Letteratura
Viaggio nella poesia di Antonio Riccardi (Parte I)
Cogliendo l’occasione dell’uscita della sua opera omnia, avvenuta per Garzanti a fine 2022[1], ho scelto di dedicare, da qui ai prossimi mesi, cinque appuntamenti alla produzione poetica di Antonio Riccardi, uno per ogni sua pubblicazione, compresa anche quest’ultima, che mi consente di fare il punto e porre a confronto tutte le raccolte precedentemente prese in esame, seguendo il tradizionale ordine cronologico.
Ho la fortuna e l’onore di conoscere da diversi anni Antonio Riccardi e ritengo, insieme a molti altri, che i suoi versi, davvero atti a stare dentro il termine “poesia”, saranno a lungo ricordati poiché in grado, come solo le cose grandi sanno fare, di attraversare le epoche.
E proprio il travalicamento del tempo è uno dei temi cari all’autore o, forse meglio, il tema per eccellenza, origine e fine del suo scrivere, animato da una necessità, avvertita come doverosa, di tenere traccia e conservare la memoria di ciò che è stato. La cornice cronologica in cui si muove la poesia di Riccardi fin dal suo esordio, avvenuto per Mondadori nel 1996 con Il profitto domestico, diparte da una dimensione evidentemente privata e familiare, circostanziata anche sotto un profilo spaziale: Cattabiano, titolo della prima sezione di questo libro e più volte menzionato nei testi della sua produzione, ci conduce direttamente nel podere che è stato ed è della famiglia Riccardi e che costituisce il punto di partenza di un viaggio a ritroso nei secoli, nel quale, attraverso vicende e peculiarità di avi spesso illustri, ci si trova costretti a confrontarsi con l’impossibilità di fuggire a quello che ci è dato di essere e che molto dipende dal terreno in cui la radice è stata, chissà quando, impiantata; in altre parole tocca fare i conti, passando per quello di altri, con il proprio destino. Non bisogna però pensare che da tale impostazione così circostanziata e meticolosa derivi una sensazione claustrofobica per il lettore; a partire da questa sua prima pubblicazione infatti Riccardi riesce a fare conciliare il vicino con il lontano, il presente e il passato, il domestico con il selvatico. Le porte della dimora al posto di chiudersi, come ci si potrebbe aspettare, su di un’era finita e sfinita e rinchiudere segreti, passioni e pensieri profondissimi, conferendo così alla casa le sembianze di un luogo dismesso, si spalancano sul bosco, realmente prossimo alla residenza, ma che diviene ora emblema di possibilità in procinto di perenne realizzazione; potremmo asserire che la poesia di Riccardi è un ponte solido tra il prima e il dopo e, contestualmente, tra il familiare e lo sconosciuto, tra il qui noto e abitudinario e il là ignoto, dal momento che già in Il profitto domestico si avverte, appunto, l’esigenza continua di fuoriuscire dal podere e da tutto ciò che rappresenta per rifugiarsi, quasi in maniera ossimorica, dentro l’ampiezza sconfinata dell’incerto, rappresentato da Riccardi mediante spedizioni, di varia natura, in luoghi lontani e scenari sospesi tra pericolo e meraviglia.
Se manca qualsiasi introversione di stampo psicologico, è però vero che i versi di Riccardi, pur così vicini all’elemento reale, devono essere letti dentro un quadro di simboli e allegorie continue che consentono di accostare la sua opera alla definizione, di matrice artistica, di realismo magico, secondo cui, stando a quanto teorizzato da Massimo Bontempelli, alla rappresentazione oggettiva della realtà si associano e coesistono atmosfere sospese e surreali poiché dal dato oggettivo, assunto come punto di partenza, si procede a una trasfigurazione che, passando attraverso l’immaginazione e lo stupore, giunge alla messa in luce del mistero che si nasconde dietro il mondo rappresentato. Un mistero che in Riccardi assume, più specificamente, i tratti dell’enigma[2], poiché si avvicina maggiormente alla difficoltà di comprensione e/o risoluzione di alcune questioni da parte della logica più che a un cumulus nimbus sospeso tra l’inconscio e l’onirico.
Eppure quest’aura di allusività e complicanza di decifrazione non mina mai la chiarezza espositiva, sempre altissima nell’opera di Riccardi che è senz’altro maestro nell’uso della parola, né allenta quell’idea di solidità prima menzionata; c’è una saldezza intrinseca, presente a più livelli in questa e nelle altre raccolte, che agisce nello scrivere del poeta come principio irrinunciabile e che qui si palesa già nella scelta del sostantivo “profitto” per il titolo. Da subito viene richiamata, infatti, una certa idea di misura, che ritorna poi trasversalmente nel corso dell’opera mediante la ripetizione terminologica, nelle soluzioni formali adottate a livello metrico, sintattico e lessicale e nel rinvio all’oggetto della moneta, al quale è assegnata una duplice funzione: oltre a essere il mezzo che consente lo scambio e cioè il tramite per l’ottenimento continuo dell’equilibrio, è anche il soprannome dell’amata[3], alla quale è affidato il medesimo compito, quello di tenere in pari le bilance. Perché se c’è qualcosa che Riccardi rifugge, e tutta la sua opera ne dà riprova, è qualsiasi forma di eccesso e di allontanamento da un ordine che pare essere imposto – per quanto stringente e, a tratti, asfissiante – da ciò che è venuto prima e che, con una postura tra il melanconico e il disperato, viene etichettato come il migliore tempo possibile, esempio di etica e di morale e di sospensione del conflitto, motore prepotente dell’opera di Riccardi.
Esiste, infatti, una tensione costante tra la perpetrazione di una forma ritenuta giusta e la consapevolezza che la sostanza delle cose segua altre vie, capaci di condurre alla rovina ma anche di fare accedere al giardino della bellezza, di cui il richiamo non può essere perennemente ignorato, nonostante il senso di colpa – altro concetto chiave per l’autore – che ciò genera in chi si ostina a fare quello che si deve fare.
È evidente allora, benché il pozzo primario di attingimento resti quello del proprio albero genealogico, che la linea dalla quale Il profitto domestico è attraversato non si muova mai sul binario del racconto autobiografico e personale poiché, come scrive lo stesso Riccardi, «sento il tempo comune alla specie / come profitto domestico» e, dunque, a essere osservato è il segmento che lega una cosa all’altra, in senso spaziale, temporale e relazionale; in altre parole a essere davvero rilevanti non sono A o B ma i nessi, di varia natura, che in qualche modo li correlano e li rendono parte di una medesima cosa della quale tutti facciamo parte.
Con questo esordio Antonio Riccardi poggia il primo tassello di un’opera in divenire, dando vita a una narrazione[4] interna, esplicita nella lettura in sequenza dei componimenti che la costituiscono, e a una narrazione esterna, che si paleserà con le raccolte successive e in cui il focus verrà mantenuto sulla triangolazione dovere-felicità-salvezza, posta dentro la cornice dell’irrimediabilità dello scorrere del tempo, e presentandosi a tutti gli effetti come uno dei poeti che segneranno la storia della poesia del secondo Novecento.
Si sentono sul sentiero, dalle gaggìe
in sospensione tra bosco e bosco.
Ho sentito anch’io, d’estate.
In un’ora lucida e calma
sono di grado dispari
per grazia non uguale.
*
Nei fenomeni della vita selvatica
l’intenzione di Dio non è il diritto
ma la ricompensa in regalo
e noi cominciamo l’utile
pesando ogni scrupolo con tenacia
finalmente in parità.
*
Non sarà più felice
mai più felice come prima
chi cade in rovina. Di colpo
non sa più niente
come se niente fosse mai stato
o potesse tornare in tempo.
*
Ogni giorno in pena di foglia
dal fondo boscoso a me intero
mi chino in questa colpa
che si fa corpo di misura
e terra da calco.
*
Chiedimi conto di quanta felicità
ci porti in salvo a ogni estate
che forse per noi soltanto
è un’ora lenta, senza risveglio
e senza nome, senza fatica.
[1] Riccardi. Poesie 1987 – 2022 (Garzanti, 2022)
[2] Il lemma è chiamato a titolare l’ultima sezione di I tormenti della cattività (Garzanti, 2018), Enigma alla fine, dove l’unico verso incluso, dal titolo “Rosso”, recita «Tra gli altri uno è la sua scimmia.».
[3] Ne è riprova il fatto che nell’ultimo dei quattro testi compresi nella sezione La moneta il termine ricorra con la lettera maiuscola: «Ricordi Moneta d’estate restando».
[4] Evidente il richiamo, pur con molte diversità poi nella realizzazione, di La camera da letto di Attilio Bertolucci, conterraneo, amico e tra i riferimenti poetici di Antonio Riccardi.
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