Letteratura

Verità e finzione a Mosca

13 Agosto 2023

Del romanzo La strada fantasma di Aleksandr Snegirëv, il traduttore Raffaele Marchi mette in luce nella postfazione “la struttura svagata, la prosa asciutta, quasi schiva, sicuramente restia alla descrizione ma non assente da lirismo, l’ironia solforica, l’individualismo nervoso”. Si tratta infatti di uno stile particolare, quello utilizzato dall’autore, per narrare vicende altrettanto particolari, divaganti tra storia, cronaca, fantasia, sperimentazione. Pubblicato in Russia nel 2019, è la prima opera di Snegirëv uscita in Italia, per le edizioni romane Gattomerlino. Alexandr Snegirëv (pseudonimo di Alexei Vladimirovich Kondrashov) è nato nel 1980 a Mosca. Autore di testi narrativi tradotti in molte lingue, si occupa di belle arti e insegna letteratura nella sua città natale. Nel 2015, ha vinto il Russian Booker Prize per il romanzo Vera.

In questo testo (una cinquantina di capitoli brevi, suddivisi in stringati paragrafi che parcellizzano il racconto utilizzando frasi minime e costanti a-capo) il protagonista si esprime in prima persona, soggettivamente, per poi esternarsi in uno sguardo astratto, narrando di una realtà che da vissuta interiormente si fa collettivamente oggettiva. Aprendosi in uno spazio assolutamente domestico, l’io narrante si svela come scrittore di successo, inquieto e bulimico di rapporti interpersonali, analizzati e descritti con ironia e autoironia, ma anche con lo stupefatto, continuo interrogarsi sulle motivazioni dell’agire umano nella quotidianità e negli eventi storici. Vive con una compagna sensuale e svampita, che tratta con buona dose di maschilismo già nell’attribuzione del nomignolo sprezzantemente misogino: “I nostri orari sono regimentati dalla sfasatura: io dormo – Micetta fuma, io mi sveglio – Micetta dorme. Un piccolo zig-zag nel reciproco timing mantiene saldo il rapporto… Annuso Micetta come un cane annusa un tesoro edibile. La afferro come un cuoco afferra l’impasto. La accarezzo, la sculaccio e la rivolto. E come lei risorge dal sogno, io, al contrario, cado addormentato”. Con loro, un cane razzista che abbaia agli islamici, due artigiani chiamati a riparare i perduranti guasti dell’abitazione, un vicino erotomane appassionato di storia, una vicina platinata diva di Instagram che “riesce a gustare la dolcezza dell’interattività e al contempo guadagnare”, avendo come motto “Vivi come se dovessi postare”. Il diario quotidiano del protagonista elenca non solo varie comparse e le loro attività, ma anche i vorticosi pensieri di chi scrive, le sue fantasie e allucinazioni, cambiando continuamente punto di vista e materia di osservazione, con un pungente senso dello humor che aborre sia il patetico sia gli stereotipi.

Erede dello sguardo ferocemente caustico dei suoi connazionali Gogol’ e Bulgakov, Aleksandr Snegirëv tratta la storia passata e quella recente con lo stesso disincanto: se la strada in cui abita è stata percorsa dall’armata di Napoleone in ritirata, la cronaca politica attuale pone sugli altari Kim Jong-un e i vari Congressi del Partito Cinese. Il conflitto con l’Ucraina (al momento della composizione del romanzo limitato al Donbass), viene raccontato attraverso una lettura sarcastica degli imbonimenti propagandistici dei due paesi nemici: “Tutto ha avuto inizio nella prima fase operativa della guerra ucraina. Allora la gente teneva lo sguardo fisso sulle vicende e si strappava i capelli per una parte o per l’altra. C’erano dei profughi: alcuni andavano a ovest, verso Kiev, altri a est, in Russia”. È comunque il presente a imporsi, ma un presente immaginoso, inventato e inventivo, paradossale negli accadimenti che si incalzano, cancellandosi e ricreandosi in continuazione, perché “La realtà si è sdoppiata”, e lo scrittore spavaldamente può annunciare: “È il mio libro e faccio quello che mi va”. Se il narrato si rivela falso, ebbene diventa vero dopo essere stato scritto: omicidi per gelosia, squartamento di cuori, tentativi di liquefare un cadavere nell’acido, resurrezioni improvvise, l’adozione di un’orfanella pestifera, lo smaltimento dei rifiuti, una Mosca post-moderna e cibernetica, nel vertiginoso accavallarsi di eventi inverosimili. L’autore-demiurgo vanta in continuazione la propria autonomia di ideare e depennare personaggi e situazioni, nella necessità di rendere sulla pagina il caleidoscopico trasformarsi della società e degli individui: “Merda, io sono uno scrittore, merda, e ho bisogno di un’idea”.

Quello che risalta nel magma incontrollato del racconto, è l’idea liberatoria della letteratura e dell’arte come emancipazione dalla verità, diritto all’immaginazione, indipendenza assoluta della creatività. Nel flusso continuo di associazioni e immagini proposto da Snegirëv, domina l’introspezione maniacale, venata da incertezza e insoddisfazione (“La cosa più dura è abituarsi a sé stessi”), soprattutto per ciò che riguarda il proprio ruolo di intellettuale e di narratore. “A dirla tutta, volevo scrivere qualcosa di importante. Qualcosa di originale e di saggio. Ma l’ho dimenticato. Ho dimenticato quel che volevo scrivere. Riempio queste pagine con una grafia a volte piana, a volte convulsa, ironizzo sul passato, lo metto persino in dubbio, e oltre a ciò penso al futuro. Penso a come accoglierà il mio lavoro il redattore, come lo valuteranno i critici. Mi rinfacceranno il disprezzo di una struttura consueta, mi daranno la colpa d’aver rovesciato sui lettori un gran mucchio di avanzi del mio pensiero sbrindellato. Ho raccolto un po’ di tutto in bocconi diseguali, poi l’ho buttato giù in tocchi alla maniera di un’insalata”. Un romanzo spiazzante, La strada fantasma, con tratti di comicità pura e altri di scandalosa provocazione, che il giovane slavista Raffaele Marchi ha tradotto in una prosa limpida, sciolta e accattivante.

 

ALEKSANDR SNEGIRËV, LA STRADA FANTASMA – GATTOMERLINO, ROMA 2022

Traduzione e postfazione di Raffaele Marchi, p. 303

 

 

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