’ riconoscibile, una qualsiasi piazzetta del Cadore.

“Una giornata regalata” biascicó a bassa voce tra sé e sé Giorgio.

Era ormai la seconda settimana di ottobre, ma anche quel giorno avrebbe potuto indossare il vestito leggero acquistato ai saldi di inizio settembre. Un vestito che gli stava a pennello, valorizzando gli sforzi che aveva fatto negli ultimi tempi per perdere alcuni chili di troppo.

Scese le scale trotterellando e si diresse verso il ponte dell’Accademia, che affronto’ con baldanza.

“Questo è uno dei vantaggi di vivere in una città come questa”, pensò, “solo sei mesi fa questo ponte mi avrebbe fatto venire il fiatone solo a guardarlo”.

Era stato a Venezia una volta sola, prima di esservi trasferito.
Era stato quando frequentava le superiori , in occasione di una gita scolastica.

La città allora, pur avendolo affascinato, gli era rimasta impressa soprattutto per le scarpinate alle quali, trascinandoli da una chiesa ad un museo, li aveva costretti l’insegnante di storia dell’arte.
La sua maggiore preoccupazione, allora, era stata quella di sganciarsi, tutte le volte che gli era stato possibile, dal gruppone dei suoi compagni di classe, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza di una compagna di classe, alla quale aveva scoperto di piacere durante il viaggio in pullman.

Allora gli erano piaciute soprattutto le piccole corti o calli nascoste, nelle quali, deviando dalla strada maestra seguita dal gruppo, si infilava velocemente con Marta, baciandola con trasporto.

Poi, più niente.

Diverse volte la sua ex moglie gli aveva chiesto di portarla a Venezia ed un paio di volte erano anche stati  sul punto di partire, poi, sempre per il sopravvenire di improvvisi contrattempi che riguardavano il suo lavoro, erano stati costretti a rimandare.

All’inizio il trasferimento gli era sembrato quasi una sventura.

Nato in un piccolo paese della Sicilia, Giorgio aveva vissuto per tutta la vita nel Sud (la sua carriera si era svolta tra Palermo, Napoli e Catania) e si sentiva in tutto e per tutto uomo del Sud.

Venezia, pur con il suo fascino di città unica al mondo, gli sembrava decisamente troppo distante dalle consuete rotte della sua vita.

Era sempre stato un viaggiatore distratto e superficiale e non aveva mai dato troppa importanza ai luoghi, sembrandogli importanti soltanto le persone che vi si possono incontrare, ma aveva finito per innamorarsi profondamente di quella città.

Ne amava soprattutto gli angoli nascosti, lontani dai flussi turistici. Ogni sera, da quando era iniziata la bella stagione, la esplorava con la frenesia di un bambino che ha appena scoperto un gioco nuovo ed entusiasmante.
Gli piaceva perdersi per le calli, affidandosi al suo senso di orientamento per riaffiorare ogni tanto nelle zone più conosciute.

“Vediamo”, diceva a se’ stesso, “se continuo a camminare in questa direzione dovrei sbucare in Strada Nuova”.

Quando, poi, districandosi dal dedalo delle calli sconosciute, ritrovava la strada di casa, esultava come un esploratore che veda confermate le sue congetture sulla conformazione dell’emisfero.

Gli piaceva memorizzare i nomi delle calli e dei campielli e cercava continuamente le occasioni per sfoggiare  con amici e colleghi la sua crescente dimestichezza con la topografia cittadina.

Vedeva continuamente persone che incontravano altre persone e si fermavano a chiacchierare per strada e pensava: “Questa è una città internazionale e ci vengono ogni anno milioni di persone da tutto il mondo, ma quelli che ci abitano ogni volta che escono finiscono per incontrare almeno un quarto delle persone che conoscono. Un po’ come al paese mio, dove ci conoscevamo tutti”.
Anche se al paese suo, non mancava mai di commentare con le sue nuove conoscenze veneziane, non c’era questa mania di invitarsi continuamente a bere, invece tipica dei veneziani.

Città mondiale” aveva letto in un libriccino di Diego Valeri dedicato alla città acquistato pochi giorni prima in un negozio di libri usati “ma con un’antica e incrollabile sottostruttura provinciale e un suo saldissimo egoismo armato di diffidenza e d’ironia, che la preserva dal pericolo dell’imbastardimento. Ora le resta l’orgoglio del passato e la coscienza della sua singolarità immutabile. Il ponte che la congiunge alla terraferma è pur sempre un’avventurosa passerella, qualcosa di posticcio e provvisorio. Qui ci siamo noi, e di là ci sono gli altri, sentimento fondamentale che affiora in tutte le chiacchiere di caffè per chi sappia ascoltarle”.

“È proprio così”, pensava Giorgio…

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