Letteratura
Versi sull’assenza di pietà
La raccolta poetica di Alessandro Canzian mette in luce, con uno stile stringato e severo, la durezza del mondo verso chi vive ai margini e non può difendersi nemmeno rivolgendosi al cielo, che rimane indifferente e muto.
Scritte tra il 2020 e il 2024, e pubblicate a tiratura limitata dalle edizioni Interlinea lo scorso anno, le poesie di Alessandro Canzian già dal titolo sembrano voler sottolineare un’aspirazione al distacco o il riscontro di una mancanza, suggerite anche dalla scelta ricercata e differenziante della lingua latina. In effetti, la prima impressione che si ricava dalla lettura del libro, è quella di una privazione, affiorante dalle situazioni evocate nei versi, dalle immagini che li accompagnano e soprattutto dalla severa secchezza dello stile. Privazione di pietà, in primis, davanti alla sofferenza che affiora in ogni composizione, dove protagonisti sono esseri umani e non-umani privi di importanza, quasi insignificanti agli occhi del mondo: anziani, bambini, bestiole, oggetti comuni. Il poeta si sofferma su di essi con uno sguardo constatativo, lontano dal giudizio, quindi esso pure segnato dalla privazione di una partecipe empatia, come a dire “le cose sono queste, la vita funziona così”: l’esibita non adesione, che superficialmente può sembrare impassibilità, in realtà vuole proibirsi la facile retorica di una commozione ostentata. Che invece si evidenzia nella contrapposizione dei concetti, che spesso affiancano a una descrizione di ordinaria normalità la visione brutale che ne scalfisce l’ovvia piattezza. Le poesie delle tre sezioni che compongono l’opera (Minimalia, Sul fondo, In absentia) sono per lo più strofe di cinque versi, non rimate e costruite sull’antitesi dei tre primi versi e dei due ultimi: “così la poesia diventa un piccolo dispositivo drammatico basato sul contrasto fra una cosa vista e la sua iscrizione nella sensibilità”, secondo il postfatore Martin Rueff.
Si aprono davanti agli occhi quadri di desolazione, miseria, talvolta sporcizia, sia negli ambienti domestici che nei paesaggi esterni, prevalentemente di periferia: “La tovaglia piena di briciole / e mosche, a terra / tra la polvere un grano. / Alla finestra un latrato”, “Per anni la cucina lasciata così com’era”. Ancora: le tende sporche, la persiana sfondata, e “grate, gronde e greppi” ripetono nei loro “gr” sinistri cigolii. I suoni e gli odori sono disturbanti, le architetture dismesse, il tempo atmosferico alterna pioggia insistente al “caldo di un’estate dei rospi e dei cani”.
In tutta la raccolta si respira la violenza del più forte contro chi non sa difendersi, nella guerra, nel sesso, nella crudeltà verso gli animali, che soffrono quanto le persone, e vengono descritti nella loro storpiata fisicità (un geco mozzato, una zampa spezzata sotto il cancello, le rane scoppiate, un insetto senz’occhi, corpi di mosca caduti). Addirittura un topo – che nella postfazione è assimilato a “una presenza enigmatica, quasi metafisica” – aggirandosi giorno e notte nella casa del poeta, lascia le sue tracce escrementizie in cucina e in bagno, quasi a indicare una negatività persecutoria verso il mondo degli umani. Di questi Canzian rimarca la fragilità morale e fisica (“L’uomo è un ramo / che si spezza facilmente”), in particolare quando si sofferma a osservare le adolescenti: ragazza e ragazzina sono sostantivi ripetuti dodici volte nelle varie poesie, e raccontano di una violenza a cui l’ingenuità giovanile non sa opporsi, se non nella decisione tragica di un rifiuto definitivo: “La ragazzina a lato dei binari / con le calze smagliate e le / unghie scolorite domani / risolverà tutti i problemi / bevendo ammoniaca”.
I corpi straziati con prepotenza rimangono inermi, incapaci di difendersi fisicamente (la scheggia incarnita nella schiena, un buco tra le costole, la pancia scoperchiata, una maglietta strappata), e ancor di più mentalmente, producendo un’indifferenza che si risolve alla fine in estraneità a ciò che accade, alla storia personale e collettiva: “La storia accade / ma non se ne ha memoria”, “Il mondo passa e non la tocca”. In questa situazione di totale ostilità umana, nemmeno Dio può rappresentare un’ancora di salvezza: se interrogato non risponde, chiuso nella sua indifferenza. È un Dio che “ha confessato d’essere / solo un buio, uno sbaglio”; “vendicativo e geloso… scuro come un topo… sinonimo di mai”.
Alessandro Canzian (Pordenone1977) è molto attivo come editore e operatore culturale. Ha fondato la casa editrice Samuele, e ideato il ciclo di incontri letterari “Una Scontrosa Grazia” a Trieste, l’osservatorio poetico on line Laboratori Poesia e la rivista semestrale “Laboratori critici”. Collabora con Pordenonelegge pubblicando le collane “Gialla” e “Gialla Oro”.
ALESSANDRO CANZIAN, IN ABSENTIA – INTERLINEA, NOVARA 2024
Postfazione di Martin Rueff, p. 96
Devi fare login per commentare
Accedi